La riforma della scuola facciamola noi

La Scuola di Daniele Luchetti

Pubblicato su La C News 24

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Quella che il Parlamento sta varando a colpi di voti di fiducia è una pessima legge e chiamarla riforma non solo è pretenzioso ma addirittura ridicolo.

Questa legge non affronta nessuno dei problemi della scuola.

L’articolato scaturito dopo diversi rimaneggiamenti parlamentari è confuso, pasticciato e genererà sin dall’avvio del prossimo anno scolastico una marea di ricorsi con docenti e dirigenti che passeranno più ore nelle aule dei tribunali amministrativi che a scuola.

Una legge confusa ma anche ingiusta perché assume solo una parte dei precari che pure avrebbero titolo ad entrare nel mondo della scuola per il semplice fatto che già ci lavorano da anni;  con profili di incostituzionalità nella parte che riguarda la chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi, nonostante positivi ma insufficienti aggiustamenti; una legge che sconvolge fino a negarli i diritti alla mobilità territoriale e professionale.

Tacerò, per carità di patria, sugli effetti politici ed elettorali devastanti che questa legge ha prodotto e produrrà sul PD che è riuscito ad inimicarsi gran parte di un mondo tradizionalmente a lui vicino.

Ora, però, si tratta di guardare avanti e, come operatori della scuola comprendere perché tutto ciò è avvenuto e come sia possibile non disperdere il vasto movimento che si è espresso in queste settimane per farla davvero, dal basso e finalmente la riforma della scuola.

Per fare questo io credo che dobbiamo partire dalla consapevolezza che il nostro mondo, il mondo della scuola, troppo spesso è apparso corporativo e gli insegnanti continuano ad essere dipinti come dei fannulloni che lavorano poco ed hanno tre mesi di vacanze all’anno.

Sappiamo tutti che si tratta di una colossale mistificazione, ma questo problema esiste perché da anni i temi della formazione e la stessa professione docente hanno perso riconoscibilità sociale e la scuola è stata vista e rappresentata come un gigantesco ammortizzatore sociale.

Tutti quanti noi siamo pronti a riconoscere che il quadro rappresentato nel bel film di Daniele Luchetti “La scuola” è più che realistico, con prof. generosi e stakanovisti davvero attaccati al loro mestiere ed ai ragazzi, prof, stanchi e demotivati, prof. fannulloni ed arroganti.

Questo perché la nostra scuola, purtroppo, è figlia di un grande processo di destrutturazione: i grandi movimenti degli anni ’60 e ’70 hanno avuto il merito storico di demolire la vecchia scuola autoritaria e classista ma ad essa non hanno sostituito nulla di nuovo.

Non può essere un caso che il settore della scuola più efficiente e che regge tutti i confronti a livello di paesi OCSE è quello che ha subito un processo di riforma reale, mi riferisco all’introduzione dei moduli nella scuola primaria che neppure la Gelmini è riuscito a demolire con il suo “insegnante prevalente”.

Dopo la primaria il baratro: la scuola è tornata ad essere socialmente selettiva (altro che merito), i ragazzi più svantaggiati non riescono ad accedere ai gradi superiori e finiscono per disperdersi nel mare della disoccupazione dequalificata.

Gli effetti di tutto ciò si vedono sul Paese che ha sempre meno laureati, sempre meno diplomati, sempre meno quadri per il suo sistema produttivo e classi dirigenti sempre più scadenti e corporative.

Storicizzando, dalla riforma Gentile degli anni ’20 ad oggi, se si escludono la riforma della scuola media unica e la liberalizzazione degli accessi alle università introdotte sotto la spinta democratica degli anni ’60 e ’70, il nostro sistema formativo non ha conosciuto vere e proprie riforme ma continui ed insufficienti aggiustamenti che hanno generato un quadro normativo fortemente stratificato e intricato.

Il tentativo operato da Luigi Berlinguer, che pure aveva un respiro organico, fece la fine che sapete anche perché si commise il tipico errore illuminista delle riforme calate dall’alto.

E’ del tutto evidente, dunque, che attestarsi o dare l’impressione di attestarsi (che poi è la stessa cosa), nella difesa dello status quo come pure è stato strumentalmente detto in questi giorni consentirà soltanto a gente che di scuola non capisce nulla di venirci a fare la solita lezioncina e continuare a rifilarci riformicchie fatte con i piedi.

