Cultura

La carcerazione preventiva è una vergogna per tutti, parlamentari e non…

Bart in carcere

Ho scelto volutamente di non scrivere nulla quando fu concessa l’autorizzazione all’arresto di Franco Antonio Genovese, deputato del PD.

Non volevo espormi alla critica, troppo semplice, di fare il garantista soltanto con quelli della mia parte politica.

Scelgo, invece, di parlare dell’autorizzazione all’arresto concessa dalla Camera per Giancarlo Galan.

I casi sono diversi ma presentano caratteristiche simili: a seguito di indagini da parte delle competenti procure è stato chiesto alla Camera la possibilità di procedere all’arresto preventivo per i due deputati.

Nel nostro ordinamento, vorrei ribadirlo, l’arresto preventivo si configura solo per alcuni casi ben specificati dal codice: pericolosità sociale, pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

Senza entrare nel merito dei diversi procedimenti, nei due casi specifici non mi pare ci trovassimo di fronte alle situazioni menzionate.

Nel caso di Galan, addirittura, la Camera ha concesso l’autorizzazione prima ancora che il Tribunale della Libertà si pronunciasse sulla istanza dei legali del parlamentare contro la richiesta di arresto. Una solerzia incredibile.

Il tutto mentre in Italia impazza il dibattito sull’immunità parlamentare che, come giustamente scrive oggi Pierluigi Battista sulle colonne del “Corriere della Sera”, è stata ridotta ad un simulacro rispetto a quella pensata come strumento per garantire l’autonomia dei parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni dai nostri padri costituenti.

Si è passati da una immunità prima garantita a tutti a prescindere a quella concessa solo agli amici di partito o concessa a prescindere. Con l’ipocrisia della lettura delle carte (quasi sempre alcune migliaia) e l’aggravante che nella maggioranza dei casi i parlamentari arrestati o no (vedi i casi di Papa e Tedesco) sono risultati innocenti.

La verità è che l’abuso che si fa della carcerazione preventiva è un obbrobrio in sé, sia per i politici (condizione che è diventata un’aggravante non scritta dei nostri codici) sia (e soprattutto) per tutti i cittadini.

Oggi il 40 % dei detenuti nelle nostre carceri è in attesa di giudizio o di sentenza definitiva, vale a dire, a norma della Costituzione più bella del mondo di cui si riempiono la bocca i giustizialisti di ogni ordine e grado, innocenti.

Un paese che tiene o manda in galera persone prima che una giuria li giudichi colpevoli con sentenza definitiva è un paese incivile.

Siamo sicuri che è questo il paese che vogliono gli italiani ? Ora che la scusa Berlusconi non c’è più di questi temi si potrà parlare liberamente, o no ?

Giovanni Giolitti, un vero statista.

Giovanni Giolitti

Il 17 luglio del 1928 moriva all’età di 86 anni Giovanni Giolitti, uno dei pochi grandi statisti italiani.

Dico pochi, perché l’Italia non ha avuto grandi uomini di Stato: facendo uno sforzo enumerativo non riempiono le dita di una mano: Cavour, lo stesso Giolitti, De Gasperi, in qualche modo Bettino Craxi.

Per altri l’esperienza di governo è stata troppo breve o segnata dall’appartenenza a forze politiche di opposizione o minoritarie (penso a Nenni o allo stesso Togliatti).

Giovanni Giolitti fu, pienamente, un uomo di Stato e di governo.

Giolitti riteneva che l’Italia non avrebbe mai potuto diventare un paese moderno e pienamente inserito nel contesto delle grandi potenze europee del tempo, se non avesse allargato le basi della democrazia, condizione necessaria per lo sviluppo economico e sociale.

Pensava, giustamente, che non ci può essere sviluppo economico senza consenso e senza che a goderne siano tutte le classi sociali.

Era un liberale puro, che individuava nel Parlamento l’unico luogo dove i diversi e spesso contrastanti interessi della società italiana potessero trovare rappresentanza e risposte.

Credeva, in buona sostanza, nella centralità della politica e per questo fu il principale bersaglio delle spinte antipolitiche e irrazionaliste che cominciarono a pervadere la società italiana nel primo decennio del Novecento.

