Gabriele Petrone

D’ALEMA: IL COMPORTAMENTO DI INGROIA RENDE POCO CREDIBILE IL PAESE

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“Ingroia prima ha condotto l’inchiesta Stato-mafia, non a caso conclusa con una candidatura elettorale, usando il suo ruolo per processare la storia del nostro Paese, poi ha abbandonato il suo ufficio internazionale. Da ministro degli Esteri, so cosa ha significato riuscire a ottenere dall’Onu l’incarico in Guatemala per un italiano. E so cosa vuol dire per la credibilità del Paese che l’incaricato stia lì solo una settimana, per giunta in collegamento con Santoro, e poi se ne vada”.


Scuola Bene Comune

Incontro – 23 novembre 2012 ore 17,00 al Caffè Letterario di Piazza Matteotti – Cosenza — Con: Enza Bruno Bossio, Raffaella Ciardullo, Maria Francesca Corigliano, Caterina Gammaldi, Gabriele Petrone, Alfredo D’Attorre e la Responsabile Nazionale Scuola del PD Francesca Puglisi.

LA SENTENZA DELL’AQUILA SA TROPPO DI CACCIA AGLI UNTORI

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Condannare degli esperti per omicidio colposo per non avere, in sostanza, previsto un terremoto che notoriamente è un evento scientificamente imprevedibile, sa troppo di sentenza basata sulla pressione di una opinione pubblica sconvolta da un evento drammatico e disastroso, sa di volontà di trovare comunque capri espiatori, untori da dare in pasto a folle superstiziose come avveniva nei secoli passati. Senza contare il fatto che, d’ora in avanti la Commissione Grandi Rischi sarà nei fatti messa in condizione di non potere esprimere pareri, perché condizionata o dalla paura di procurare allarmi o di non procurarli. E ciò varrà per ogni esperto chiamato ad esprimere valutazioni di merito su fatti piccoli e grandi, con buona pace del principio dell’autonomia della scienza, che è un valore conquistato da secoli con Bernardino Telesio e Galileo Galilei. Non è un caso che questo processo, prima ancora della sentenza è stato seguito dalla stampa internazionale e sta suscitando forti critiche rispetto al nostro sistema giudiziario che già non godeva di buona fama. Mi chiedo e vi chiedo, fermo restando tutte le valutazioni giuridiche del caso e il processo di appello: si poteva evitare tutto ciò, e soprattutto i colpevoli del disastro dell’Aquila non andavano forse meglio cercati in tanti che hanno alimentato abusivismo e violazioni di leggi antisismiche, in chi non ha mai predisposto piani di protezione civile, ecc. ?

E’ BELLO SENTIRE VICINO IL TUO PARTITO IN QUESTO MOMENTO…

Bersani in un comizio

Bersani in un comizio


BERSANI: SE RESTANO QUESTE NORME SULLA SCUOLA NOI NON LE VOTIAMO
“Voglio dirlo con chiarezza: noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola, sono norme al di fuori di ogni contesto di riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa”, afferma Pier Luigi Bersani, a proposito delle disposizioni contenute nella legge di stabilità.
Nel rispetto dei saldi, “chiediamo al Governo di rendersi disponibile a modifiche significative. Noi metteremo attenzione alla questione fiscale cercando una soluzione più equa e più adatta ad incoraggiare la domanda interna”. Il Pd, aggiunge Bersani, “metterà attenzione al tema ancora aperto degli esodati”. Ma le norme sulla scuola, per il segretario Pd, “così come sono non saremo in grado di votarle”. “Voglio credere – conclude il leader dei democratici in un comunicato – che ciò sarà ben compreso dal Governo. Diversamente saremmo di fronte ad un problema davvero serio”.

