Gabriele Petrone

Grillo la mafia l’ha vista solo al cinema

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Le parole pronunciate da Grillo sulla mafia non devono sorprendere.
Vale, invece, la pena riportarle per comprenderne senso e portata: “La mafia è stata corrotta dalla finanza, la mafia non metteva bombe nei musei o uccideva i bambini nell’acido, prima aveva una sua condotta morale…“.
Lo dico subito, non son parole di sen sfuggite, ma una provocazione studiata e calcolata, come tutte quelle che caratterizzano il cianciare del nostro.
Insomma, Grillo ha detto che la mafia aveva prima una “condotta morale” perché ne è davvero convinto e perché pensa che molti la pensano come lui.
Siamo di fronte alla riproduzione populista di un tema che ha avuto ed ha una certa diffusione, l’idea cioè di una mafia regolatrice, garante di certe regole, sia pure violente, ma in fondo ispirate ad una forma di etica ancestrale.
Questa rappresentazione della mafia (o meglio delle mafie) violenta e terribile, ma in fondo animata da un qualche senso di giustizia che viene rovinata dagli interessi più grossi (ricordiamo, ad esempio, che il conflitto ne “Il Padrino” si scatena per il rifiuto del vecchio boss ad entrare nel mercato della droga), emerge ancora oggi in alcune rappresentazioni cinetelevisive o letterarie.
Si tratta niente di più che di pura paccottiglia culturale e, per di più anche diseducativa, visto che alimentano l’idea di una criminalità in fondo “positiva”, di uomini che non vogliono essere “pupi” ma che si affermano con intelligenza e determinazione e magari solo “costretti” alla violenza.
Quello che sfugge a Grillo ed a tanti che la mafia l’hanno vista solo al cinema ed alla TV, è la sua vera natura, che è stata, nonostante le evoluzioni, sempre la stessa: una organizzazione che tende ad accumulare ricchezza e potere ai danni dei più deboli con l’uso della coercizione morale e della violenza fisica.
Sin dai tempi in cui vessava contadini e pastori in difesa degli interessi dei latifondisti, le mafie non sono mai state dalla parte del popolo, ma solo uno strumento della sua oppressione.
Oggi, come ieri, le mafie sono il principale ostacolo allo sviluppo, alla libertà individuale e di impresa, all’affermazione dei diritti. Sono, in una parola, le principali avversarie della democrazia.
Alla faccia della “condotta morale”.

 

Sistema elettorale delle province vera aberrazione

Provincia di Cosenza

Leggo molti commenti preoccupati e polemici sulla elezione di un esponente di centrodestra alla Provincia di Cosenza.

Al netto del tentativo, peraltro maldestro, di farne l’ennesima occasione di polemica interna al PD (come se non ce ne fossero abbastanza) e su quella che è spesso mitologia dell’inciucio, il sistema elettorale è congegnato in maniera tale che ad essere decisivi sono i governi delle città più grandi. Piaccia o non piaccia, il Centrosinistra in Provincia di Cosenza governa solo a Cassano Ionio (Castrovillari si è sciolta qualche mese fa). Ci si deve convincere, quindi, che era assai difficile spuntarla.
Allo stesso tempo è del tutto evidente che se a votare domenica scorsa fossero stati non i consiglieri comunali ma il popolo sovrano, Mario Occhiuto non solo non sarebbe stato eletto ma neppure si sarebbe candidato. E se si fosse candidato comunque, avrebbe perso le elezioni anche nella città in cui fa il sindaco, potete scommetterci 100 euro contro un fagiolo.

I dottor Stranamore che a Roma hanno messo a punto questo aberrante sistema di elezione del Presidente e del Consiglio Provinciale con la scusa del risparmio di qualche indennità e gettone di presenza cavalcando l’antipolitica cieca e trinariciuta che in questi anni è stata data in pasto a piene mani all’opinione pubblica, sono riusciti nel loro vero intento: privare i cittadini del diritto di eleggere i propri rappresentanti e quindi di esercitare il loro controllo democratico su un ente di gestione che, altra mistificazione mediatica, non è stato affatto abolito, anzi, continuerà a gestire settori importanti come la viabilità e l’edilizia scolastica.