Contro Giolitti ed il giolittismo fu scatenata una vera e propria guerra che riecheggia molte parole d’ordine di oggi: nuovo contro vecchio, politicanti contro popolo (casta e anticasta), piazza contro Parlamento, ecc..

L’Italia antigiolittiana porterà il paese in una guerra sanguinosa e disastrosa e, poi, nel disordine politico e sociale propedeutico all’avvento della dittatura fascista.

Giolitti, dopo un iniziale riconoscimento del Governo di Benito Mussolini (che lo considererà, a ragione, il suo principale avversario politico) si ritirerà a vita privata in un atteggiamento di sempre maggiore ostilità nei confronti del regime che lo sottoporrà ad un’occhiuta vigilanza.

Questo riconoscimento non deve sorprendere in un uomo che aveva fatto del rispetto delle istituzioni e del re un imperativo categorico, arrivando persino a “caricarsi”, lui incolpevole, le responsabilità politiche dello scandalo della Banca romana per evitare che Monarchia e vecchie classi dirigenti liberali ne venissero travolte.

Qualcuno ha detto che i grandi uomini sono tali persino nelle loro contraddizioni: Giovanni Giolitti, anche in questo, non fu un’eccezione.

Scuola: l’ennesima “non-riforma”.

Scuola

Ho letto, come tanti, gli articoli con i quali si annunciava una legge-delega sulla scuola proposta dal sottosegretario Roberto Reggi.

Dico subito che, al netto degli annunci sulla obbligatorietà dell’aggiornamento dei docenti e su altro, chiamarla riforma mi sembra assai pretenzioso. Essa va piuttosto ricondotta alla sua vera essenza, cioè l’ennesimo tentativo di intervento sul personale per rivedere orari e stipendi.

Il tutto sugellato con la solita frase ad effetto: “la scuola cessi di essere un ammortizzatore sociale” (bum).

Non credo sia necessario ribadire che le 18 ore nelle scuole secondarie inferiori e superiori e le 24 ore nelle scuole primarie si riferiscono solo alle ore di lezione in classe.

Poi c’è tutto un lavoro al quale l’insegnante è obbligato, che in gran parte non rientra in quel monte orario (organi collegiali, programmazione, incontri scuola-famiglia, correzione compiti, ecc.).

Un lavoro delicato, sottoposto ad un controllo continuo, e non soltanto dei dirigenti scolastici, ma di un’utenza sempre più complessa ed esigente.

Se mi è consentita una battuta, discutere con i genitori sul rendimento e comportamento dei loro figli talvolta è un’esperienza che non si augura neppure ai peggior nemici !!!

Non si comprende, poi, che cosa significa proporre un aumento dell’orario a 36 ore settimanali atteso che, per come è organizzata la scuola oggi, le ore di lezione frontale possono aumentare al massimo a 24 (la media europea è attorno a 19, ma con stipendi assai più alti).

A meno che non si pensi ad una scuola a tempo iper-pieno che però significa un aumento di spesa per lo Stato e gli EELL in termini di personale ATA, servizi di pulizia, mense, trasporti, ecc..

Ci sono queste risorse ? Magari, ma mi pare che i segnali vadano in ben altra direzione (vedi il caso di Genova, dove l’esigenza di contenere la spesa ha imposto la settimana corta). E comunque resterebbe da capire che cosa dovrebbero fare i docenti nelle ore in cui non fanno lezione al netto degli altri impegni professionali.

Nessuno nega, ovviamente, la presenza nella nostra scuola  di insegnanti buoni e cattivi, quelli che a scuola praticamente ci vivono e altri che appartengono alla categoria dei “fantasmi”.

Queste due categorie percepiscono alla fine del mese lo stesso stipendio. Come, in generale, avviene in tutta la PA.

Poi ci sono gli incarichi sulle funzioni strumentali o di collaborazione con il dirigente scolastico o nei progetti PON che sono già, nei fatti, quegli incentivi economici al personale più impegnato e disponibile di cui tanto si parla.