FU GRAVE ERRORE CONSEGNARE IL GARANTISMO ALLA DESTRA BERLUSCONIANA

Raffaele Della Valle

Raffaele Della Valle


La fiction di Tognazzi sulla tragica vicenda di Enzo Tortora ha riportato alla memoria due figure assai importanti di quella vicenda, sulle quali vorrei fare una riflessione: Raffaele Della Valle, avvocato del presentatore che fece politica nel Partito Liberale e poi, per breve tempo, in Forza Italia, partito che contribuì a fondare salvo allontanarsene dopo breve tempo proprio in polemica con Berlusconi. Marco Pannella, leader dei Radicali, personaggio assai discusso e controverso, protagonista di importanti battaglie per i diritti civili ed individuali negli anni ’70 e ancora oggi presente nel dibattito politico.
Entrambi, come si vede, furono risucchiati dal berlusconismo degli albori proprio in nome di quella rivoluzione liberale di cui l’Italia continua ad avere bisogno.
Furono illusi dall’imbonitore di Arcore, certamente, infatti l’abbandonarono abbastanza rapidamente, ma resta da chiedersi perché andarono lì e non a sinistra. E sulla sinistra, ancora oggi, grava l’errore di non aver saputo coniugare la giusta e sacrosanta battaglia per la legalità con la difesa delle garanzie costituzionali che sono alla base di ogni vero sistema democratico.
Aggiungo un ricordo personale: era l’86 o l’87 e Tortora venne all’università a tenere un incontro; noi, i giovani comunisti dell’UNICAL, lo incrociammo e cominciammo a contestare le posizioni del radicali. Lui ci guardò e ci disse: “Voi comunisti, sulla giustizia, siete peggio dei Borboni”. Aveva ragione.