E’ venuto il momento che tutti coloro che hanno a cuore la scuola si pongano come obiettivo quello di operare una riforma vera che, a mio parere dovrebbe partire da alcuni punti fondamentali:

a)      Riforma dei cicli. Una scuola primaria di 6, 7 anni, un biennio di orientamento e due o tre anni di scuola superiore. Non sfugge a nessuno, infatti, che dopo gli interventi sull’obbligo che, nei fatti, lo spingono fino ai diciotto anni in linea con i paesi più avanzati, si è aperto il problema di intervenire su alcuni segmenti del sistema, in particolare quello che va dal primo anno della secondaria inferiore al terzo anno della secondaria superiore. Qui si è creato un vero e proprio imbuto, dove si concentrano tutte le criticità del sistema in termini di successo scolastico e di abbattimento delle differenze sociali e culturali che è poi la funzione fondamentale della scuola dell’obbligo;

b)     Una scuola formativa. Che senso ha parlare di più inglese, più informatica, più geografia se da anni il nostro sistema formativo non ha un impianto pedagogico organico ? Io credo che la scuola del nuovo secolo non può che porsi come mission lo sviluppo del pensiero critico che consenta ai ragazzi di orientarsi, vivere e lavorare in un mondo in cui le informazioni viaggiano molteplici e spesso incontrollate. Una scuola che sia in grado di valorizzare il patrimonio artistico, culturale, scientifico italiano e farlo diventare l’elemento distintivo di un Paese che compete in Europa e nel mondo;

c)      Puntare al ruolo unico dei docenti. Ormai nella scuola si accede tutti con la laurea e certe differenziazioni sono ormai anacronistiche. Insegnare alla scuola primaria o a quella superiore richiedono professionalità diverse che vanno valorizzate nel quadro delle diverse funzioni svolte. Il rinnovo dei contratti ribadito dalla sentenza della Consulta può essere l’occasione per discutere di tutto questo e chiama il sindacato a svolgere una funzione fondamentale sapendo che il problema non può essere trattato soltanto dal punto di vista dei quadri orari e degli stipendi;

d)     Valutazione e premialità. Non bisogna avere paura della valutazione essa è l’essenza della scuola. Ma va fatta con serietà e competenza. La soluzione proposta nel DDL scuola con un comitato composto dal dirigente, un soggetto esterno, docenti e rappresentanze di genitori e studenti è inefficace e propagandistica. E’ lo Stato che deve garantire la valutazione dei suoi funzionari attraverso un ruolo ispettivo qualificato a giudicare il lavoro delicato degli educatori e premiare davvero i migliori e magari destinare a fare altro quelli meno capaci. Non è più accettabile che gli insegnanti restino gli unici dipendenti della pubblica amministrazione a progredire nella carriera e nello stipendio solo per anzianità;

e)      Una vera autonomia. Se vogliamo che la scuola sia davvero capace di essere una comunità educante sul territorio è necessario valorizzare davvero l’autonomia. Ha poco senso che a dirigere le scuole ci siano persone alle quali si richiedono competenze manageriali e non pedagogiche e didattiche. D’altro canto i dirigenti scolastici sono dirigenti di serie B perché esclusi dal ruolo riservato ai loro colleghi della PA. Paradossale che oggi li si carica di sempre maggiori responsabilità senza riconoscergli ruolo, funzione s stipendi adeguati, visto che un semplice capo servizio di un ente locale o di un ministero lavora molto meno e guadagna molto di più. In questo quadro sarebbe utile pensare ad una nuova governance con un preside che, secondo il modello dei rettori delle università, sia eletto dalle componenti della scuola e che si occupi di didattica, di progettazione educativa, di rapporti con il territorio, ecc. e un dirigente che invece si occupa della gestione burocratica, personale, bilanci, gare e appalti potenziando il ruolo che attualmente svolge il DSGA. A questi aggiungere un ruolo ispettivo degno di questo nome che deve essere svolto da dirigenti dotati di profonde competenze culturali e psico-pedagogiche con il compito di verificare che la formazione fornita dallo Stato sia adeguata ed efficace su tutto il territorio nazionale e per tutti i ragazzi a prescindere dalla loro provenienza sociale, etnia, religione, ecc..

Ovviamente quelle sopra esposte sono solo delle idee di un quadro non esaustivo. Per ciascuno di queste sono necessari approfondimenti, altre ne possono venire  Ma è necessario guardare avanti e continuare a discutere.

Perché sulla scuola la partita non si è chiusa con i voti parlamentari di queste settimane: anzi, è e resta completamente aperta.

 

Cosenza, li 26 giugno 2015

 

 

Gabriele Petrone

 

 

 

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