Attualità

LA LETTERA DELLA CALABRESE CHAOUQUI NON E’ RAZZISTA. E’ SOLO TRISTE.

20100212corriere-della-sera-1

Una brillante ragazza che lavora in una multinazionale, partita da un paesino della Calabria tanti anni fa oggi ottiene il posto d’onore con una sua lettera sulle pagine del “Corriere della Sera”, il più grande quotidiano d’Italia.

Francesca Chaouqui ci racconta di una Calabria barbara, matriarcale, in cui la discriminazione di genere e il femminicidio sono solo il frutto di una società arretrata, chiusa, in cui maschi e femmine vivono in una dimensione arcaica, con ruoli ben definiti.

Francesca Chaouqui è partita anni fa ed ha trovato, purtroppo come tanti, come troppi calabresi, solo fuori dalla sua terra le opportunità che cercava e che meritava.

Come tanti calabresi emigrati ha assorbito la concezione del mondo della città e della comunità che l’ha accolta ed ha cominciato a guardare alla sua terra prima con distacco poi, forse, anche con un po’ di implicito rancore.

La morte della povera Fabiana a Corigliano diventa così non l’ennesimo capitolo di una strage di donne che riguarda l’intero territorio nazionale, dalle Alpi alla Trinacria come si diceva un tempo, ma l’effetto di una specificità locale, regionale, il frutto di una società in cui si dice e si pratica il  “citto tu ca si fimmina”.

Potremmo dire a questa ragazza che si sbaglia, che le donne calabresi sono tutt’altro da come le descrive.

Potremmo dirle che le donne calabresi non sono affatto subalterne, che spesso proprio da loro sono partite grandi lotte di emancipazione che hanno scosso e cambiato profondamente la loro terra e anche i loro uomini.

Potremmo insistere sul concetto che le donne vengono discriminate ed uccise a Brescia e a Busto Arsizio come a San Sosti o ad Avetrana.

Potremmo dirle che le sue parole odorano troppo di pregiudizi e generalizzazioni da bar dello sport, ma lei rimarrebbe dello stesso parere, fiera di essersi “salvata” dalla sorte che è convinta sia nel destino e nel DNA delle sfortunate sue conterranee rimaste a casa.

Francesca, infatti, come tanti emigrati, cerca solo conferme alle ragioni che la spinsero ad abbandonare la sua terra per bisogno o per scelta.

Perché per tanti come Francesca questa terra è più facile leggerla con gli occhi degli altri: è più facile ma anche molto più triste.

 

 

LA MOSTRUOSA NORMALITA’ DEL DELITTO DI CORIGLIANO.

Fabiana Luzzi, la vittima dell'omicidio di Corigliano Calabro

Se fossi il padre della ragazza uccisa a Corigliano i miei sentimenti, oggi, sarebbero di rabbia e di vendetta.

Ho guardato mia figlia ieri, una ragazza quasi della stessa età di Fabiana e ho pensato che, se quell’orrore fosse capitato a lei, non avrei sopportato, forse non sarei sopravvissuto a tanto dolore.

Ho provato sdegno impotente e volontà di annientamento del responsabile di tanta violenza.

Poi ho pensato che sarebbe stata vendetta e non giustizia.

E ho guardato mio figlio, oggi un ragazzetto di 12 anni, mi sono sforzato di vederlo più grande di qualche anno.

E ho pensato che il ragazzo che ha ucciso e torturato ora probabilmente sarà nell’inferno, che solo dopo ore avrà realizzato l’enormità del suo gesto, che ciò che ha vissuto non è come un videogioco in cui le vite si rigenerano dopo averle perdute.

Ho pensato ai genitori dell’assassino che magari in queste ore stanno continuando a chiedersi (e forse lo faranno per tutta la vita, senza alcuna possibilità di risposta) com’è potuto accadere che il loro figlio abbia potuto trasformarsi in quel mostro che giornali e TV raccontano, in cosa e quando hanno sbagliato, in quale momento della loro vita di adulti normali non hanno capito e non hanno aiutato quel bambino diventato ragazzo e oggi omicida.

