DC

Ciao Ciccio…mancherai a tutti…

Francesco Dinapoli

Se n’è andato all’improvviso Francesco Dinapoli, per tutti Ciccio. Conoscevo Ciccio da più di trent’anni, dai tempi della sua militanza nella DC, di cui fu un apprezzato Segretario cittadino, e dagli albori della sua carriera di giornalista nella TV locale Cam Tele3 di Padre Vittorino. Ciccio era intriso della cultura del cattolicesimo democratico, che portò nel suo lavoro di giornalista con risultati lusinghieri. Con Ciccio ti potevi anche arrabbiare e litigare ma non potevi non provare stima per lui, per la sua intelligenza e per la finezza del suo ragionare. Percepivi che al fondo era un uomo buono e incapace di rancore pur tra le mille asprezze della vita. Mancherà a tutti. A sua moglie Cinzia Gardi e alle sue due splendide figlie Rosita e Benedetta un grande abbraccio. Ciccio mancherà a tutti e continuerà a vivere nella memoria di questa nostra città.

Ciao Franco…

Franco Federico

È scomparso Franco Federico. A Luzzi e anche oltre lo conoscevano tutti. Senza esagerare, oggi perdiamo un pezzo dell’anima della sinistra luzzese. Umile muratore, era stato militante comunista sin da ragazzo. Non amava le cariche ma sosteneva il partito sempre, in un comune dove DC, PSI e PCI erano fortissimi in una dinamica complessa di contrapposizioni anche durissime ma anche di convergenze virtuose. Luzzi è stato il comune degli Smurra, dei Marchese, dei Peluso. Personalità forti. Eppure con Franco tutti dovevano parlare perché Franco era, in qualche modo, una delle voci più ascoltate non solo nel PCI ma in tutta Luzzi. Ricordo con affetto quando mi fece un “cazziatone” perché, inviato dalla Federazione (eravamo già DS) avevo dato troppa confidenza agli ex DC. Franco aveva visione e cultura politica da vendere. Abbraccio i suoi figli e i suoi nipoti. Non ultimo Umberto Federico, oggi sindaco, con larghissimi consensi, di Luzzi. Ciao Franco, ti ricorderemo sempre.

Cile, tifo e politica

Gli Inti Illimani

Gli Inti Illimani

Potete sghignazzare quanto volete sulla crassa ignoranza di Gigi Di Maio che situa Pinochet in Venezuela dopo averlo accostato, in maniera volgare ed istituzionalmente assai discutibile, al Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana.

Potreste ricordargli che il suo non è un errore di poco conto, anzi, è uno svarione di proporzioni cosmiche ignorare quello che ha rappresentato, anche nella politica italiana, la drammatica vicenda del golpe cileno dell’11 settembre 1973.

Potreste ricordargli i tanti esuli che vennero anche in Italia, a cominciare da quelli più famosi, gli Inti-Illimani, che con la loro musica testimoniarono il fallimento dell’esperienza democratica di Salvador Allende, vincitore di regolari elezioni e a capo di una coalizione di forze popolari e democratiche che tentarono di fare del Cile, un paese dove le ineguaglianze assomigliavano a quelle dell’Egitto dei Faraoni, semplicemente un luogo più giusto in cui vivere, in cui non si morisse di fame o di fatica nelle miniere, in cui una casta (questa si, vera) di pochissimi padroni deteneva tutta la ricchezza tenendo un intero popolo sottomesso e in miseria. Continua a leggere

La sconfitta di Grillo

La Caduta

Si dovevano mangiare il mondo…avevano promesso pubblici processi per i nemici del popolo, con loro sarebbe arrivata la palingenesi, la purificazione, loro unici puri e gli altri tutti pattume indifferenziato, per mesi hanno insultato sul web, per strada, nelle e contro le istituzioni. Ora tacciono e dicono che parlano domani. Qualcun altro di fronte al 41 per cento parla di nuova DC e si arrampica sugli specchi di politicismi sconclusionati come tal livido Travaglio o certi radical chic con il porche parcheggiato sotto casa. Noi diciamo loro di non preoccuparsi, il nostro impegno per salvare l’Italia vale per tutti, anche per loro. Domani è un altro giorno.