29 AGOSTO 1862: IL RISORGIMENTO FINI’ IN CALABRIA. 150 anni fa, Garibaldi veniva ferito dai bersaglieri in Aspromonte

Garibaldi ferito in Aspromonte

Pubblicato su “Calabria Ora” del 29 agosto 2012

Per quelli della mia generazione, quando il il Risorgimento si studiava alle scuole elementari, era molto familiare una canzone sul ritmo della marcia dei bersaglieri che diceva “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…”.
Quella canzone ricorda un episodio  poco frequentato dalla agiografia risorgimentale e che accadde proprio in Calabria il 29 agosto del 1862 sull’Aspromonte. Significativo il fatto che l’unica ferita piuttosto grave in decenni di scontri in ogni parte del globo, il famoso Eroe dei Due Mondi la prese per un colpo sparatogli dai bersaglieri di quella nuova Italia che proprio lui aveva tanto contribuito a costruire in decenni di battaglie e con la straordinaria impresa dei Mille di appena due anni prima.
Ma come si giunse a questo scontro a fuoco che simbolicamente suggella la fine del Risorgimento e l’inizio della travagliata storia del nuovo Stato italiano, episodio ben ricostruito nel suo splendido film “Noi credevamo” dal regista Martone ?
Il Regno d’Italia era stato proclamato il 17 marzo del 1861 dal Parlamento di Torino dopo più di quarant’anni di moti, rivolte e guerre. Decisivo era stato il compromesso tra democratici e moderati, con l’accettazione da parte dei primi della formula monarchica con a capo Vittorio Emanuele II di Savoia ”purché l’Italia, finalmente, si facesse davvero”.
Garibaldi era stato il principale fautore di questo accordo in polemica con l’intransigenza di Mazzini, consapevole che solo la forza militare del piccolo stato piemontese, l’unico dotato di un vero esercito e ormai schierato sul terreno liberale (Vittorio Emanuele non aveva revocato, nonostante le pressioni austriache dopo la sconfitta del 1848, lo Statuto concesso dal padre Carlo Alberto), avrebbe potuto realizzare il sogno di una Italia libera e unita dalle Alpi alla Trinacria, come si diceva allora.
E nel biennio 1859-1860 il sogno per i quali tanti erano morti e avevano patito anni di prigione e di esilio comminati dagli autoritari stati preunitari (per i quali certo neonostalgismo da operetta appare davvero ridicolo) la combinazione della vittoriosa guerra contro l’Austria con l’appoggio delle armate francesi di Napoleone III e della straordinaria impresa garibaldina contro il Regno delle Due Sicile, consentì di proclamare il Regno d’Italia. Mancavano però ancora il Veneto, il Friuli e il Trentino, rimasti sotto la corona austriaca, e Roma e il Lazio, rimasti sotto il dominio temporale di papa Pio IX ma, soprattutto, sotto la protezione dell’imperatore francese che non intendeva perdere l’appoggio dei cattolici francesi.
Del resto Roma rappresentava per tutto lo schieramento liberale ed indipendentista italiano un obiettivo prioritario. Senza Roma capitale, l’Italia non ci sarebbe mai stata davvero.
Lo stesso Cavour, primo artefice dell’alleanza con la Francia e Napoleone III, aveva fatto proclamare dal Parlamento “Roma capitale” come obiettivo fondamentale del processo unitario italiano già nel marzo del 1861, pochi mesi prima della sua prematura scomparsa.
Per i democratici e Garibaldi Roma rappresentava poi il simbolo stesso della lotta risorgimentale, il sogno della loro gioventù quando nel 1849 avevano proclamato e diretto (Mazzini politicamente e Garibaldi coprendosi di gloria combattendo conto le armate francesi) la straordinaria, anche se breve, esperienza della repubblica romana.
Fosse stato per Garibaldi dopo aver sconfitto i borbonici sul Volturno nell’ottobre del 1860 l’impresa dei Mille avrebbe dovuto proseguire fino alla liberazione di Roma, ma fu Vittorio Emanuele II a fermarlo, su pressione di Cavour che temeva una guerra con la Francia e un terremoto nella politica europea del tempo.
Due anni dopo, siamo nel giugno del 1862, Garibaldi decide di lasciare Caprera e andare in Sicilia. Le cose non vanno bene per il giovane Stato. Praticamente tutto il Mezzogiorno continentale è percorso da una vera e propria guerra civile, il brigantaggio, contro il quale è schierato un terzo degli effettivi dell’esercito italiano in una lotta senza quartiere.