E allora mi sono convinto che è giusto che la giustizia faccia il suo corso, che la legge aiuti tutti noi ad uscire dai sentimenti contrastanti di queste ore, dalle reazioni emotive.

Nonostante i media che su questa storia staranno per mesi, nonostante la miriade di esperti psicologi, sociologi e quant’altro che parleranno dicendo cose giuste ma che non restituiranno la vita a chi l’ha persa, né alla vittima, né al carnefice.

Spero che, alla fine, tutti quanti noi potremo riflettere.

Perché questo delitto, questo ennesimo caso di femminicidio, per usare un termine entrato nel dibattito corrente, non sia soltanto punito dalla legge ma ci aiuti anche a capire cosa in questo nostro mondo si è rotto e come ricostruirlo.

Magari sforzandoci tutti noi, genitori di ragazzi, ad aiutare i nostri figli, ad insegnare loro il rispetto per gli altri, soprattutto se sono più deboli di noi.

Parlare alle nostre ragazze e soprattutto ai nostri ragazzi, non pensare che il tutto si risolva con il semplice esaudimento dei loro desideri materiali.

Assumendoci tutti quanti le nostre responsabilità di adulti.

Perché l’orrore di Corigliano non è distante da noi; perché possiamo riconoscerlo prima che accada nella sua, purtroppo, mostruosa normalità.

IL VERO “GOLPE” SAREBBE MANTENERE IN VITA IL “PORCELLUM”

Una vignetta satirica subito dopo l'approvazione del "porcellum"

Questa sera, insieme ad altri dirigenti e militanti del PD e del centrosinistra sarò a Lamezia Terme all’iniziativa convocata dal Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio e dal Sindaco di Crotone Giuseppe Vallone per chiedere l’abolizione del “porcellum”.

La mobilitazione sta riscuotendo in queste ore numerose adesioni tra cui quella della parlamentare del PD Enza Bruno Bossio che giustamente ha chiesto che il PD si impegni a modificare subito la legge elettorale che ci ha consegnato la situazione di ingovernabilità in cui ci troviamo.

Tornare a votare con il “porcellum”, dice Enza Bruno Bossio, sarebbe doloso, e significherebbe, con ogni probabilità, ritrovarsi nella stessa situazione che ci ha costretto ad un governo di necessità.

Chi mi segue sa che sulla questione della legge elettorale più volte dalla mia modesta postazione sono intervenuto, aderendo anche ad iniziative referendarie che, purtroppo, non hanno avuto alcun esito.

Diciamoci la verità, alcuni aspetti di questa legge stanno bene a tutti, PD compreso, che pure ha cercato (e gliene va dato atto) di stemperarne uno degli aspetti più odiosi ( le liste bloccate) con le primarie.

In particolare la legge Calderoli varata con un colpo di mano sul finire del 2005 da un centrodestra che voleva limitare la vittoria elettorale di Prodi, presenta parecchi elementi discutibili, non ultimo quello del premio di maggioranza alla Camera che viene assegnato alla prima forza o coalizione, senza alcun limite, tanto da fa esprimere più volte la Corte Costituzionale nel senso di una correzione.

Paradossalmente, se in Italia si verificasse il caso di una frammentazione ancora più spinta di quella che abbiamo oggi, per cui ci fossero 5 forze che prendono ciascuna il 20%, l’abnorme premio di maggioranza del 55% dei seggi verrebbe assegnata alla forza che ha preso il 20% più un voto, e il restante 80% sarebbe costretto a spartirsi il restante 45% dei seggi. Una aberrazione democratica, senza contare che, per quanto riguarda il Senato, dove la maggioranza è assegnata su scala regionale, nessuna forza, come è avvenuto nelle ultime elezioni dove l’elettorato si è diviso sostanzialmente in tre parti, otterrebbe la maggioranza dei seggi.