Grazie a questa schifezza di riforma le province, semplicemente, come avveniva nell’800 notabilare, le gestiranno, senza vincolo di mandato e fuori da ogni controllo diretto o indiretto della cittadinanza, un gruppo di amministratori locali eletti nei loro comuni e su altre opzioni politiche e programmatiche.
Dell’aberrazione di questa legge come di altre che restringono gli spazi di democrazia in nome delle crociate anticasta, e che denuncio da tempo, io sono indignato. E mi piacerebbe fossero indignati i tanti o distratti o in malafede corifei del “nuovismo antipolitico” che ormai albergano anche nella nostra parte politica. Ma so che rimarrò deluso.

Io voto Mario Oliverio

Io voto Mario Oliverio

Domani 5 ottobre invito tutti coloro che hanno la bontà di leggermi ad andare a votare alle primarie del centrosinistra e dare la loro preferenza a Mario Oliverio.

Si vota dalle 8,00 alle 21,00 nei seggi organizzati in tutta la provincia.

Il mio invito parte intanto dalla considerazione che è di per sé un fatto importante che la scelta del candidato Presidente del centrosinistra sia affidata al popolo e non a ristrette conventicole romane.

C’è stato chi ha tentato di impedire che ciò avvenisse con mille sotterfugi e giochini da tre carte. Domani per fortuna si vota e sono in campo tre personalità ed opzioni politiche e programmatiche diverse.

Per quanto mi riguarda ho scelto di sostenere Mario Oliverio perché la Regione Calabria ha bisogno di una guida che unisca alla competenza ed all’esperienza una reale e concreta volontà di cambiamento.

Il cambiamento non si fa né con i slogan né con la carta d’identità, ma è il frutto spesso di coraggiose e determinate battaglie politiche, dell’assunzione di responsabilità, della capacità di dire molti si e molti no.

Perché di chiacchiere se ne sono fatte fin troppe e spesso per nascondere dietro una cortina fumogena i soliti tristi figuri.

Buon voto a tutti.

Luigi De Magistris giustiziere flop.

De Magistris

Ha ragione la deputata democratica Enza Bruno Bossio nel suo intervento a commento della condanna di Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi per intercettazioni illegali da parte della Procura di Roma: è una sentenza che non va commentata come un fatto giudiziario. E da garantisti non pelosi aspettiamo gli altri gradi di giudizio.

Essa però ci consegna l’ulteriore conferma che “Why Not”, la madre di tutte le inchieste, quella che doveva moralizzare il paese intero partendo dalla Calabria, è stata una enorme, colossale bufala. Chiunque masticasse un po’ di diritto da bar se ne era accorto.

Eppure per anni pagine di giornali e talk show TV hanno alimentato questa colossale mistificazione. Persone perbene sono state crocifisse, i loro accusatori santificati. I processi veri hanno poi ribaltato questo dato: gli accusati sono stati assolti con formula piena gli accusatori messi sotto processo e condannati. Ma i danni prodotti sono stati immani: la chiusura di aziende, la perdita di migliaia di posti di lavoro, la caduta di un governo.

Unico a “guadagnarci” fu l’ineffabile giustiziere, eletto sull’onda della indignazione popolare, prima parlamentare europeo poi sindaco di Napoli.

De Magistris è sincero quando dice che oggi rifarebbe tutto. Senza quello che ha fatto oggi sarebbe rimasto PM di Catanzaro, dove gli avevano simpaticamente affibbiato il nomignolo di “Gigino o flop” per la sua tendenza a non azzeccarne una di inchieste.

A noi ha lasciato solo la possibilità di misurare se ha fatto più “flop” da giudice che da politico e amministratore. Una bella lotta.

Flop

Perché Mario Oliverio fa tanto paura ?

