L’insostenibile cultura dell’anti…

NO

Viviamo un’epoca per certi aspetti assurda.

Vittorino Andreoli qualche tempo fa la definiva l’epoca dell’uomo pulsionale che ha completamente soppiantato l’uomo moderno figlio della cultura occidentale.

L’identità ha cessato di essere frutto della sedimentazione di culture e si caratterizza come frutto di pulsioni irrazionali, come elemento che scaturisce dalla contrapposizione ad un nemico reale o immaginario che sia.

Nessuno ne è immune, basta guardarsi intorno.

Tutti ce l’hanno con qualcuno o qualcosa, pochi si interrogano su se stessi.

Se guardiamo all’umanità che si esprime sulla piazza globale dei social sono tutti anti qualcosa, pochi a favore o per. Perché per essere anti non è necessario pensare, interrogarsi, sviluppare quella straordinaria dote umana che è l’analisi, la critica, in una parola, la cultura.

Essere anti dà sicurezze consolatorie quanto effimere non certezze stabili che invece richiedono anche il sacrificio del mettersi in discussione.

Il tutto con il contorno di classi dirigenti che si illudono di poter cavalcare tutte le tigri possibili dei malcontenti e delle paure umane in cambio di un consenso altrettanto effimero e di intellettuali che si crogiolano, nella migliore delle ipotesi, nella loro presunta diversità.

Tutto volge al peggio e si sceglie sempre il peggiore. C’è davvero poco da stare allegri.

Forse è arrivato il momento della responsabilità, ma sono ancora troppo pochi coloro che hanno il coraggio di affermarla di fronte alla Vandea che monta ogni giorno di più in questo nostro mondo. Perché questo è il confine che separa la civiltà e il progresso dalla barbarie e dall’homo homini lupus.

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