Un vero e proprio pateracchio se si considera che persino la famigerata legge Acerbo varata da Mussolini per consolidare il proprio potere prevedeva un limite minimo per accedere al premio di maggioranza del 25% su scala nazionale.

Ma il “porcellum” è odioso soprattutto per le liste bloccate. Gli eletti vengono determinati sulla base della percentuale conseguita dalla lista in ragione del loro posizionamento. La lista, d’altro canto, non appare sulla scheda così che all’elettore viene data solo la facoltà di scegliere il partito e la coalizione ma non il proprio rappresentante.

Non si tratta di cosa di poco conto: in Italia non era mai successo se si esclude il periodo fascista quando i deputati venivano eletti con un plebiscito nel quale agli elettori veniva chiesto di approvare con un Si o bocciare con un No il listone di deputati predisposto dal Gran Consiglio del Fascismo. O con la preferenza all’interno di una lista o con un voto sul candidato del collegio uninominale le diverse leggi elettorali del nostro Paese, dal 1861 ad oggi, avevano sempre garantito quello stretto legame di fiducia tra elettore, eletto e territorio, che è poi l’essenza stessa della democrazia.

Si, perché il “porcellum” ha prodotto come effetto soprattutto questo: la frattura tra eletti ed elettori, con i primi con rispondono neppure al territorio che li esprime (la possibilità di candidature multiple in diverse circoscrizioni è un altro aspetto di questo problema) ma solo alle ristrette elite dei partiti romani che li hanno indicati in posizione utile in lista e i secondi che non possono esercitare alcun controllo su di essi, sia pure per richiamarli semplicemente ai loro doveri rispetto al territorio che li ha portati in Parlamento.

Questa legge elettorale ha prodotto uno snaturamento del principio democratico che vuole il parlamentare come espressione della volontà della nazione, in nome della quale esercita il proprio mandato senza alcun vincolo, come dice la nostra Costituzione.

Chi l’ha varata e chi, al di là della propaganda, ne ha consentito la sopravvivenza, per meri calcoli di bottega come maldestri apprendisti stregoni hanno prodotto una ferita drammatica al nostro sistema rappresentativo i cui effetti si sono dispiegati pienamente dopo le ultime elezioni.

Non voglio esagerare ma il vero “golpe” di cui tanto si parla a sproposito si è verificato consentendo a questa legge di liberare i suoi effetti nefasti sul nostro sistema.

Cambiarla è dunque un dovere democratico da cui dipende il futuro stesso delle nostre istituzioni.

 

Fabrizio Barca e il “catoblepismo” calabrese

fabrizio Barca

Pubblicato su “Calabria Ora” del 12 maggio 2013

Alzi la mano chi conosce il significato del termine “catoblepismo”.

No, non preoccupatevi, credo che in Italia siano davvero in pochi, senza l’ausilio di Santa Wikipedia, a sapere che questa parola tanto astrusa significa “circolo vizioso”, rapporto distorto fra due soggetti di cui uno chiamato a controllare e l’altro ad essere controllato.

L’ex ministro Fabrizio Barca, oggi nelle vesti di nuovo commentatore del PD nel PD (categoria assai affollata di questi tempi) l’ha usata per definire la relazione distorta che è intervenuta spesso nel rapporto tra partiti e Stato.

Parola difficile usata nel contesto di ragionamenti colti, quelli che di solito animano il discorrere di Fabrizio Barca. Eppure qualcuno deve avergli consigliato di parlare un tantino più potabile e, infatti, nella sua visita in Calabria l’ex ministro ha sviluppato discorsi molto più chiari.

Ha detto, per esempio, che la Calabria è stata “mal governata anche dal centrosinistra”. Poi si è espresso con nettezza quando ha chiesto retoricamente riferendosi all’allagamento degli scavi di Sibari “dov’era il PD ?”.