Eppure Garibaldi è accolto con grande entusiasmo in Sicilia e ben presto attorno a lui si radunano circa 2000 volontari armati, pronti a rinverdire le gesta della spedizione dei Mille. Risuona nell’isola il grido: “Roma o morte” e il fascino dell’Eroe dei Due Mondi diventa ancora una volta il catalizzatore di speranze di vario tipo, non ultime quelle di riscatto sociale e di eroica ripresa dell’iniziativa democratica di fronte al grigiore conservatore dell’Italietta savoiarda e “piemontese”.
Il governo, presieduto da Urbano Rattazzi è attonito, incerto. Lascia i suoi funzionari periferici per il momento senza ordini. La cosa più logica sarebbe fermare Garibaldi, magari farlo arrestare prima che faccia danni e provochi una guerra con la Francia. Napoleone III tempesta le cancellerie italiane di messaggi preoccupati e minacciosi. Il re Vittorio Emanuele II è costretto ad intervenire con parole che sanno di sconfessione, contro certi imprudenti iniziative.
Ma Garibaldi non ne tiene conto: già due anni prima Cavour chiedeva che lo si fermasse e Vittorio Emanuele gli scriveva due lettere, una con la quale gli chiedeva di obbedire al Primo Ministro e una con la quale lo invitava a proseguire nella sua impresa e sbarcare in Calabria. L’atteggiamento dell’esercito e della marina sembrano dare ragione a Garibaldi: in Sicilia è lasciato indisturbato nella sua opera di reclutamento e di raccolta delle armi, gli lasciano requisire due battelli per la traversata dello Stretto e solo quando è ormai sbarcato a Melito Porto Salvo, lo stesso posto di due anni prima, gli tirano un paio di cannonate, ma senza troppa convinzione.
Garibaldi si dirige verso l’Aspromonte dove lo raggiungono altri volontari tra cui calabresi, popolani e contadini che continuano a vederlo come “portatore di riscatto, punitore di quegli avversari di classe che avevano tradito entrambi” (A. Placanica, “Storia della Calabria”, Roma, Donzelli, 1999, p.343).
A questo punto, però, il governo interviene: manda contro i garibaldini un distaccamento di bersaglieri comandati dal colonnello Emilio Pallavicini, un tipo “tosto” disponibile anche a sparare contro un monumento nazionale se le circostanze lo avessero richiesto.
Ed è sulla montagna calabrese che i bersaglieri, circa 3500, intercettano i garibaldini. Nonostante Garibaldi avesse dato ordine di non sparare e di non rispondere al fuoco per non fare la guerra contro fratelli, lo scontro ci fu ugualmente e provocò 12 morti e 34 feriti. Lo stesso Garibaldi, che si era fatto avanti forse sperando che alla sua vista i bersaglieri si unissero a lui, fu raggiunto da due colpi, uno all’anca e l’altro nella caviglia che gli provocò una brutta ferita che lo costrinse a mesi e mesi di immobilità.
Si chiudeva, così, nel peggiore dei modi, un episodio assai controverso della nostra storia, con i bersaglieri italiani, un simbolo del nostro Risorgimento, che sparavano contro i garibaldini e il loro capo, altri simboli della nostra epopea nazionale.
Il governo Rattazzi finì nelle polemiche per le sue incertezze inziali e dovette dimettersi, molti funzionari persero il posto, mentre Garibaldi fu rinchiuso nel penitenziario di Varignano, da cui uscì nell’ottobre di quell’anno per effetto dell’amnistia concessa dal re in occasione delle nozze della figlia di Vittorio Emanuele con il re del Portogallo. Una comoda via d’uscita, perché lo Stato italiano non poteva certo permettersi di tenere in prigione troppo a lungo il suo più grande eroe, noto in tutto il mondo.
Un episodio triste, che vide contrapposti ancora una volta gli ideali alla ragion di Stato, il cuore alla ragione. Per la cronaca, dopo un altro sanguinoso tentativo fatto da Garibaldi nel 1867 nella battaglia di Mentana, dove fu sconfitto da francesi e pontifici armati di modernissimi fucili a retrocarica, Roma sarà liberata dai bersaglieri solo nel 1870, dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan ad opera dei prussiani.
Garibaldi, da generoso qual’era, andrà a combattere la sua ultima guerra, ormai anziano e afflitto dall’artrite, proprio in difesa della neonata III Repubblica francese contro i prussiani dimostrando ancora una volta che per lui, la libertà dei popoli era un valore da difendere sempre e comunque, al di là delle convenienze e delle “ragioni di stato”.

