stato di diritto

Stato di diritto non Stato “etico”

Il Leviatano di Thomas Hobbes

Lo Stato democratico ha il dovere non solo di punire ma anche di recuperare alla vita civile i condannati. Scrissero questa norma della Costituzione persone che furono perseguitate e incarcerate ingiustamente da uno Stato che si inventò i Tribunali Speciali e dichiarava che la giustizia doveva rispondere ad un superiore principio “etico” che identificavano nella ideologia fascista. I padri costituenti ci ricordano che nello Stato democratico la giustizia deve perseguire i reati non le persone. Che non esiste lo Stato “etico” ma lo Stato di diritto. Ricordiamocelo in questi tempi bui. Anche quando discutiamo di persone che, per ideologie e distorte concezioni “etiche” presero le armi per uccidere innocenti servitori dello Stato. Lo Stato è sempre superiore, persino ai reati.

Salvini nel cul de sac

Italy's Interior Minister Salvini attends a news conference at the Viminale in Rome

Chiariamo subito prima che si scateni la solita ridda di commenti senza capo e né coda orientati solo dalla tifoseria che ormai caratterizza tutto il dibattito pubblico italiano.
1. Salvini è indagato formalmente per come prescrive la Costituzione presso il Tribunale dei Ministri per abuso d’ufficio e altre ipotesi di reato piuttosto gravi tra cui sequestro di persona. Nessun abuso ma esercizio della obbligatorietà dell’azione penale anch’essa sancita dalla Costituzione. In altre parole il Procuratore, in questo caso di Agrigento, non solo può ma DEVE agire se individua nell’azione di un cittadino, anche e soprattutto se Ministro, elementi di reato. Tutti i discorsi sulla opportunità della azione del Procuratore sono, pertanto, giuridicamente e sostanzialmente inconcludenti.

Nave Diciotti nel porto di Catania
2. È stato lo stesso Salvini a rivendicare la sua azione, che è consistita nel non aver comunicato al Ministero delle infrastrutture competente sui porti, dove far sbarcare la “Diciotti”. Sorprendersi perché un giudice fa il suo dovere o addirittura minacciarlo per interposta persona è sintomo di una concezione ben strana della legge e di uno Stato democratico sulla cui Costituzione il nostro ha giurato (magari se la leggeva prima non era male).
3. Io sono garantista fino al midollo. In un sistema democratico e di diritto tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. Salvini non deve dimettersi. Magari qualche imbarazzo lo avranno Di Maio che chiede le dimissioni anche di chi non è neanche indagato (purché suo avversario) o Conte che dice, da avvocato, “non possiamo aspettare i tempi della giustizia”. O vale per tutti o per nessuno. È la legge bellezza.

Migranti sulla DiciottiMigranti sulla Diciotti 2
In ultimo una considerazione politica: Salvini è rimasto incastrato nel suo stesso giochino. Ha fatto il duro con i poveri 170 eritrei della “Diciotti” mentre, nel silenzio generale, da luglio ad oggi di migranti ne sono sbarcati in Puglia e in Calabria più di 500. Ha cercato di forzare l’Europa minacciandola sulla base di presupposti giuridici inesistenti, che gli ha risposto picche. Ha sperato che Mattarella o Conte lo scavalcassero per avere la scusa di aprire un’altra querelle con la UE e magari una crisi di governo che portasse alle elezioni e lui capitalizzasse al massimo la sua battaglia senza paura contro i perfidi poteri forti che non lo fanno governare, ma gli è andata male. Hanno trovato il compromesso grazie alla Chiesa che ha dichiarato di accogliere gli eritrei (a proposito in Eritrea c’è una delle più feroci dittature del globo lo sapevate ?), come se le procedure di accoglienza non rimanessero in capo allo Stato italiano. Un escamotage per uscire dal cul de sac in cui si era infilato insieme al governo. Bugiardo, ipocrita, inaffidabile sul piano politico. Sul piano giudiziario ci saranno giudici a valutare. Perché c’è sempre un giudice a Berlino.