Mario Oliverio

Avere ragione comincia ad essere stucchevole. Proprio ieri scrivevo ai sinceri sostenitori di Callipo che li stavano portando a passeggio se si illudevano che, con un atto di imperio del principe Renzi, il giovane sindaco di Pizzo sarebbe stato imposto a tutto il PD calabrese come unico candidato facendo ritirare Mario Oliverio.

Di pochi minuti fa la notizia (che prendiamo con le cautele de caso visto il passato recente di nomi agitati e bruciati spesso all’insaputa degli stessi interessati) che Luca Lotti avrebbe proposto come candidato di superamento il dott. Salvatore Di Landro, ex procuratore generale di Reggio Calabria.
Pare che, giustamente, Mario Oliverio avrebbe ribadito, senza nulla togliere alla persona, che l’unico percorso possibile per il PD calabrese sono e restano le primarie per come, del resto, solennemente ribadito dal vicesegretario nazionale Deborah Serracchiani appena 48 ore fa.
Che farà Gianluca Callipo ? Resterà in pista per tentare di ricevere dalla maggioranza degli elettori di centrosinistra calabresi la legittimazione di candidato alla Presidenza della Calabria o si ritirerà in buon ordine, mostrando che in realtà il primo a non crederci a questa possibilità è proprio lui e di essere quindi stato utilizzato, consapevolmente o inconsapevolmente, come una sorta di foglia di fico dall’improbabile renzismo in salsa calabra ?

Le primarie sono un diritto sancito dallo Statuto del PD. Se ne convincano finalmente tutti.
Perché alla Calabria dovrebbe essere negato ciò che è stato riconosciuto ovunque, ultima l’Emilia ?

Le primarie sono state inventate proprio per evitare la pantomima dei candidati di superamento che, in genere, non superano un bel niente e fanno solo perdere le elezioni.

E’, dunque, del tutto evidente che ci troviamo di fronte all’ennesimo ed a questo punto disperato tentativo di far saltare le primarie per impedire a Mario Oliverio di candidarsi.

Notoriamente, il complottismo e la dietrologia non mi hanno mai convinto. Sono sempre stato per i percorsi chiari e lineari. Ma non comincia a sembrare anche a voi che tutto questo accanimento contro Mario Oliverio sia quantomeno sospetto ? Perché a tutti i costi si vuole impedire ad un esponente del PD di concorrere alle primarie come garantisce lo Statuto del PD ? Quali interessi oscuri si muovono dietro questa ostinazione ? Se Mario Oliverio è vecchio, inadeguato, usurato come alcuni sostengono, perché fa tanta paura ? Perché con coraggio e dignità non si combatte contro Mario Oliverio una battaglia politica a viso aperto, sulle idee e sui programmi e anche sulle persone come solo le primarie possono garantire ?

Io le risposte me le sono già date e comincio a credere che se le stiano dando tanti in Calabria, dentro e fuori il PD.

Un po’ di dignità

Primarie

Lo dico ai sinceri sostenitori di Gianluca Callipo: la partita in Calabria non è mai stata la data delle elezioni, ma far saltare le primarie, ad ogni costo. Ancora in queste ore questo tentativo è in atto. E chi vi fa credere che senza primarie ci sarà la “nomina” del giovane Callipo vi sta semplicemente portando a passeggio. Lo schema è niente primarie e nomina di un pupo in mano ai soliti pupari, sopra la testa dei calabresi. Tentano di fare come quel tizio che, ad un concorso ippico, siccome stava perdendo il cavallo su cui aveva scommesso, sparò all’animale che stava vincendo e fece annullare la gara. Con questa pantomina sulla data del voto, inoltre, i cosiddetti “renziani” calabresi hanno indebolito oltremodo la candidatura dello stesso Callipo. Un po’ di dignità dunque, come calabresi e come militanti dello stesso partito. Primarie il 7 o il 14 e chi ha più idee e/o filo, tessa.