 

 

Giuseppe Meluso, la guida calabrese dei fratelli Bandiera. Il nuovo libro di Salvatore Meluso.

Libro di Meluso

Pubblicato su Calabria Ora del 9 giugno 2012

E’ appena uscito per i tipi di “Calabria Letteraria” l’ultimo saggio di Salvatore Meluso dal titolo La guida calabrese dei fratelli Bandiera. Vita straordinaria di Giuseppe Meluso.
Salvatore Meluso (San Giovanni in Fiore, 1926) non è nuovo a questi studi, anzi si può dire senza tema di essere smentiti, che molti dei punti ancora oscuri della presenza in Calabria della sfortunata spedizione dei due fratelli veneziani, sono stati chiariti proprio grazie al lavoro minuzioso e certosino negli archivi di Napoli, Catanzaro e Cosenza di questo attento ricercatore.
Il libro di Meluso ci dimostra, infatti, come spesso siano proprio le cose più evidenti ad essere quelle meno conosciute e più facili alle manipolazioni successive. In particolare Salvatore Meluso si è soffermato sulla figura della guida calabrese della cosiddetta “banda degli esteri” capeggiata dai due fratelli veneziani, quel Giuseppe Meluso, sangiovannese esule a Corfù, che si aggregò alla spedizione con funzioni di guida, l’unico a sfuggire alla cattura dopo l’agguato alla Stragola.
Questo personaggio, certamente assai complesso e contraddittorio, era scappato nell’isola greca sin dal 1834 per sfuggire a condanne per reati di “brigantaggio”, mettendosi al servizio di altri fuoriusciti calabresi sempre per reati comuni, i fratelli De Nobili di Catanzaro.
L’isola ionica, all’epoca protettorato inglese era, inoltre, il rifugio privilegiato degli esuli politici italiani dopo i falliti moti del 1830-31, ed è qui che giunsero Attilio ed Emilio Bandiera dopo aver disertato dalla marina austriaca, qui che reclutarono proprio tra questi esuli (un campionario di tutta l’emigrazione politica italiana come scrive efficacemente Lucio Villari) i 19 partecipanti alla loro spedizione in Calabria.
La spedizione, com’è noto, fu organizzata con grande improvvisazione, senza grandi precauzioni di riservatezza e nonostante il parere contrario di Giuseppe Mazzini e del suo fiduciario a Malta Nicola Fabrizi, per fornire sostegno al moto del 15 marzo 1844 di Cosenza, facilmente sedato dalle autorità borboniche e finito con alcuni morti sulle strade e centinaia di arresti, di cui, però, alcuni giornali stranieri avevano riportato la falsa notizia del successo.
Come guida la scelta cadde su Giuseppe Meluso, a quel tempo molto amico di Giuseppe Miller, un rivoluzionario forlivese, che lo presenta ad Attilio ed Emilio Bandiera i quali lo aggregano alla spedizione perché conoscitore dei luoghi.
Il libro di Salvatore Meluso ricostruisce con dovizia di particolari, desunti da una conoscenza minuziosa dei documenti di archivio oltre che della sconfinata bibliografia sull’argomento, le complesse vicende che caratterizzarono la vita di questo oscuro e bistrattato personaggio calabrese, del suo prezioso e leale contributo alla spedizione dei Bandiera, della sua feroce eliminazione nel corso di una manifestazione che richiedeva l’accesso alle terre demaniali nel 1848, eseguita con lucida determinazione da quelle stesse persone che, premiate generosamente per la cattura degli “esteri” alla Stragola da re Ferdinando II, si erano “riciclati” come liberali e “repubblicani” in quelle convulse giornate dell’”anno delle rivoluzioni”.
La storia cioè dei soliti “gattopardi”, fedeli sudditi del Borbone e poi “intransigenti liberali” a seconda del mutare del vento. E in mezzo la vicenda di quest’uomo, emigrato a Corfù per reati comuni e conquistato all’idea dell’Unità d’Italia, della libertà e della democrazia per la sua frequentazione di altri esuli “politici”e dall’esempio di eroismo dei Bandiera e dei loro compagni che guidò in un territorio ostile rischiando insieme a loro la propria vita e scontando lunghi anni di carcere duro dopo la sua consegna. Un uomo che, tornato al suo paese dopo il carcere, si mise a capo della rivolta contadina per rivendicare l’antico diritto alla terra e morì gridando: “viva la Repubblica”. Un uomo che dopo la sua morte fu sottoposto anche al ludibrio della memoria da parte di quegli stessi che per la cattura dei Bandiera avevano ottenuto lauti compensi, pensioni ed onori dal Borbone i quali, al fine di “rifarsi una verginità politica” con i nuovi governanti, diffusero la falsa notizia, ripresa da certa vulgata risorgimentale postunitaria, che a catturare i Bandiera fu il popolo minuto di San Giovanni in Fiore, impaurito dall’arrivo di una banda di briganti “turchi” capeggiati dal famigerato  “Nivaro” (il soprannome assegnato al Meluso).
Nulla di tutto ciò: i Bandiera ed i loro compagni furono assaliti e catturati dalla Guardia urbana di San Giovanni rafforzata dagli uomini armati al servizio delle famiglie più importanti, notabili e proprietari terrieri, del paese silano.
Un libro prezioso, dunque, che mette nuova luce sul contributo niente affatto trascurabile della Calabria al Risorgimento nazionale e la cui lettura smentisce ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, la recente vulgata di un Mezzogiorno non solo indifferente ma addirittura ostile al processo di unificazione di cui abbiamo celebrato da poco il 150° anniversario.

 