Migranti sulla Diciotti 3

Intimidazioni e politica

Federica Roccisano

Quanto accaduto a Federica Roccisano è solo l’ennesimo episodio di una vera e propria escalation di intimidazioni ai danni soprattutto di amministratori in Calabria. È il segno non solo di una forte aggressività delle organizzazioni criminali ma anche della frammentazione della società calabrese. Il ricorso al l’intimidazione e alla minaccia, infatti, nelle forme più diverse, non ha come autori soltanto mafiosi o delinquenti. Spesso la minaccia è frutto dalla semplice insofferenza ad una elementare cultura delle regole, al rispetto sic et simpliciter dello Stato di diritto. Spesso la minaccia ti arriva non solo con l’incendio dell’auto ma nelle forme più diverse, anche attraverso l’insolenza sul web. Sono tanti e troppi che esprimono una visione del mondo basata solo sui fatti propri, anche quando sono legittimi. Combattere questa cultura della sopraffazione e della prepotenza, quindi, non può essere affidata solo a polizia e carabinieri. Impone comportamenti conseguenti e rigorosi. Da affermare, magari, con il sorriso di chi sa e sostiene la politica al servizio degli interessi di tutti e non di pochi.

Verità giudiziaria e giudizio politico

Calogero Mannino

Premesso che la presunta trattativa Stato-Mafia mi è sempre sembrata avere la stessa attendibilità dei complotti della Spectre nei film di 007, francamente trovo assai discutibili certi commenti dopo la sentenza che ha assolto Calogero Mannino. Sono commenti che continuano a confondere due piani, quello giudiziario e quello politico. Si può avere il giudizio peggiore su uomini e vicende della storia politica italiana passata e recente (ed io sono tra questi) ma ciò non significa che questo giudizio corrisponda a reati commessi. Perché il nostro sistema giudiziario, che è espressione di un regime democratico, può solo perseguire reati, che hanno colpevoli con nomi, cognomi ed indirizzi, non tramutare in reati giudizi politici e storici come spesso ha cercato di fare una parte della magistratura italiana e il sistema mediatico giustizialista che prospera attorno ad essa. Giudizi politici che non reggono, come è giusto che sia, i dibattimenti nelle aule giudiziarie.

Perché difendo il diritto all’oblio di Giovanni Scattone

Giovanni Scattone

Giovanni Scattone si è sempre proclamato innocente. Tuttavia è stato condannato per omicidio colposo, vuol dire un reato in cui si ha colpa della morte di qualcuno senza averla voluta o premeditata.

Un reato grave in cui può incorrere ciascuno di noi se, guidando la macchina, mette sotto qualcuno.

Tale pena, secondo il codice della democratica Repubblica italiana, non prevede l’interdizione dai pubblici uffici.

Scontata la sua pena Giovanni Scattone ha riacquisito tutti i suoi diritti e i suoi doveri nei confronti della società.

La legge è stata rispettata, la giustizia ha fatto il suo corso fino in fondo. E allora, perché accanirsi? Perché continuare a sostituirsi ai giudici ed ai giudizi ? Possibile che il principio rieducativo della pena sia così difficile da comprendere ed accettare nella democratica repubblica italiana ? Continua a leggere

Il caso Del Turco deve farci riflettere tutti…

Del Turco

Non voglio aggiungere nulla a quanti, molto più autorevoli di me, hanno espresso forti dubbi sulla condanna subita da Ottaviano Del Turco.

Basti qui ricordare ciò che tanti hanno detto: una condanna senza prove, basata solo sulle dichiarazioni dell’accusatore, con lo stesso Del Turco che prima era stato accusato di aver chiesto soldi all’accusatore e, a fine processo, di essere stato da quello stesso accusatore, corrotto.

Un processo che ha provocato la caduta di un’amministrazione regionale, con l’arresto del suo Presidente tenuto in carcerazione preventiva per 28 lunghi giorni, con una Procura che dichiarava ai quattro venti di avere raccolto sull’ipotesi di reato della concussione (poi mutata a fine processo, in corruzione) prove “schiaccianti”.

Si aggiunga che l’accusatore, un imprenditore della sanità privata abruzzese, ha collezionato negli anni successivi, una serie di imputazioni che ne hanno minato sensibilmente la credibilità.