Se oggi qualcuno dice, giustamente, introduciamo il principio secondo il quale chi lavora di più guadagna di più, non vedo come si possa essere in disaccordo. Come stabilire criteri e parametri oggettivi per non affidare tutto alla valutazione dei Dirigenti Scolatici ? Se ne discuta laicamente.

Tuttavia il vero tema che sta alla base della proposta Reggi, ripeto, non è questo.

La verità è che si vogliono produrre risparmi sul personale, azzerare le supplenze brevi e vedere come si fa cassa rispetto alle esigenze del bilancio dello Stato.

Nulla di nuovo, quindi, e nessuna riforma, solo destrutturazione di quello che c’è. E invece di una riforma vera la nostra scuola avrebbe davvero bisogno, una riforma che non solo ne ridurrebbe i costi, ma la renderebbe più efficace ed efficiente.

La nostra scuola oggi non ha identità: è la risultante di tante riformicchie senza respiro tenuta insieme con gli spilli e il senso di sacrificio di gran parte del suo corpo docente (che qualcuno lo riconoscesse, una volta tanto, non sarebbe male).

Non può sfuggire a nessuno, infatti, che dopo gli interventi sull’obbligo che, nei fatti, lo spingono fino ai diciotto anni in linea con i paesi più avanzati, si è aperto il problema di intervenire su alcuni segmenti del sistema, in particolare quello che va dal primo anno della secondaria inferiore al terzo anno della secondaria superiore.

Qui è il vero ventre molle, qui si concentrano tutte le criticità dal punto di vista pedagogico, didattico ed organizzativo.

Una vera riforma della scuola non può, quindi, limitarsi a discutere di orari e personale ma deve necessariamente porsi due domande fondamentali: primo, cosa pensiamo che la scuola debba fare, secondo come e con quali risorse debba farlo.

Hic Rhodus, hic salta. Non si sfugge.

Io penso che un intervento in quel segmento non possa non porsi come obiettivo quello squisitamente formativo, che si traduce in più ampi e diversificati contenuti disciplinari (si pensi, ad esempio, al ritorno del latino inteso come disciplina che struttura l’acquisizione corretta della lingua italiana) e in una robusta scelta a favore dell’innovazione tecnologica in linea con la cosiddetta rivoluzione digitale che stiamo vivendo.

In questo quadro può e deve essere pensato un diverso e più valorizzante uso del personale e quindi anche il superamento di evidenti discrasie, inefficienze e sprechi di risorse.

Un Governo del fare come si definisce quello di Matteo Renzi ha il dovere, anche su questo settore strategico, di introdurre una fase di netta discontinuità.

CARI FIGLI

Genitori e figli

Cari figli,
vi prego, vi scongiuro, almeno in una cosa non crescete. Da piccoli, quando vi facevate male, chiamavate sempre la mamma o il papà.
Fatelo anche adesso quando il male di vivere vi prende, quando il dolore vi sembra insopportabile. Cercateci, chiedete.
Lo so bene. Spesso non siamo migliori di voi. Abbiamo solo più vissuto e più sofferto. Qualche parola, quindi, possiamo spenderla in vostro aiuto o almeno tentare di farlo.
Perché nessun dolore è davvero insopportabile o insuperabile, a parte quello della vostra assenza.

Tornare al “Cuore”.

De Amicis e Cuore

Ritrovare una identità della scuola italiana.

C’è un romanzo per ragazzi caduto in disuso già ai tempi della mia generazione ma che rappresenta una delle pietre miliari della nostra storia della letteratura e non solo per l’infanzia: Cuore di De Amicis.

Mi spinse a leggerlo mia zia, che lo aveva studiato a scuola.

Lo incontrai di nuovo durante i miei studi universitari nelle critiche anche feroci che gli venivano mosse.

Negli anni ’70 ed ’80, infatti, Cuore veniva presentato come un libro intriso di retorica patriottica, di sentimentalismo, di ideologia positivistica-lombrosiana, di classismo. Si diceva che non fosse neppure un libro adatto ai ragazzi, per la violenza ed i fatti tragici descritti in molte delle sue pagine.

Eppure quel libro è stato uno dei pochi tentativi, in una letteratura troppo spesso piena di vera retorica moralistica come la nostra, di dare sostanza culturale e ragione alla società italiana.