Visitando il carcere ho visto solo uomini, non i loro reati

Carceri
Ieri ho accompato la deputata Enza Bruno Bossio e il consigliere regionale Carlo Guccione nella loro visita ispettiva nel carcere di Rossano.
Era la prima volta che varcavo le porte di un carcere ed ho potuto vederlo come solo i detenuti e le guardie carcerarie lo vedono quotidianamente.
Devo confessare che è stata una esperienza terribile.
Ho visto volti segnati, se mi passate l’espressione forse un po’ troppo letteraria, dalla tragedia dell’esistenza come una cicatrice.
Li ho ascoltati chiedere cose che, per noi “di fuori” sono banali: poter ascoltare un po’ di musica, guardare qualche canale in più alla TV, poter comunicare con i loro congiunti, poter scrivere o giocare su un pc, ecc. E capivo che per loro erano la differenza tra la vita e la morte per il tedio e il rimuginare continuo nei propri dolori.
Li ho sentiti parlare dei loro reati, alcuni terribili, eppure continuavo a vedere solo uomini e non reati. Ed ho “visto” il senso di ciò che i nostri padri costituenti hanno scritto: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il prossimo che sentirò pronunciare con superficialità le parole “in galera” gli dirò “vai a vedere e capirai”.
Pubblicato su:www.lagente.info
Link: http://www.lagente.info/giustizia/28-condizioni-carcerarie/972-visitando-il-carcere-ho-visto-solo-uomini-non-i-loro-reati.html

La carcerazione preventiva è una vergogna per tutti, parlamentari e non…

Bart in carcere

Ho scelto volutamente di non scrivere nulla quando fu concessa l’autorizzazione all’arresto di Franco Antonio Genovese, deputato del PD.

Non volevo espormi alla critica, troppo semplice, di fare il garantista soltanto con quelli della mia parte politica.

Scelgo, invece, di parlare dell’autorizzazione all’arresto concessa dalla Camera per Giancarlo Galan.

I casi sono diversi ma presentano caratteristiche simili: a seguito di indagini da parte delle competenti procure è stato chiesto alla Camera la possibilità di procedere all’arresto preventivo per i due deputati.

Nel nostro ordinamento, vorrei ribadirlo, l’arresto preventivo si configura solo per alcuni casi ben specificati dal codice: pericolosità sociale, pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

Senza entrare nel merito dei diversi procedimenti, nei due casi specifici non mi pare ci trovassimo di fronte alle situazioni menzionate.

Nel caso di Galan, addirittura, la Camera ha concesso l’autorizzazione prima ancora che il Tribunale della Libertà si pronunciasse sulla istanza dei legali del parlamentare contro la richiesta di arresto. Una solerzia incredibile.

Il tutto mentre in Italia impazza il dibattito sull’immunità parlamentare che, come giustamente scrive oggi Pierluigi Battista sulle colonne del “Corriere della Sera”, è stata ridotta ad un simulacro rispetto a quella pensata come strumento per garantire l’autonomia dei parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni dai nostri padri costituenti.

Si è passati da una immunità prima garantita a tutti a prescindere a quella concessa solo agli amici di partito o concessa a prescindere. Con l’ipocrisia della lettura delle carte (quasi sempre alcune migliaia) e l’aggravante che nella maggioranza dei casi i parlamentari arrestati o no (vedi i casi di Papa e Tedesco) sono risultati innocenti.

La verità è che l’abuso che si fa della carcerazione preventiva è un obbrobrio in sé, sia per i politici (condizione che è diventata un’aggravante non scritta dei nostri codici) sia (e soprattutto) per tutti i cittadini.

Oggi il 40 % dei detenuti nelle nostre carceri è in attesa di giudizio o di sentenza definitiva, vale a dire, a norma della Costituzione più bella del mondo di cui si riempiono la bocca i giustizialisti di ogni ordine e grado, innocenti.

Un paese che tiene o manda in galera persone prima che una giuria li giudichi colpevoli con sentenza definitiva è un paese incivile.

Siamo sicuri che è questo il paese che vogliono gli italiani ? Ora che la scusa Berlusconi non c’è più di questi temi si potrà parlare liberamente, o no ?

Giovanni Giolitti, un vero statista.