La fine del populismo e la ricerca del “quid”.

Il quid

Una mia riflessione sulla giornata di ieri al Senato.

Senza voler esagerare ciò che è successo ieri al Senato rappresenta certamente una svolta politica rilevante. Se sarà anche una svolta storica dipenderà dagli effetti che avrà sull’assetto politico-istituzionale del Paese. Le novità mi sembrano, tuttavia, rilevanti e proverò ad evidenziarle qui di seguito.

 Rottura dello schema leaderistico-populistico

Quello di ieri non è stato solo un passaggio parlamentare che ha sancito la rinnovata fiducia ad uno dei tanti governi della Repubblica, ma l’esemplificazione plastica di come antipolitica e populismo siano insufficienti e totalmente inadeguati quando è necessario misurarsi con problemi politico-istituzionali seri. Per dirla in altre parole è apparso evidente come i partiti personali e del leader non ce la fanno a reggere la sfida della complessità.

Ciò vale per Berlusconi che, dopo avere tentato di derubricare la fronda interna sotto l’epiteto semplicistico e populistico dei “traditori”, ha finito per scoprire di essere politicamente in minoranza nel suo stesso partito, la creatura che per vent’anni, sotto le diverse denominazioni, è stata una sua proprietà personale, i suoi aderenti dei semplici dipendenti.

Ma vale anche per Grillo e le sue truppe sempre più spaesate e confuse che tutto avevano scommesso sullo showdown, pronti ad andare al voto anche con quel porcellum solo a parole vituperato ma assolutamente funzionale alle formazioni politiche populiste e leaderistiche.

Se si vuole avere contezza di ciò si può andare a quanto diceva ieri in TV Daniela Santaché, la quale affermava di aver votato la fiducia a Berlusconi e non a Letta e esprimeva disprezzo per i colleghi di partito “traditori” irriconoscenti al “Caro Leader” che li aveva “nominati” in parlamento.

Lo stessa intolleranza, lo stesso disprezzo dimostrati nei confronti della senatrice  Paola De Pin dai suoi colleghi 5 stelle perché colpevole di votare la fiducia in dissenso con il “Leader assente”.

C’è in queste parole tutta l’incapacità di comprendere l’essenza stessa della politica per quella che è, vale a dire la più alta forma di direzione delle cose umane e anche la più complessa.

La politica non si fa dando ordini ma discutendo posizioni diverse e portandole a sintesi se è possibile, oppure scegliendo secondo il principio della maggioranza e della minoranza che è l’essenza stessa della democrazia. Ieri nel PDL è avvenuto quello che fino a solo qualche settimana fa sembrava impossibile: si è sviluppato un vero dibattito politico tra posizioni diverse ed opposte. Il suo leader incontrastato, quello stesso che spesso ha tuonato contro il “teatrino della politica” è stato costretto ad una retromarcia degna dei più consumati “politicanti”.

Lo stesso avverrà quanto prima anche nel Movimento 5 Stelle: è solo questione di tempo.

Perché chi dissente non sempre è uno Scilipoti, un opportunista, un traditore, ma semplicemente uno che discute ed ha deciso di non mandare il proprio cervello all’ammasso.

La paura della DC

Molti hanno paventato nell’asse dei quarantenni Letta-Alfano il “ritorno della DC”.

Francamente non vedo perché dovrebbe fare paura ad ogni sincero democratico la nascita finalmente in Italia di un partito veramente moderato come esistono in tutta Europa e che generalmente fanno riferimento al PPE.

Sarebbe questa l’evoluzione più giusta per correggere l’anomalia populista berlusconiana, che il PPE per realpolitik ha tenuto comunque dentro di sé.