Certamente nell’Italia del 1886 i valori proposti non potevano non essere quelli borghesi, laici e genericamente progressisti della classe dirigente che aveva portato a termine l’unificazione.

Il tentativo, cioè, di dare agi italiani una coscienza civile, una cultura comune in cui potessero riconoscersi e che non poteva non realizzarsi se non attraverso la scuola, individuata come l’agenzia educativa fondamentale per realizzare l’altro grande obiettivo del Risorgimento, quello di “fare gli italiani”.

Del resto il problema della nazionalizzazione delle masse era comune a tutta l’Europa che nell’800 si affrancava definitivamente dai residui dell’ancien regime e gli Stati cessavano di identificarsi in dinastie con i loro diritti feudali e sviluppavano nuove e più rappresentative istituzioni.

In Italia si doveva anche fare i conti con la presenza invadente (e nei primi anni post-unitari anche ostile) della Chiesa cattolica che per più di un millennio era stata l’unico elemento unificante in un Paese diviso in tante entità statali spesso in conflitto tra loro e, a partire dal XVI secolo, anche subalterne alle dinamiche diplomatiche, politiche e militari delle grandi potenze europee.

L’opera di Edmondo De Amicis, che in Italia ebbe uno straordinario successo secondo soltanto al Pinocchio di Collodi, ha rappresentato pertanto un esplicito tentativo pedagogico per una società che si sapeva disomogenea se non addirittura disgregata attorno ad alcuni valori di riferimento: il re, l’esercito, l’etica del sacrificio e del lavoro, l’aspirazione alla collaborazione ed alla solidarietà tra le diverse classi sociali in nome dell’amor di patria, ecc..

Valori datati, si dirà e sui quali sono passati due guerre mondiali e vent’anni di una dittatura che la Patria la farà morire con la liquidazione delle libertà democratiche, le persecuzioni politiche e razziali e, infine, con una guerra rovinosa in alleanza con uno dei progetti totalitari più criminali della storia. Una Patria che solo la Resistenza riuscirà a risollevare nella coscienza degli italiani.

Il problema però, è che, se si escludono le grandi tensioni democratiche che hanno per fortuna interessato la nostra scuola a partire dagli anni ’60 grazie anche all’opera straordinaria di Don Milani e della scuola di Barbiana, da un po’ di anni a questa parte non c’è stato più nessun tentativo paragonabile a quello rappresentato quasi 130 anni fa dal Cuore.

La nostra scuola ha subito riforme e controriforme che l’hanno lasciata sostanzialmente senza identità.

Una scuola che soffre, del resto, del generale disorientamento di una società che ha perso punti di riferimento, in cui caste e corporazioni si contrappongono le une alle altre nel tentativo di preservare privilegi che diventano di giorno in giorno sempre più piccoli e ristretti.

Questo Paese non avrà futuro se non riusciremo a darci un sistema di valori condivisi entro cui riconoscerci ed una scuola capace di formare i giovani nella nuova dimensione della cittadinanza europea.

Fare, dunque, i nuovi italiani cittadini di una Europa senza re e senza eserciti nella speranza che da qualche parte ci sia un De Amicis che abbia cominciato a scrivere il “Cuore” degli anni 2000.

La paura del popolo caprone dei soliti gattopardi.

caprone

La democrazia moderna è nata quando si disse al popolo: ora puoi scegliere.

Ovviamente agli inizi si pensava che il popolo fosse solo quello composto dai possidenti, perché, si diceva, solo chi ha da perdere e guadagnare può davvero decidere delle sorti dello Stato.

Spaventava, insomma, l’idea che il popolo caprone, analfabeta ed ignorante, potesse scegliere davvero.

Le prime leggi elettorali furono, quindi, censitarie: poteva votare soltanto chi pagava le tasse.

Questo criterio superava persino quello della capacità, per cui se il ricco era ignorante come una capra e analfabeta (fatto non raro a quei tempi) poteva votare lo stesso. I suoi saperi erano meno importanti dei suoi averi.

Decenni e decenni di battaglie democratiche hanno poi progressivamente affermato l’allargamento del diritto di voto fino all’affermazione del suffragio universale prima solo maschile, poi anche femminile. Fu un fenomeno mondiale e con il suffragio universale nacquero anche i grandi partiti di massa.