Tutto condivisibile il discorrere di Barca salvo che nell’aver trascurato uno dei “catoblepismi” calabresi. Infatti, nei cinque anni di governo del centrosinistra in Calabria per tre anni la delega ai beni culturali (quindi competente sul parco archeologico di Sibari) è stata tenuta da uno dei suoi punti di riferimento calabresi, insieme alla vicepresidenza della Giunta regionale.

Senza trascurare il fatto che la personalità in questione fa parte di una scuola di economisti e maitre à penser che da anni ha costituito il centro di elaborazione e per lunghi periodi di gestione e direzione politica della programmazione dei fondi europei in Calabria, scuola di cui l’eminente prof. Fabrizio Barca è capofila.

Allora forse un tantino di prudenza maggiore sarebbe stata necessaria perché se saranno pochi i calabresi che conoscono il significato di “catoblepismo” certamente tutti conoscono la vecchia pratica del predicar bene e razzolare male di cui è pervasa non solo la politica ma anche l’intellighenzia prestata alla politica. E forse Fabrizio Barca la prossima volta farà bene a cambiare esempi per sostenere la sua “mobilitazione cognitiva”.

GIULIO ANDREOTTI: UN UOMO DI POTERE IN UN PARTITO CONDANNATO AL POTERE.

Andreotti

Quando scompaiono personalità come quella di Giulio Andreotti non si può fare a meno dal rifuggire da giudizi semplicistici e liquidatori.

Lo si deve alla grandezza di un personaggio che comunque è parte fondamentale della storia d’Italia degli ultimi settant’anni.

Lo si deve, lasciatemelo dire, all’intelligenza dei cittadini, ai quali non può essere propinata la solita lettura “giudiziaria” di una vicenda vasta e tragica che è quella dell’Italia del dopoguerra, delle sue luci e delle sue ombre.

Andreotti fu, soprattutto, un uomo politico e un uomo di stato. Fu un uomo di potere in un partito condannato dalla situazione internazionale a restare comunque al potere, la Democrazia Cristiana. Un partito in cui lui e la sua corrente non furono mai maggioranza ma spesso rappresentarono il punto (di potere, appunto) più avanzato di equilibrio.

Proprio per questo l’uomo nella sua vita, ha suscitato più odio che amore.

Andreotti fu odiato dai comunisti che in lui vedevano la personificazione di tanti mali: la DC, i cattivi “amerikani”, la mafia. Sì, perché per tanti comunisti Andreotti era mafioso ben prima che il processo di Caselli e il presunto “bacio” di Riina dessero credito a questa tesi.

La sua stessa figura fisica sembrava richiamare l’antica idiosincrasia ipocrita di tanti intellettuali italiani per la politica intesa come intrigo, segreto, manovra. Di che meravigliarsi ? Siamo il Paese che ha dato i natali a Machiavelli e nello stesso tempo più odia Machiavelli.

Ma Andreotti era odiato anche da tanti democristiani nell’infinito gioco delle correnti contrapposte dalle quali sembrava emergere sempre lui, nonostante tutti e tutto. Neanche nel PSI era particolarmente amato.

In verità Andreotti fece, nelle condizioni storiche date, quello che si richiedeva ad un politico moderato nato dal patto degasperiano di tenere fuori l’Italia dall’influenza sovietica.

I dirigenti comunisti più accorti e tutti coloro che conoscevano la politica, quella vera, lo sapevano e ad Andreotti riconoscevano il ruolo che si era assunto. Lo riconoscevano e lo rispettavano.

Poi la vicenda giudiziaria: molti l’hanno ricordato e non posso non tornarci. Andreotti si difese nel processo e non pretese di difendersi dal processo. Altro uomo, altra stoffa. E tuttavia quel processo fu, per me, un grave vulnus alla vicenda politica e sociale del Paese, la cui storia non può essere letta come un romanzo criminale.

Intendiamoci, non sostengo che la politica non si processa, anzi. Credo invece che sia la storia a non potere essere letta con le lenti di un processo giudiziario. I processi devono stabilire se ci sono reati e punirli. Non possono scrivere la storia di un Paese.

