Ciao Totonno
Caro Totonno,
te ne sei andato in questo giorno di dicembre e sono pieno di tristezza.
Mai avrei creduto di stare zitto parlando di te.
So solo che con te se ne va un pezzo di Cosenza, un pezzo della nostra vita, della mia vita.
Addio, amico mio…un grande abbraccio come i tanti che ci siamo dati quando ci incontravamo e ridevamo insieme.
L’antipolitica è sempre eversiva
Lo dico subito: sono d’accordo con il Presidente Napolitano e, anzi, ritengo la sua presa di posizione anche moderata. L’antipolitica ha quasi sempre sbocchi eversivi o comunque si traduce in un degrado della qualità della vita democratica.
Un conto è contestare il politico o i singoli politici corrotti un conto è dire che, quasi lo avessero scritto nel DNA, tutti i politici sono per loro stessa natura dei corrotti. Infatti, quando si fanno generalizzazioni semplicistiche sulla “casta” alla fine, tranne pochi capri espiatori o, peggio, qualche innocente, i veri corrotti la fanno franca e addirittura hanno anche la faccia tosta di fare i moralisti e i capipopolo. La storia, alla quale non guardiamo mai per imparare, ci insegna come una società democratica senza politica semplicemente non ha senso. I grandi regimi totalitari sono nati dal rifiuto della politica preesistente e sulla base di grandi campagne di caudillos moralizzatori. Chi oggi difende e propina l’antipolitica o è un imbroglione demagogo o un povero illuso. Categorie entrambe assai pericolose, entrambe eversive. Perché bollando tutta la politica, senza distinzione, come monnezza, spesso, consapevolmente o inconsapevolmente si finiscono per buttare nel cassonetto anche le istituzioni democratiche e la libertà dei cittadini.
I servi che non servono più
Ci sono alcuni sedicenti commentatori di fatti politici che hanno la faccia rivolta all’indietro. Ma non è ignoranza la loro. È il lucido perseguimento di fini individuali e particolari che, di solito, prosperano nei conflitti. Non riescono ad accettare che la politica, quella vera e che guarda agli interessi collettivi, ad un certo momento compie delle scelte che sono di sistema. Invece di chiedersi, pur nella legittimità dei propri punti di vista, come affrontare il futuro e magari attrezzarsi per reggere la sfida, restano abbarbicati al ricordo del passato quando loro, che come oggi non rappresentavano nulla vivendo degli ossi che il padrone di turno gli gettava, credevano di avere un ruolo. Non si rendono conto che servi erano e servi sono restati. Con l’aggravante che nessuno è più disponibile a gettargli ossi nonostante continuino a scodinzolare nella speranza che qualcuno li noti. Invece di porsi il problema di come essere liberi davvero cercano disperatamente un padrone, vecchio o nuovo che sia. Perché non c’è peggior servo di quello che ancora non si rende conto di non servire più.
5Stelle e zuppe di latte
Lo spettacolo che stanno offrendo i 5 stelle in questi giorni, l’ossessione su espulsioni, fatture e scontrini, non mi sorprende. Mi sorprendono piuttosto i commenti dei cosiddetti “intellettuali” che fanno capire di essersi pentiti di aver dato credito alla “rivoluzione grillina”. Quello che costoro non riusciranno mai a capire che un movimento antipolitico ad un certo punto uno straccio di “politica” la deve pur proporre perché chi li vota non si accontenta dei vaffa e di qualche scontrino esibito sul web; e perché la politica è necessaria anche per organizzare una zuppa di latte con quattro biscotti.
Il nuovo film di Ermanno Olmi “torneranno i prati”.
Ho visto il film di Ermanno Olmi “torneranno i prati” (il titolo è proprio così, tutto minuscolo). In un’ora e venti viene rappresentata la Grande Guerra nella sua realtà più cruda, come nelle poesie di Ungaretti o nel celebre romanzo di Remarque.
La guerra che non ha nulla di glorioso o di eroico: la morte, che viene dalla esplosione tecnologica del secolo, è quasi disumanizzata.
E’ una morte che vive nei silenzi, nei rumori di una vita stentata in cui la trincea è popolata di uomini ridotti ad ombre abbruttite che si illuminano solo con l’arrivo della posta e il desiderio continuo di tornare a casa.
Le voci dei tanti dialetti italiani è un’altra componente commovente di questo film straordinario. Un film che racconta bene a questa nostra generazione il dramma di una guerra lontana ma tanto vicina perché scolpita ancora nei nomi sui monumenti di tutte le piazze italiane davanti ai quali passiamo spesso distrattamente.
Forse a quei nomi dei nostri bisnonni oggi riusciremo a dare anche un volto grazie a “torneranno i prati”.
Le vittime elettorali degli etruschi
Ogni competizione elettorale ha pochi vincitori e molti sconfitti.
Alcuni, con spirito sportivo accettano il responso delle urne con un comprensibile deluso silenzio; altri purtroppo, non rinunciano alla dichiarazione pubblica, spesso rivolta contro misteriosi “apparati” autori di chissà quali trame ai danni del candidato buono (se stesso) e a favore di quello cattivo.
Troppo difficile accettare che c’è stato qualcuno che ha semplicemente preso più voti e interrogarsi sugli errori commessi in campagna elettorale e perché il proprio messaggio non è passato.