SE QUALCUNO DICE “TORNIAMO ALLA LIRA” CHIAMO LA NEURO…

Lira euro

Tra le tante emerite stupidaggini che si leggono qui e là da parte di gente che gioca a chi la spara più grossa c’è, in queste ore, l’idea che la Grecia potrebbe uscire dall’euro senza grandi contraccolpi, anzi guadagnandoci.
Non c’è bisogno di essere economisti per capire che, se la Grecia dopo le elezioni di giugno, dovesse decidere di uscire dall’euro e tornare alla dracma sarebbe un disastro soprattutto per i greci, per tutta una serie di ragioni:
1. fuga di capitali. E’ bastata la sola notizia del fallimento delle trattative per un governo che onorasse gli impegni europei della Grecia per provocare l’uscita da quel paese di 700 milioni di euro. Non soltanto i soliti cattivi speculatori che mettono al sicuro i soldi ma anche gente semplice, piccoli risparmiatori preoccupati che il ritorno alla dracma svaluti i propri conti. Sono infatti già pronte per essere varate misure che impediscano prelievi dai conti superiori alle 50-100 euro giornalieri, giusto per le necessità quotidiane.
2. Mancanza di liquidità. Il 1 luglio lo Stato greco non avrà più i soldi per pagare stipendi e pensioni e sarà difficile che possa ottenere prestiti avendo rifiutato di onorare gli impegni assunti in precedenza per la semplice ragione di economia elementare che nessuno presta soldi a chi non è palesemente in grado di poterli restituire, anche in un futuro lontano.
3. Necessità di stampare nuova moneta. Tornare alla dracma significherà, per una semplice ragione pratica, stampare nuova carta moneta con un valore nominale di 1 dracma-1 euro, con la stessa tiratura di moneta metallica e moneta cartacea, anche per non dovere aggiornare tutti i programmi delle banche, dei bancomat, dei registratori di cassa, ecc.. Una operazione costosa di per sé. In caso di uscita dall’euro un venerdì sarà messa in circolo la nuova moneta che il lunedì successivo varrà, se va bene, il 30% in meno (alcuni stimano addirittura il 60%). Le conseguenze sull’inflazione, l’aumento dei prezzi e la perdita del potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni sono facilmente intuibili.
4. Importazioni. Il costo delle merci e delle risorse che la Grecia importa (molte) crescerebbe all’improvviso in proporzione alla svalutazione della moneta e anche più con evidenti effetti sull’aumento generalizzato dei prezzi (e quindi ancora più inflazione).
5. Esportazioni. Le esportazioni, poche, in verità, della Grecia, ci guadagneranno, sempre che le imprese greche riescano a sopravvivere al fallimento delle banche ed al generale aumento dei prezzi (cosa assai improbabile visto il contesto). Qualche effetto positivo, ma evidentemente assai limitato, si potrà avere nel turismo, sempre che la tensione sociale che inevitabilmente esploderà in quel paese a causa dell’aggravarsi della crisi economica non scoraggi anche questa possibilità.
Insomma, questo è lo scenario che si prepara per i greci. Se qualcuno lo propone anche per l’Italia io personalmente chiamo la neuro…e voi ?

 

La relazione di Raffaele Zuccarelli, Segretario del I Circolo PD di Cosenza, votata all’unanimità come documento del Circolo

Circolo PD 2 Circolo PD

RIPARTIAMO DAL CENTRO STORICO

Relazione del Segretario del Circolo PD Centro Storico e Frazioni Raffaele Zuccarelli

 