Giovanni Giolitti

Il 17 luglio del 1928 moriva all’età di 86 anni Giovanni Giolitti, uno dei pochi grandi statisti italiani.

Dico pochi, perché l’Italia non ha avuto grandi uomini di Stato: facendo uno sforzo enumerativo non riempiono le dita di una mano: Cavour, lo stesso Giolitti, De Gasperi, in qualche modo Bettino Craxi.

Per altri l’esperienza di governo è stata troppo breve o segnata dall’appartenenza a forze politiche di opposizione o minoritarie (penso a Nenni o allo stesso Togliatti).

Giovanni Giolitti fu, pienamente, un uomo di Stato e di governo.

Giolitti riteneva che l’Italia non avrebbe mai potuto diventare un paese moderno e pienamente inserito nel contesto delle grandi potenze europee del tempo, se non avesse allargato le basi della democrazia, condizione necessaria per lo sviluppo economico e sociale.

Pensava, giustamente, che non ci può essere sviluppo economico senza consenso e senza che a goderne siano tutte le classi sociali.

Era un liberale puro, che individuava nel Parlamento l’unico luogo dove i diversi e spesso contrastanti interessi della società italiana potessero trovare rappresentanza e risposte.

Credeva, in buona sostanza, nella centralità della politica e per questo fu il principale bersaglio delle spinte antipolitiche e irrazionaliste che cominciarono a pervadere la società italiana nel primo decennio del Novecento.

Contro Giolitti ed il giolittismo fu scatenata una vera e propria guerra che riecheggia molte parole d’ordine di oggi: nuovo contro vecchio, politicanti contro popolo (casta e anticasta), piazza contro Parlamento, ecc..

L’Italia antigiolittiana porterà il paese in una guerra sanguinosa e disastrosa e, poi, nel disordine politico e sociale propedeutico all’avvento della dittatura fascista.

Giolitti, dopo un iniziale riconoscimento del Governo di Benito Mussolini (che lo considererà, a ragione, il suo principale avversario politico) si ritirerà a vita privata in un atteggiamento di sempre maggiore ostilità nei confronti del regime che lo sottoporrà ad un’occhiuta vigilanza.

Questo riconoscimento non deve sorprendere in un uomo che aveva fatto del rispetto delle istituzioni e del re un imperativo categorico, arrivando persino a “caricarsi”, lui incolpevole, le responsabilità politiche dello scandalo della Banca romana per evitare che Monarchia e vecchie classi dirigenti liberali ne venissero travolte.

Qualcuno ha detto che i grandi uomini sono tali persino nelle loro contraddizioni: Giovanni Giolitti, anche in questo, non fu un’eccezione.

Scuola: l’ennesima “non-riforma”.

Scuola

Ho letto, come tanti, gli articoli con i quali si annunciava una legge-delega sulla scuola proposta dal sottosegretario Roberto Reggi.

Dico subito che, al netto degli annunci sulla obbligatorietà dell’aggiornamento dei docenti e su altro, chiamarla riforma mi sembra assai pretenzioso. Essa va piuttosto ricondotta alla sua vera essenza, cioè l’ennesimo tentativo di intervento sul personale per rivedere orari e stipendi.

Il tutto sugellato con la solita frase ad effetto: “la scuola cessi di essere un ammortizzatore sociale” (bum).

Non credo sia necessario ribadire che le 18 ore nelle scuole secondarie inferiori e superiori e le 24 ore nelle scuole primarie si riferiscono solo alle ore di lezione in classe.

Poi c’è tutto un lavoro al quale l’insegnante è obbligato, che in gran parte non rientra in quel monte orario (organi collegiali, programmazione, incontri scuola-famiglia, correzione compiti, ecc.).

Un lavoro delicato, sottoposto ad un controllo continuo, e non soltanto dei dirigenti scolastici, ma di un’utenza sempre più complessa ed esigente.

Se mi è consentita una battuta, discutere con i genitori sul rendimento e comportamento dei loro figli talvolta è un’esperienza che non si augura neppure ai peggior nemici !!!

