moralismo

Moralismo gene dei fascismi

Hitler e Mussolini

Durante la fase che li portò alla conquista del potere fascismo e nazismo condussero una vigorosa polemica populista contro la vera o presunta immoralità delle classi dirigenti liberali, democratiche e socialiste che avevano governato Italia e Germania fino ad allora. Tutto, crisi economica, povertà, persino la sconfitta militare nella Grande Guerra (nel caso della Germania) o la vittoria mutilata (nel caso dell’Italia) veniva ricondotta alla incapacità e ala corruzione della “vecchia” politica e dei suoi esponenti, magari personalità che, con tutti i loro limiti e difetti, erano comunque riusciti a realizzare importanti risultati e a risolvere importanti problemi. Singoli casi di corruzione venivano assunti come paradigmatici del marciume di un intero sistema. Il Mussolini che minacciava di fare del Parlamento (l’aula sorda e grigia) un bivacco di manipoli riuscì poi ad abolirlo del tutto, imitato poi da Adolf Hitler. Insomma i due riuscirono a convincere i loro popoli che ad essere corrotti non erano solo alcuni politici ma l’intero sistema democratico. Ecco perché rabbrividisco quando la sacrosanta esigenza di riportare la politica ad una dimensione etica viene troppo spesso tradotta, anche nei nostri disgraziati tempi, in puro moralismo. Perché il moralismo è il contrario dell’etica, ed è praticato prevalentemente da mascalzoni opportunisti (Montanelli docet). E il moralismo opportunista è uno dei geni più fecondi dei fascismi.

L’insopportabile veleno del moralismo

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Questa mattina Massimo Gramellini su “La Stampa” ha raccontato il caso di un giovane ingegnere di trentatré anni di Torino che, colpito da un tumore che gli aveva provocato l’amputazione di una gamba, aveva chiesto al suo condominio di poter istallare, a sue spese, un ascensore dal momento che il suo appartamento si trovava all’ultimo piano.

Scrive Gramellini che l’assemblea di condominio “aveva negato l’assenso. La legge consentiva a Stefano – così si chiamava il giovane ingegnere -  di procedere. Ma il dominus dell’assemblea, titolare della maggioranza dei millesimi, aveva opposto ostacoli ed eccezioni, arrivando a insinuare che il giovane volesse costruire l’ascensore con gli incentivi concessi ai disabili per aumentare il valore del suo appartamento e poi rivenderlo. Aveva preteso che Stefano sottoscrivesse un documento in cui si impegnava a rimuovere l’impianto, in caso di cessione della casa, e a utilizzarlo in esclusiva, negando le chiavi dell’ascensore a parenti e infermieri. (…) Per non perdere energie che gli servivano altrove, Stefano accantonò il progetto dell’ascensore e si trasferì nell’appartamento del cugino al pianterreno, dove una morte più misericordiosa degli uomini è venuto a prenderlo ieri mattina”.

La cosa bella è che i condomini di Stefano “erano frequentatori assidui della parrocchia. Devoti al prossimo, purché non abitasse a casa loro”.

Confesso che la storia raccontata da Gramellini, pur rattristandomi non poco, non mi ha sorpreso. Sono anni che si avvertono dovunque, nel ventre molle della società italiana, i segni drammatici di una decadenza etica, un rinchiudersi negli egoismi più ristretti e, cosa più insopportabile, mascherati sotto una abbondante patina di moralismo, il veleno ideologico di questi tempi insulsi.

Nel negare a Stefano, malato e senza una gamba, la possibilità di costruire un ascensore che ne alleviasse le sofferenze sono sicuro che il capo condominio si sentiva nel giusto, perché smascherava un possibile imbroglio, una possibile speculazione.

Era così ottenebrato dalla sua visione del mondo, tutta ristretta all’interesse particolarissimo fatto di millesimi e valori catastali da non vedere davanti a se un ragazzo malato e senza una gamba, ma solo lo specchio di se stesso. “Perché ognuno del suo cuor l’altrui misura”.

Il guaio è che il moralismo è un veleno che, ormai, pervade tutto il discorso pubblico. Ad una società che avrebbe bisogno di più solidarietà, di stringersi attorno ad obiettivi comuni e condivisi, si stanno copiosamente distribuendo le tossine di una nuova concezione del mondo, quella del “solo i fatti miei e quelli degli altri sono tutti un imbroglio”.

Certo proprio un bel mondo quello che stiamo confezionando per i nostri figli.

INTERVISTA A ENZA BRUNO BOSSIO CHE CITA, NEL FINALE, QUESTO ARTICOLO

 

Il veleno dei populismo e le liste bloccate

Liste bloccate schede

Il problema non è affermare una repulsa moralistica dell’incontro con Silvio Berlusconi.

I pistolotti moralistici li lascio tutti ai giustizialisti di professione che, a dire il vero, oggi vedo assai disponibili a concedere a Renzi ciò che non hanno concesso ad altri esponenti del centrosinistra negli anni passati.

Né c’è da scandalizzarsi che l’incontro si tenga nella sede del partito, salvo rilevare che questa va bene come set di una fiction mediatica mentre non va bene per tenervi le riunioni degli organismi.

In una democrazia normale è naturale che i leader di grandi partiti contrapposti si incontrino per definire le regole della contesa e lo facciano nelle sedi dei partiti.

Il problema è che questo incontro avvenga, nei fatti, sulla base di una visione sostanzialmente comune, quella cioè di una leadership che pretende di esaurire in sé la stessa funzione delle istituzioni della democrazia parlamentare.

Al di là dei modelli elettorali che, com’è noto, sono solo un primo passo per la soluzione di problemi ben più profondi del sistema politico italiano, Berlusconi e Renzi condividono una concezione populista che si illude di poter ridurre la politica al semplice esercizio della mission of leadership.

Per questi motivi la base vera del loro accordo è costituita dalle liste bloccate nell’illusione (Berlusconi lo sa bene perché ci è passato, ma a quanto pare non ha imparato) che “nominare” i parlamentari eviti a loro il “fastidio” di fare i conti con rappresentanze e territori e li metta al riparo da ribaltoni e trasformismi. La storia di questi anni, com’è noto, dimostra esattamente il contrario. Ed è un pezzo fondamentale della crisi politica italiana.

Dare una risposta seria, coerente e di prospettiva a questa crisi è un obiettivo ben più importante del destino di Letta, di Berlusconi, di Renzi o di Alfano. Invece a prevalere sono solo gli effetti venefici del populismo.

Dare questo tipo di risposte dovrebbe essere il primo assillo dei responsabili di grandi partiti che guardano innanzitutto all’interesse generale del paese prima che a quelli di parte o personali. Da Berlusconi non ci si può attendere certamente tutto questo. Dal segretario del primo partito del centrosinistra e dello stesso paese, si.

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