A Paola presentazione del libro “Le città perdute” di Maria Luisa De Ciancio

Le città perdute

Prefazione

Non posso non confessare due difficoltà nell’accingermi a scrivere questa breve nota di prefazione alla raccolta di poesie di Maria Luisa De Ciancio.

La prima è costituita dalla grande amicizia che mi lega all’autrice, collega insegnante in questo difficile mondo della nostra scuola, personalità ricca, le cui doti umane ho avuto modo di apprezzare negli ultimi anni. Scrivere delle fatiche letterarie di persone amiche è sempre operazione complessa, perché si rischia di essere condizionati da quelle corrispondenze sentimentali che appunto l’amicizia porta con sé.

La seconda è la mia incompetenza nel giudicare la poesia, essendone io solo un lettore, tra l’altro afflitto da una serie di pregiudizi “classicisti” che non mi hanno mai fatto frequentare le tendenze più moderne e avanzate che si sono affermate negli anni più recenti.

Tuttavia io credo che la poesia sia materia che deve essere soprattutto “sentita” più che letta, per cui le due difficoltà sopra descritte ho potuto declinarle sotto forma di testimonianza di sensazioni e, appunto, di sentimenti.

In questo senso posso dire che il lavoro di Maria Luisa De Ciancio è davvero bello, a tratti struggente nella sua ispirazione.

È il frutto di una intensità di passioni e di tristezze che sorgono dalla crudezza e crudeltà dell’esistenza umana connesse alle gioie anche elementari che sa offrire la contemplazione di una natura che sempre partecipa e spesso consola.

È questa una delle cifre fondamentali dei versi di Maria Luisa, arricchiti da un lessico meditato e ricercato di immagini o metafore, come quelle dei deserti o dei silenzi, a cui spesso l’autrice ricorre, che non sono mai del tutto vuoti e neppure completamente silenziosi.

Per uno come me che ha sempre creduto nella dimensione puramente umana e materiale (in senso filosofico) della esistenza umana, il lavoro di Maria Luisa ha costituito dunque  una piacevole sorpresa.

L’idea che si possa sconfiggere il male di vivere, l’assurdità della solitudine della condizione umana così tipica del nostro tempo, anche semplicemente raccontandola e rappresentandola nella sua nuda realtà, è altrettanto forte e valida di chi ha scelto di non abbandonare le barricate del cambiamento, sia pure come tendenza di fondo della propria vita.

Maria Luisa ha scelto la sua barricata, non ha abbassato le sue bandiere: ha deciso con coraggio e consapevolezza di non arrendersi al dolore di vivere.

Gliene va dato atto in un mondo sempre più distratto, dove persino il dolore è diventato merce, persino la tristezza è stata derubricata a semplice moda.

Le poesie di Maria Luisa sono, dunque, una scelta di resistenza, un grido poderoso contro la rassegnazione.

Da qualche tempo l’autrice ha scelto di usare la sua pagina Facebook per veicolare i suoi versi, che si sono stagliati puri e limpidi in mezzo a tante banalità, cattiverie, crudeltà che spesso popolano il mondo dei social, specchio spesso deformato in peggio della realtà crudele del nostro tempo.

Oggi la scelta di pubblicare, il volere fissare permanentemente uno sforzo letterario che merita di non andare disperso nella volatilità di un post, di essere apprezzato più significativamente che con un like o un emoticon.

A Maria Liisa, dunque, tutti coloro che la leggeranno devono essere grati perché la sua non è stata, almeno così io voglio interpretarla, una scelta di pura resistenza, quanto piuttosto un desiderio profondo di continuare a dire al mondo: “Ehi, io sono viva, non pretendo di essere migliore ma solo di continuare ad esistere su questa terra, perché i miei sentimenti sono veri, belli, degni comunque di rispetto come quelli di tutti gli esseri umani che non hanno rinunciato mai alla propria individualità”.

Ecco, anche io a Maria Luisa voglio dire grazie per il suo lavoro, che spero non resti isolato.

Perché, a prescindere da tutto, se la primavera resta “blasfema”, lontana, cattiva, non per questo ad essa bisogna rassegnarsi o rinunciare. E perché nessuna città resta perduta per sempre.

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