Ma la paura del popolo caprone è rimasta comunque, arrivando fino ai giorni nostri.

Certo oggi nessuno ha la faccia di proporre una legge elettorale censitaria, anche se non ci giurerei sopra.

Prevale, in tanti e trasversalmente, una sostanziale avversione alla decisioni frutto della reale volontà popolare. E’ anzi diffusa la convinzione che solo pochi siano davvero quelli in grado di scegliere. Al popolo, al massimo, spetta la ratifica della scelta

Se ci riflettete bene questa paura sottende tanto della politica di oggi.

Così quando si tratta di eleggere i deputati e i senatori non si può prescindere dalle liste bloccate, quando si parla di primarie si dice si, ma chi vince lo decidiamo prima a tavolino.

Costoro hanno una concezione della democrazia per cui si decide solo “colà dove si puote”, con la differenza che non sono padreterni, anzi.

Sono come quei vecchi feudatari la cui autorità derivava da titoli e possessi, che si riprodussero, come il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, sotto forma di deputati e senatori nei primi parlamenti italiani.

Oggi i loro epigoni li ritroviamo dappertutto anche nel campo cosiddetto progressista a propugnare la solita solfa: tu, caro popolo sei troppo caprone per poter scegliere, lascia fare a noi. Ma il popolo caprone, tutt’altro che mansueto, una bella cornata prima o poi, finisce per dargliela “laggiù ove si puote…e si deve”.

Esame di maturità: niente panico ragazzi !!!

Maturità-2012-01

Anche domani esami di stato.

Rivedremo le scene di sempre, ragazze e ragazzi tesi nelle loro t-shirt e nei loro jeans, con le bottigliette d’acqua e le merende amorevolmente preparate dai loro genitori che presenzieranno davanti ai cancelli delle scuole in trepida attesa alla ricerca di un angolo d’ombra in attesa non si sa di che cosa.

Anche domani ci sarà il solito rito collettivo della ricerca del testo della prova, l’interrogarsi senza speranza sul modo come far arrivare o recuperare la “copia”, questa volta sotto forma da file da scaricare sullo smartphone…insomma dalla cartuccera ai PDF.

La tecnologia ha almeno alleviato le sofferenze dei poveri bidelli sottoposti a vere proprie torture ed a tentativi di corruzione che per tre giorni li facevano diventare più importanti di un ministro.

Scherzi a parte ci ritroveremo davanti uno scenario antico in cui si riproducono vecchi riti che ormai fanno parte del folklore e che in genere trascurano la circostanza che anche copiare è difficile e se uno è ciuccio non riuscirà a fare nemmeno quello.

Per questo ai ragazzi dico: domani niente panico.

Leggete bene le tracce e spremete le meningi costruendo scalette per ordinare logicamente il discorso.

Se scegliete l’articolo, il saggio breve o il tema cercate di evitare sia la ricerca dell’originalità a tutti i costi sia le banalità.

Insomma cercate di usare il cervello e di andare oltre le letture superficiali (si chiama lettura critica).

Una regola che dovrete seguire sempre e che nel nostro Belpaese sono in troppi a trascurare.

Siate dunque più maturi di tanti adulti.

Vedrete che andrà bene e come tutti noi ricorderete l’esame di stato come un momento importante ma alla fine non traumatico della vostra vita.

FESTA DELLA REPUBBLICA.

2-giugno

Principii fondamentali
“Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.
La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”. (…).
Dalla “COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA” (1849)

Perché il “grillismo” non può non finire a destra.

Grillo Nigel Farage

Si fa un gran parlare degli approcci europei di Beppe Grillo con il movimento ultraconservatore e xenofobo di Nigel Farage, UKIP.

La cosa potrà fare inorridire tanti intellettuali che, a partire dal successo dello scorso anno, si sono dilungati in ardite disquisizioni politico-sociologiche sulla natura “rivoluzionaria” del Movimento 5 Stelle.