Poco conta, poi, che tra l’ultimo degli eletti e la nostra “vittima” ci siano migliaia e migliaia di voti, spesso più del doppio.
Cosa siano e da chi siano animati questi oscuri apparati nessuno lo sa. Le loro origini, secondo Adam Kadmon, affondano nella notte dei tempi, nelle misteriose sette etrusche. Sappiate, quindi che, se la prossima volta lo stesso candidato perderà di nuovo le elezioni sarà colpa degli etruschi.
Leggere l’astensionismo
Sull’astensionismo che si è manifestato domenica scorsa credo che si debba rifuggire da analisi frettolose e superficiali.
Diciamo subito che in Italia l’astensionismo fa molto più notizia.
Nel nostro Paese, infatti, la partecipazione politica è sempre stata più alta sia rispetto al resto dell’Europa che degli USA.
Ma in quei paesi la politica è vissuta in genere con maggiore distacco senza che questo si traduca in forme di rifiuto delle istituzioni democratiche.
In Italia il calo progressivo dei votanti va avanti da più anni.
Domenica scorsa hanno inciso diversi fattori di carattere generale: il voto fuori da un turno nazionale e quindi scarsa attenzione dei media e la disaffezione verso la politica che viene percepita sempre più come incapace di risolvere i problemi della gente.
Accanto a questi ce ne sono di particolari, come il crollo del centrodestra e la stessa crisi dei M5S.
I loro elettori sono frastornati: i primi non ne possono più di una vicenda politica tutta avvitata attorno ai destini di Berlusconi i secondi sono delusi dalla assoluta inconcludenza di una forza politica che, pur avendo eletto 140 parlamentari, non riesce a cavare il classico ragno dal buco.
Questo dato ha pesato soprattutto in Calabria, dove la tradizione astensionista si è sommata alla debolezza della proposta politica del centrodestra e dei cinque stelle. Accanto a ciò un diffuso sentimento di sfiducia che ha accompagnato queste elezioni regionali non solo nei confronti della classe politica ma della stessa speranza che le istituzioni democratiche possano essere in grado di risolvere i problemi di questa terra. Un sentimento pericoloso, i cui esiti, comprendiamolo bene, non potranno certamente essere forieri di “magnifiche sorti e progressive”, ma di un ulteriore degrado della vita pubblica.
A questo pericolo dovrà dare una risposta la sinistra calabrese, oggi chiamata a responsabilità di governo.
Un capolavoro politico
Se due anni fa un bookmaker avesse voluto accettare scommesse sulle chance di vittoria del centrosinistra calabrese lo avrebbe messo cinque a uno.
Come dargli torto di fronte allo spettacolo di un PD commissariato, debole, diviso e marginalizzato che si rappresentava mediaticamente attraverso le elucubrazioni di gente senza testa e senza voti, espulso dal governo delle principali città.
La storia di questi anni ci parla di feroci polemiche tutte interne mentre il centrodestra, tutt’altro che unito, pensava soltanto ad amministrare e ad allargare con arroganza il potere riducendo la Calabria nel modo che conosciamo.
La lunga marcia è partita da un congresso di sezione, quello del circolo del Centro Storico di Cosenza.
L’unità si ritrovò nella e sulla politica e mettendo in campo un rinnovamento vero, non quello enunciato a soli scopi di continuismo e sostituismo.
La presidenza di Mario Oliverio è stata costruita a partire da lì. E non è un caso che i veri sconfitti oggi siano proprio continuisti e sostituisti.
Un voto necessario
Domani, al termine di una complicata vicenda istituzionale e nel mezzo della peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi, la nostra Calabria tornerà a votare.
Si può dire tutto quello che si vuole, nutrire i sentimenti più crudi nei confronti della politica ma nulla potrà mai togliere valore all’atto principe della democrazia, il voto.
Il voto è un diritto e un dovere civico. Chi vota si assume la responsabilità di scegliere. Non votare significa soltanto sottrarsi a questa responsabilità, lasciare che altri, forse i peggiori, scelgano per noi.
Il non voto non è protesta, ma solo rinuncia. È lasciare campo libero a chi, davvero, finora ha fatto solo danni ed ha perpetuato sistemi di potere personalistici e particolaristici.
La Calabria, invece, ha bisogno di una collettiva assunzione di responsabilità.
Il centrosinistra, il PD, Mario Oliverio hanno parlato a tutti il linguaggio della verità.
La situazione è grave e non ci sono salvatori della patria o eroi o grandi timonieri o signori più o meno illuminati. Tutti questi, in genere, presuppongono masse di seguaci o di sudditi. Al contrario ci deve essere un popolo che si alza e si mette in cammino, un popolo che sostiene un progetto di cambiamento rifuggendo chiacchiere e demagogie.
Domani io, come faccio sempre da quando ho l’età della ragione, andrò a votare per scegliere Mario Oliverio, il mio partito, il PD, e dare anche una preferenza, a Carlo Guccione.
Farò tutto questo con la consapevolezza che davvero questo non è un passaggio ordinario della vita della nostra terra. Con la convinzione che davvero e soltanto tutti insieme, ce la possiamo fare.
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