Chi ha seguito il processo ha visto questa montagna di prove sciogliersi come neve al sole, la cosiddetta prova regina, quella della foto del famoso cesto di mele pieno di soldi, si è dimostrata un clamoroso e maldestro falso e soprattutto non è stata trovata nessuna traccia dei soldi delle presunte tangenti milionarie che sarebbero state pagate a Del Turco.

In qualunque paese del mondo dove vige il principio elementare che per condannare una persona debbano esistere prove e riscontri che vadano “al di là di ogni ragionevole dubbio”, Del Turco avrebbe dovuto essere assolto con tante scuse e con formula piena.

Eppure Del Turco è stato condannato, anche se continuo a confidare nei prossimi gradi di giudizio.

Tuttavia è questa condanna, sia pure in primo grado, che costituisce di per sé un punto nodale sul quale occorre che tutti riflettano e fino in fondo.

Non è un problema che riguarda la diatriba tra giustizialisti e garantisti, è qualcosa di più profondo e, se vogliamo, più drammatico.

Qualcosa che prescinde la persona di Del Turco il quale ha almeno buoni avvocati con i quali difendersi anche nei prossimi gradi di giudizio, e la consolazione di avere attorno a sé un certo numero di persone che lo stimano, lo difendono e gli esprimono solidarietà anche pubblicamente.

Il caso Del Turco ci dice che in Italia è, troppo spesso sufficiente che qualcuno vada in Procura, elevi delle accuse contro un altro, non importa se vere o false, fantasiose o concrete, perché queste accuse diventino di per sé elementi di prova.

Da qui l’innesco di un meccanismo che porta prima all’emissione di misure cautelari con un gip che dà il suo assenso ad una richiesta di arresto preventivo pur in assenza palese delle circostanze che lo motivano, poi un gup che dà il via ad un processo nonostante la mancanza di riscontri oggettivi e, infine, un collegio giudicante che, nonostante il dibattimento che è, come mi insegnano i giuristi, il cuore del processo, dimostri l’assoluta infondatezza dell’impianto accusatorio, fa proprie fino in fondo le tesi dell’accusa che si basano solo su quanto dichiarato da quel singolo accusatore.

Casi simili si verificano, purtroppo, sempre più spesso, e riguardano tantissime persone, meno note di Del Turco, che vengono risucchiate in un vortice da cui spesso non riescono ad uscire.

Nessuna persona, dotata di un minimo senso di umanità, può accettare che una sola di queste aberrazioni possa continuare o ripetersi.

In uno Stato di diritto solo i colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio possono essere condannati, se quel ragionevole dubbio persiste, dicono autorevoli giuristi, per il sistema è molto meglio un colpevole impunito che un innocente punito ingiustamente.

Qui è il nodo che, purtroppo, dal caso Tortora, quindi molto prima dell’era del garantismo peloso di Berlusconi, è rimasto insoluto nella giustizia italiana.

Negare che non è utile alla giustizia che lo stesso magistrato svolga nel corso della sua carriera funzioni completamente diverse, inquirenti e giudicanti, spesso senza soluzioni di continuità e nelle stesse sedi per molti anni, è una grande ipocrisia.

Ciò deve portare alla separazione delle carriere ? In altri paesi separate lo sono e non fa scandalo, ma se non si vuole pervenire a questa soluzione sulla quale è in corso una discussione che, come spesso accade in Italia, si ammanta di ideologia, almeno si fissino regole precise sulla separazione delle funzioni.

Si affronti, infine, anche qui senza ideologia, il tema del superamento di certo spirito corporativo della magistratura pervenendo, in qualche modo, al principio della responsabilità civile del magistrati laddove sussistano elementi incontrovertibili “di dolo e colpa grave” nell’errore giudiziario.

Quello della responsabilità, infatti, è un tema decisivo, fondamentale in uno Stato di diritto.

In quale società può esistere una categoria che praticamente non è assolutamente perseguibile per gli errori che commette nell’esercizio delle sue funzioni ?

Perché ciò che vale per impiegati, funzionari, dirigenti della PA, membri delle forze armate e degli apparati di sicurezza, medici, primari, infermieri, politici e amministratori ecc. non deve valere per chi amministra quotidianamente la giustizia ?

Sono domande semplici che meriterebbero risposte semplici.

Ma in questo nostro straordinario Paese le cose semplici sono, quasi sempre, le più difficili da fare.

 

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