Il fascino che massimalismo, radicalismo e rivoluzionarismo hanno sempre avuto su alcuni settori dell’intellighentzia italiana (e non solo) non è nuovo, ed è frutto di una forte carenza di analisi sia dei contenuti del messaggio politico del cosiddetto “grillismo” sia della concreta valutazione degli interessi sociali che qualsiasi formazione politica, anche quella più fortemente antisistema, si pone l’obiettivo di rappresentare.

Ora non c’è dubbio che il Movimento 5 Stelle è un movimento tipicamente, autenticamente e coerentemente antipolitico.

Esso è riuscito a raccogliere una vasta area di consenso assolutamente trasversale nel quadro di una profonda crisi del nostro sistema politico raccogliendo in un unico contenitore assolutamente trasversale tutte le proteste, le insoddisfazioni, la rabbia sociale che è cresciuta e maturata nella società italiana soprattutto in ragione della crisi economica.

E’ vero anche che il M5S ha mutuato un linguaggio politico semplificato ma sostanzialmente condizionato dall’influenza culturale della cosiddetta sinistra movimentista, che ne costituisce anche la parte fondamentale della sua struttura “militante”.

Un linguaggio politico in cui tradizionalmente prevale la propensione protestataria su quella propositiva e programmatica, l’oltranzismo delle posizioni, il manicheismo condito da robuste dosi di moralismo giustizialista e il rifiuto di ogni compromesso considerato di per sé come l’anticamera della degenerazione.

Le forze antipolitiche ed antisistema possono nascere indifferentemente sia a destra che a sinistra dello schieramento politico ma è soprattutto a destra che riescono ad assumere dimensioni di massa.

Non è un fatto nuovo, anzi. Il linguaggio ed i contenuti politici del fascismo, ad esempio, nacquero e si svilupparono all’interno dell’ala più massimalista, radicale e movimentista del socialismo italiano (Mussolini stesso), del sindacalismo rivoluzionario (Michele Bianchi), del repubblicanesimo-garibaldino (al quale aderì un giovanissimo Italo Balbo) ed in generale nell’humus politico-culturale di quel complesso fronte che agli inizi del ‘900 si definiva anti-borghese e anti-giolittiano (oggi diremmo anti-casta) che si ritroverà in forme diverse nel cosiddetto “interventismo” al momento dello scoppio della Grande Guerra. Lo stesso termine “fascismo”, del resto, non aveva, agli inizi, connotazioni di destra ma in qualche modo era legato alla tradizione associativa del movimento socialista.

Ovviamente è del tutto evidente che il Movimento 5 Stelle è cosa assai diversa del fascismo delle origini e ancora oggi è difficile collocarlo precisamente all’interno delle tradizionali famiglie politiche.

Ma è altrettanto evidente che, con la crisi del populismo di massa incarnato in questi anni da Berlusconi e dal suo alleato leghista gli spazi politici si aprono soprattutto a destra.

L’ultima campagna elettorale di Grillo e Casaleggio, al netto del richiamo ad un Berlinguer completamente depoliticizzato ed assunto ad icona di un moralismo giustizialista e rancoroso, ha cercato di toccare proprio le corde di quell’elettorato che nella polemica anti-casta ha ormai messo anche e per intero le istituzioni democratiche.

Un elettorato che in tutto il mondo, ed anche in Italia, ha sempre votato per le forze conservatrici, populiste e reazionarie.

E’ in quell’area politica che, inevitabilmente, è destinato a finire il grillismo, con buona pace dei Dario Fo di turno.

 

 

 

 

La sconfitta di Grillo

La Caduta

Si dovevano mangiare il mondo…avevano promesso pubblici processi per i nemici del popolo, con loro sarebbe arrivata la palingenesi, la purificazione, loro unici puri e gli altri tutti pattume indifferenziato, per mesi hanno insultato sul web, per strada, nelle e contro le istituzioni. Ora tacciono e dicono che parlano domani. Qualcun altro di fronte al 41 per cento parla di nuova DC e si arrampica sugli specchi di politicismi sconclusionati come tal livido Travaglio o certi radical chic con il porche parcheggiato sotto casa. Noi diciamo loro di non preoccuparsi, il nostro impegno per salvare l’Italia vale per tutti, anche per loro. Domani è un altro giorno.

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