Anzi, e lo dice uno che democristiano non è mai stato, questa evoluzione sarebbe utile anche per completare la transizione del campo progressista, per fare finalmente in Italia un partito che non trova ragione di essere soltanto nel suo essere alternativo al berlusconismo.

Se la fase che si è aperta ieri servirà a far fare passi in avanti a questa evoluzione, ben venga.

Anzi, la sinistra, ora che non ha più l’alibi e la coperta ideologica del “nemico” sotto cui nascondersi, deve essere all’altezza di questa sfida e, come scrive giustamente Peppino Caldarola, deve essere in grado di trovare anche lei il suo “quid”.

 

11 settembre 1973. Quarant’anni dal golpe cileno.

Salvador Allende

L’11 settembre 1973 i militari cileni attaccarono il Palazzo della Moneda a Santiago e rovesciarono con un golpe il governo democratico del Presidente Salvador Allende.

Salvador Allende, socialista a capo di una coalizione di sinistra denominata Unidad Popular, morì difendendo il palazzo presidenziale, probabilmente suicida.

A capo del golpe c’era il generale Augusto Pinochet, che rimarrà al potere fino al 1988, travolto da un referendum popolare da lui stesso voluto con l’intenzione di confermare plebiscitariamente il suo regime.

La sua dittatura, sostenuta dagli USA di Richard Nixon nel clima della contrapposizione della guerra fredda, fu una delle più feroci della storia, con migliaia di arresti, omicidi di massa, persecuzioni, esili.

Oppositori politici rinchiusi nello stadio di SantiagoIl Palazzo del governo, la Moneda, bombardato

Il Cile, paese di tradizioni democratiche, fu proiettato nella spirale delle dittature che, tra gli anni ’60 e ’70, oppressero il Sudamerica in nome della difesa da una inesistente minaccia comunista.

La guerra fredda fece il resto, facendo prosperare in quel continente una pattuglia di tiranni sanguinari e corrotti sotto la protezione degli USA.

La vicenda del Cile ebbe, inoltre, una grande influenza sulla sinistra italiana: se la vittoria di Allende del 1970 aveva incoraggiato la speranza che un’alleanza social-comunista potesse vincere le elezioni e governare un paese democratico senza dover ricorrere ad una rivoluzione violenta, il golpe del 1973 ebbe, invece, l’effetto di uno shock.

Da una parte confermò la sfiducia di una parte della sinistra nelle cosiddette istituzioni “borghesi” spingendola verso la deriva estremista e addirittura eversiva che alimenterà le file del terrorismo, dall’altra convinse il segretario del PCI Enrico Berlinguer a impostare la strategia del compromesso storico, cioè un’alleanza vasta di forze politiche anche non di sinistra per riformare la democrazia, partendo dall’assunto che con il 51% non si governa.

Molti critici hanno inteso mettere in discussione soprattutto questo aspetto della politica berlingueriana, che proprio dalla tragica vicenda del golpe cileno trasse gran parte della sua elaborazione.

La strategia del compromesso storico non produsse effetti positivi sull’evoluzione della sinistra italiana, approfondì, anzi, la distanza tra PSI e PCI spingendo il primo sulla strada di un esasperato autonomismo e di una collocazione praticamente permanente nell’orbita di alleanze della DC.

Inoltre, per ammissione dello stesso Berlinguer, non si verificò neppure quella profonda riforma del Paese e del suo sistema politico ed istituzionale italiano di cui si avvertiva la necessità già a metà degli anni ’70.

Il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, che dalla sponda DC più aveva spinto in direzione dell’incontro con il PCI, ne segnò, drammaticamente la fine.

Di certo, tuttavia, i fatti del Cile ebbero l’effetto di rafforzare in Italia la convinzione che un’uscita dal sistema democratico sarebbe stato disastroso per tutti, moderati e progressisti.

Ecco perché credo valga la pena ricordarli ancora oggi a distanza di quarant’anni, quale monito a considerare la democrazia il bene più prezioso che non bisogna mai cessare di difendere.

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