Un’Italia da far rivivere. Giuseppe Zanfini, un Alberto Manzi calabrese.

Alberto Manzi

Alberto Manzi

Come tanti ho seguito la fiction “Non è mai troppo tardi” trasmessa dalla Rai nei giorni scorsi, e devo dire che mi è piaciuta ed a tratti anche commosso.

Non condivido dunque le critiche che le sono state mosse sul suo presunto carattere retorico e sulla circostanza di aver fatto del celebre maestro televisivo un “santino”.

In una Italia come quella di oggi, tanto disincantata, rozza e, lasciatemelo dire, anche tanto ostentatamente ignorante persino nel suo discorso pubblico, ben venga una fiction che parla di figure positive ed esemplari come Alberto Manzi.

Anni fa, agli inizi della mia collaborazione alla Cattedra di Storia della Pedagogia dell’UNICAL, scrissi un saggio dal titolo I pionieri dell’alfabeto con il quale ricostruivo la storia di tanti Alberto Manzi nella nostra Calabria del secondo dopoguerra.

La storia di maestri e maestre (chiamiamoli così, perché non erano solo degli insegnanti ma anche dei grandi educatori), spesso giovani segnati profondamente dall’esperienza terribile della guerra e della fine della dittatura fascista, della distruzione civile e materiale che queste avevano prodotto finanche nelle coscienze della gente comune che scelsero di dedicare tutte le loro energie alla lotta all’analfabetismo che nel Mezzogiorno era una piaga che riguardava quasi il 30% della popolazione (la media nazionale nel 1951 era del 12,9%) e nella sola Calabria si attestava a quasi il 32% (31,83%, oltre il 50% delle donne).

Fu uno sforzo immane, sostenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione con i corsi di Scuola Popolare ma anche da tante associazioni benemerite come l’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo fondata a Roma dalla pedagogista laica Anna Lorenzetto.

Fu proprio ricostruendo l’azione dell’UNLA che nel 1992 incontrai Giuseppe Zanfini. Lo incontrai nella sua modesta casa di Roggiano Gravina un pomeriggio d’inizio estate e restammo a parlare quasi quattro ore.

Giuseppe Zanfini

Giuseppe Zanfini

Quest’uomo anziano, mentre mi parlava, aveva negli occhi una luce che ancora, a distanza di anni, non riesco a dimenticare. Mi raccontò di quando, appena tornato dalla guerra fu nominato maestro fiduciario per Roggiano. Avrebbe potuto limitarsi a fare il suo dovere recandosi a scuola tutte le mattine per insegnare ai bambini, assai pochi a dire il vero, che riuscivano a frequentarla. E invece tutti i giorni si recava nelle campagne a parlare con le famiglie che non mandavano i propri figli a scuola, a convincerle, più con l’arma della persuasione che con quella della legge sul rispetto dell’obbligo, dell’importanza che i propri figli non rimanessero analfabeti.

Ricorse persino a mezzi singolari, come far interrompere proprio nel momento culminante le proiezioni cinematografiche dell’unica sala roggianese con richiami al dovere di mandare i figli a scuola. Spot a fin di bene, che dopo un uragano di bestemmie, andavano a buon fine.

Ma a Zanfini non bastava. Coglieva quotidianamente il dramma dell’analfabetismo dei suoi concittadini, soprattutto di quelli più poveri come i contadini.

Ne coglieva la diffidenza verso tutto ciò che era scritto, perché la parola scritta spesso per loro aveva significato soltanto il simbolo della loro miseria, della loro emarginazione.

Quando conobbe i dirigenti dell’UNLA ed Anna Lorenzetto, ne divenne il collaboratore più attivo e fondò a Roggiano Gravina un Centro di Cultura Popolare che diventò ben presto il punto di riferimento regionale di questa organizzazione.

I Centri di Cultura Popolare non si limitavano ad insegnare agli adulti a leggere e scrivere ma puntavano al recupero complessivo della persona analfabeta, al suo reinserimento civile e sociale. I Centri sorgevano nelle zone rurali o nei quartieri popolari delle città ed erano dotati di biblioteche, laboratori, perfino campi didattici per insegnare le nuove tecniche agricole. Al loro interno avevano una organizzazione democratica eletta direttamente dai centristi che programmava le attività. Erano, in buona sostanza, degli organismi sociali ai quali, oltre ai maestri dei corsi di scuola popolare incaricati dal Ministero, prestavano volontariamente la loro opera tutti coloro che potevano insegnare qualcosa o semplicemente dare il loro contributo (il medico, l’ostetrica, il parroco, il sindacalista, ecc.).

Per quasi vent’anni i centri di cultura popolare prosperarono in tutta la regione, alfabetizzando decine di migliaia di persone e offrendo loro la possibilità di conquistare quantomeno la licenza elementare o titoli di qualificazione professionale.

I centristi però fecero anche altro, contribuendo alla realizzazione di opere pubbliche di interesse generale attraverso la prestazione volontaria di giornate di lavoro. In questo modo furono risanati quartieri, costruiti edifici, realizzate strade.

Il Centro di Roggiano arrivò ad avere un edificio proprio dotato, cosa assolutamente unica in Calabria, persino di un laboratorio linguistico per la traduzione simultanea.

Delegazioni americane, svizzere e danesi furono coinvolte e chiamate a sostenere questa straordinaria azione di un popolo che si autoeducava.

Giuseppe Zanfini fu uno dei principali protagonisti di questa azione: insieme a lui tanti altri che meriterebbero di essere ricordati adeguatamente, anche al di fuori dell’ambito locale in cui operarono.

Alberto Manzi fu uno di questi uomini che decisero di darsi da fare: a lui toccò la notorietà della nascente televisione. Ma a sconfiggere l’analfabetismo furono in tanti, tra cui i nostri maestri calabresi.

Gente che scelsero, in un momento difficile per la loro terra, di non chiudersi nel semplice esercizio del loro dovere, ma di fare di più ed aiutare un popolo intero a fare di più.

Esempi di un’Italia da far rivivere. Per fare ciò non basta certamente una fiction, ma è pur sempre meglio dello spettacolo rissoso e volgare che spesso ci propina la nostra TV e non solo.

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