Sarà dunque la storia ad assegnare torti e ragioni. L’ha già fatto, se ci pensiamo bene.

In attesa che qualcuno con meno pregiudizi e maggiore obiettività la scriva, rendiamo ad Andreotti il rispetto che gli è, comunque, dovuto.

 

Enza Bruno Bossio: “Io voterò questo governo, ma non continuerò a farmi travolgere dalla valanga. Voterò la fiducia ma non voterò le fiducie. Non accetterò le giustificazioni del governo Monti”.

ENZA BRUNO BOSSIO

La deputata calabrese del PD nel suo intervento all’Assemblea del Gruppo sulla fiducia al governo Letta.

Premesso che avrei voluto ad ogni costo un governo senza il PdL. Non un governo massimalista ma un governo riformista, con la contraddizione che la maggioranza avremmo dovuto cercarla anche tra i massimalisti. Pur avvertendo questa contraddizione ho appoggiato incondizionatamente e con convinzione la linea di Bersani. Avrei voluto che Napolitano avesse consentito di verificare la maggioranza anche al Senato, anche per provare a rompere l’aggregazione massimalista. Avrei voluto con più chiarezza, quando è stato proposto Marini, discutere di una rosa di nomi e come e intorno a chi costruivamo una maggioranza nelle prime ma anche nella quarta votazione. E avrei voluto capire meglio perché abbiamo abbandonato Marini. Nel momento in cui si è scelto Prodi e si è di nuovo rovesciata una linea avrei voluto, aldilà delle ovazioni e delle alzate di mano, di nuovo discutere con quale maggioranza si andava ad eleggere Prodi, visto che non c’era nemmeno Scelta civica sulla proposta e il M5stelle non si sarebbe spostato dalla proposta Rodotà. Avremmo potuto votare Rodotà ? Forse, ma nel frattempo la valanga era partita. E la cosa più grave che tutti noi siamo diventati traditori, con una vergognosa distinzione nelle votazioni tra Marini e Prodi. Ci sono stati vari errori ma non ci sono traditori, è un concetto integralista che non condivido. Che ha anche alimentato qualunquisticamente una valanga che era già partita e ci ha travolti tutti. E non importa se qualcuno di noi ha fatto, nonostante le proprie convinzioni, il proprio dovere. La valanga ci ha travolti e l’accettazione da parte di Napolitano ci ha solo fatto prendere respiro, ma siamo fuori appena con la testa. Tutto ciò premesso: io ho detto nelle consultazioni che a questo punto avrei votato un governo con qualunque ministro del PdL. Non c’è contraddizione. Non si può andare al voto. Non perché abbiamo paura di perdere. Ma perché dobbiamo fare delle scelte immediate che risolvano alcune urgenze sociali ineludibili. Io voterò questo governo, ma non continuerò a farmi travolgere dalla valanga. Voterò la fiducia ma non voterò le fiducie. Non accetterò le giustificazioni del governo Monti. Non accetterò l’esclusione del Mezzogiorno non come questione locale, ma come area decisiva di esplosione delle contraddizioni della crisi. È un gesto disperato ma non casuale quello dell’attentato davanti a Palazzo Chigi. Votando la fiducia a questo governo ognuno di noi parlamentari ci metterà la faccia, per questo dobbiamo subito: 1. Negoziare con l’Europa il vincolo della politica dell’austerità 2. Attuare il decreto imprese 3. Recuperare 1,5 miliardi per esodati e cassaintegrati 4. Avviare un percorso per un nuovo welfare 5. Salario minimo ( per gli occupati) e reddito minimo per i disoccupati 6. Legge elettorale per ridurre i costi della politica e affermare con nettezza la democrazia dell’alternanza. Tutto questo deve avvenire in tempi necessari ma rapidi per recuperare pienamente il ruolo di partito riformista alternativo e vincere perché abbiamo saputo governare.