Non si comprende, poi, che cosa significa proporre un aumento dell’orario a 36 ore settimanali atteso che, per come è organizzata la scuola oggi, le ore di lezione frontale possono aumentare al massimo a 24 (la media europea è attorno a 19, ma con stipendi assai più alti).

A meno che non si pensi ad una scuola a tempo iper-pieno che però significa un aumento di spesa per lo Stato e gli EELL in termini di personale ATA, servizi di pulizia, mense, trasporti, ecc..

Ci sono queste risorse ? Magari, ma mi pare che i segnali vadano in ben altra direzione (vedi il caso di Genova, dove l’esigenza di contenere la spesa ha imposto la settimana corta). E comunque resterebbe da capire che cosa dovrebbero fare i docenti nelle ore in cui non fanno lezione al netto degli altri impegni professionali.

Nessuno nega, ovviamente, la presenza nella nostra scuola  di insegnanti buoni e cattivi, quelli che a scuola praticamente ci vivono e altri che appartengono alla categoria dei “fantasmi”.

Queste due categorie percepiscono alla fine del mese lo stesso stipendio. Come, in generale, avviene in tutta la PA.

Poi ci sono gli incarichi sulle funzioni strumentali o di collaborazione con il dirigente scolastico o nei progetti PON che sono già, nei fatti, quegli incentivi economici al personale più impegnato e disponibile di cui tanto si parla.

Se oggi qualcuno dice, giustamente, introduciamo il principio secondo il quale chi lavora di più guadagna di più, non vedo come si possa essere in disaccordo. Come stabilire criteri e parametri oggettivi per non affidare tutto alla valutazione dei Dirigenti Scolatici ? Se ne discuta laicamente.

Tuttavia il vero tema che sta alla base della proposta Reggi, ripeto, non è questo.

La verità è che si vogliono produrre risparmi sul personale, azzerare le supplenze brevi e vedere come si fa cassa rispetto alle esigenze del bilancio dello Stato.

Nulla di nuovo, quindi, e nessuna riforma, solo destrutturazione di quello che c’è. E invece di una riforma vera la nostra scuola avrebbe davvero bisogno, una riforma che non solo ne ridurrebbe i costi, ma la renderebbe più efficace ed efficiente.

La nostra scuola oggi non ha identità: è la risultante di tante riformicchie senza respiro tenuta insieme con gli spilli e il senso di sacrificio di gran parte del suo corpo docente (che qualcuno lo riconoscesse, una volta tanto, non sarebbe male).

Non può sfuggire a nessuno, infatti, che dopo gli interventi sull’obbligo che, nei fatti, lo spingono fino ai diciotto anni in linea con i paesi più avanzati, si è aperto il problema di intervenire su alcuni segmenti del sistema, in particolare quello che va dal primo anno della secondaria inferiore al terzo anno della secondaria superiore.

Qui è il vero ventre molle, qui si concentrano tutte le criticità dal punto di vista pedagogico, didattico ed organizzativo.

Una vera riforma della scuola non può, quindi, limitarsi a discutere di orari e personale ma deve necessariamente porsi due domande fondamentali: primo, cosa pensiamo che la scuola debba fare, secondo come e con quali risorse debba farlo.

Hic Rhodus, hic salta. Non si sfugge.

Io penso che un intervento in quel segmento non possa non porsi come obiettivo quello squisitamente formativo, che si traduce in più ampi e diversificati contenuti disciplinari (si pensi, ad esempio, al ritorno del latino inteso come disciplina che struttura l’acquisizione corretta della lingua italiana) e in una robusta scelta a favore dell’innovazione tecnologica in linea con la cosiddetta rivoluzione digitale che stiamo vivendo.

In questo quadro può e deve essere pensato un diverso e più valorizzante uso del personale e quindi anche il superamento di evidenti discrasie, inefficienze e sprechi di risorse.

Un Governo del fare come si definisce quello di Matteo Renzi ha il dovere, anche su questo settore strategico, di introdurre una fase di netta discontinuità.

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