 

LE PAROLE UCCIDONO NON MENO DELLE PALLOTTOLE. STIAMO ATTENTI !!!

chigi2
Ciò che è successo oggi non va né sopravvalutato né sottovalutato. Certamente è il frutto di un brutto clima, di anni di campagne contro la politica.
Intendiamoci, la politica ha molte colpe, soprattutto quella di non essersi assunta fino in fondo le sue responsabilità e di aver alimentato la rabbia sociale quando è apparsa non solo inefficiente ma anche detentrice di privilegi assurdi e spagnoleschi.
Ma va anche detto che questa campagna antipolitica è stata spesso indiscriminata, ha fatto di tutte le erbe un fascio e spesso ha trascurato di denunciare le tante sacche di privilegio presenti nella società italiana anche più insopportabili di quelle della politica.
Come sorprendersi che un poveraccio senza lavoro e oppresso dai debiti si procuri una pistola, si vesta di tutto punto e vada davanti a Palazzo Chigi a cercare qualche politico da sparare ? In mancanza di un politico non ha trovato di meglio che prendersela con due poveri carabinieri che stavano lì a fare il loro dovere.
Per questo quando leggo post del tipo: “solidarietà ai carabinieri e non ai politici”, oppure “ha solo sbagliato bersaglio” mi preoccupo e dico, stiamo attenti tutti, anche noi semplici cittadini. Le parole sono importanti, le parole possono uccidere non meno delle pallottole.
Questo è un Paese che ha già conosciuto, in passato, la violenza politica spesso generata da parole in libertà.
La critica anche aspra è sempre legittima. Ma deve saper essere critica, saper distinguere e soprattutto essere corretta. Perché non ha ragione chi grida più forte o insulta di più, ma chi sa portare ragioni ed argomenti a quello che dice.
Dire questo non è né scontato, né buonista, né pedagogico. E’ semplicemente la regola fondamentale della democrazia. E, come si dice, repetita iuvant.

CICCIO RITROVATO NON E’ PIU’ CON NOI

Ciccio Ritrovato

Ciccio Ritrovato

Si è spento poco fa a causa di una rapida e micidiale malattia, Ciccio Ritrovato…

Con Ciccio tanti di noi perdono un amico sincero, un compagno, un pezzo di vita. Credo che pochi a Cosenza non lo conoscessero, non lo avessero in simpatia, non avessero scambiato con lui un’opinione, un commento o semplicemente un saluto.

L’ultima volta che l’ho visto era al comizio di D’Alema, in mezzo ai compagni di una vita…sorrideva commosso.

Addio amico mio, ti vorremo sempre bene…

 

UN ABBRACCIO, ALESSANDRO…

Alessandro Bozzo

Non si può morire a 40 anni. Non si può scegliere di uccidersi a 40 anni.

Aprendo il giornale stamattina ho pensato solo questo. E continuo ad avere un nodo in gola. Non lo accetto che Alessandro Bozzo non ci sia più.
Conoscevo Alessandro sin da quando aveva cominciato il mestiere di giornalista. Cortese, sorridente, con le sue idee che non nascondeva e che spesso non coincidevano con le mie. Ma era un giornalista di razza, furbo, intuitivo, sempre sulla notizia.
Mi era simpatico, anche quando ci litigavo sulle interpretazioni che dava ad alcuni fatti nei suoi articoli. Lo stimavo e anche lui stimava me. Ce lo eravamo detti tante volte.
Negli ultimi tempi non ci sentivamo spesso perché seguiva la cronaca. L’ultima volta è stata la sera delle elezioni. Mi mandò un SMS con il quale commentava duramente il voto e il comportamento del PD e del centrosinistra. Lo richiamai e continuammo a beccarci, simpaticamente, come avevamo sempre fatto. Mi ricordo che gli dissi che era il solito massimalista antipolitico.
Poi la notizia oggi. E davvero non ho più parole da dire se non quelle con le quali ci salutavamo sempre: “un abbraccio”.

Commenti
    Archivio