Abbiamo deciso di convocare questa riunione perché ci sembra corretto che sia la platea degli iscritti del circolo a decidere la linea politica, le iniziative e le forme organizzate attraverso cui il PD riprende un suo cammino dopo una lunga pausa di inattività.
Vogliamo affermare così il primato della organizzazione collettiva del Partito sulle correnti e le rappresentazioni personalistiche del PD che si è dato in questo periodo.
E’ da lungo tempo che in Calabria regna confusione e autoreferenzialità.
Non esistono responsabilità affidate attraverso un processo democratico e partecipato da parte degli iscritti.
La rappresentanza del Partito è così diventata sempre più ad appannaggio degli eletti nelle istituzioni.
Il pluralismo invece di essere una risorsa e una ricchezza che alimenta la vita democratica del Partito è stato utilizzato come pretesto per accentuare divisioni, per affermare veti e pregiudizi, per consentire ad alcuni settori di esprimersi attraverso una concezione assolutistica e proprietaria del Partito.
Persino il commissariamento non ha impedito, ma al contrario, ha assecondato queste tendenze degenerate.
Ovviamente mi riferisco alla fase che abbiamo vissuto con il commissario Adriano Musi. Eppure mi era simpatico nonostante abbia fatto i chiodi a questo Circolo.
Quel commissariamento, invece di correggere le distorsione generate da un congresso regionale, condizionato da un patto di potere stipulato per decidere la gestione del Partito in cambio della riconferma della candidatura di Loiero a Presidente della Regione, ha accentuato quelle distorsioni.
Soprattutto  a Cosenza abbiamo pagato un caro prezzo.
E’ stato impedito un confronto vero nel Partito cosentino, si è andato avanti a colpi di forzature da parte di chi indebitamente si era appropriato della rappresentanza legale e politica del Partito cosentino, determinando così spaccature insanabili e la sconfitta alle elezioni del centrosinistra.
Ne è stato utile  dover difendere il simbolo del PD in campagna elettorale per come lo stesso Segretario Bersani aveva chiesto.
E’ noto a tutti che Consiglieri e Assessori uscenti del PD e autorevoli dirigenti del Partito al primo turno si sono candidati ed hanno votato contro il simbolo del PD.
Ora dobbiamo ripartire.
E’ sperabile che il mandato dato da Bersani e dalla Direzione Nazionale del PD al nuovo Commissario Alfredo D’Attorre, sia rispettato e attuato coerentemente.
Svolgere i Congressi di Circoli, Provinciali e Regionali entro il 30 settembre con regole chiare e condivise.
Fare in modo che il PD dai Congressi possa uscire con un convincente e credibile progetto politico per la ripresa e il cambiamento in Calabria.
Che a dividere o ad unire i gruppi dirigenti siano prima di tutto il pensiero e il progetto politico.
Che la selezione dei gruppi dirigenti risponda al criterio del pluralismo, del rinnovamento e della responsabilità sulla base di un mandato degli iscritti.
Se su queste basi l’unità è un approdo del confronto politico è un valore; parimenti così dovrà essere, senza che sia un problema, la dialettica tra maggioranza e minoranza del Partito.
Insomma facciamo di tutto perché torni in campo la politica con la P maiuscola.
Per questa ragione, dobbiamo anche come Circolo del Centro Storico, indicare innanzitutto che ridia senso al rapporto tra il PD e una complessa domanda sociale che oggi si esprime nella nostra Città.
Deve essere il PD a farsi carico di sollecitare ed attrarre un progetto politico che rilanci la strategicità e la funzione direzionale di Cosenza e della sua area urbana nel sistema territoriale regionale della Calabria.
Perché possa essere convincente e vincente questa impostazione non è sufficiente limitarsi a fare la polemica con Scopelliti sul terreno dei campanilismi: Cosenza contro Reggio Calabria.
O una diffusa contrapposizione territoriale e una posizione subalterna alla impostazione politica e culturale che una destra becera in Calabria ha avuto sin dalla nascita del regionalismo.
Il PD avrà ascolto e forza se sfida Scopelliti e il centrodestra su una visione unitaria e integrata dello sviluppo dei diversi territori calabresi.
Tanto per intenderci voglio fare un esempio: se si cade nel gioco della contrapposizione tra Crotone e Sibari per l’aeroporto si favorisce solo una debolezza che porterà addirittura alla chiusura dell’aeroporto di Crotone e alla mancata realizzazione di quello di Sibari.
Allora noi dobbiamo invece incalzare Scopelliti perché ci sia il superamento delle gestioni separate degli aeroporti  per avere invece una gestione unitaria del sistema aeroportuale calabrese con un piano di sviluppo del traffico aereo che valorizzi finalità diverse nelle attività dei singoli aeroporti.
Dove sta scritto che l’offerta di Crotone e di Sibari si eliminano a vicenda e non invece si possano integrare?
Anche per quanto riguarda il sistema delle aree urbane il ragionamento vale allo stesso modo.
Perché contrapporre ad esempio l’area urbana della Sibaritide alla Città metropolitana dello Stretto? Sviluppo unitario ed integrato vuole dire una programmazione degli investimenti finalizzata a valorizzare le diverse funzioni territoriali.
Il parametro di valutazione e di selezione deve essere dato dal grado di convenienza che un singolo investimento genere sia per il singolo territorio che per l’intera Calabria.
A Scopelliti, un’opposizione che vuole essere forte e credibile, lo deve incalzare su questa linea.
E su questa linea dobbiamo mettere in evidenza quanto esiste il limite della contrapposizione tra territori vicini e contigui.
Non è sopportabile che possa riemergere una antica polemica che sa molto di rozzo paesanismo per esempio tra Cosenza e Rende.
Indipendentemente dalla forma dell’anagrafe il sistema territoriale urbano è nemico.
Al di là se si dà vita formalmente alla Città unica.
Nessuno può cancellare che l’asse territoriale Cosenza-Rende-Università è una realtà unica.
Nessuna scelta può reggere all’interno delle singole città se non rientra in una programmazione unitaria intercomunale.
Ad esempio sarebbe un’altra cosa se la circolare veloce non fosse il solo collegamento tra Piazza Matteotti e Roges ma tra Cosenza e l’Università.
Il discorso vale per la programmazione di tutti gli aspetti dell’organizzazione urbana e territoriale.
Ma l’area urbana cosentina non riesce ad aprire un’altra fase della sua crescita se non si propone e non si impone come una convenienza per la Calabria.
Per quanto ci riguarda, come Circolo PD del Centro Storico, intendiamo aprire un confronto aperto con le Istituzioni locali e le rappresentanze sociali e sindacali per definire e condividere la individuazione delle risorse da valorizzare per sancire il decollo dell’area urbana.
Per quanto ci riguarda, sin da stasera, noi ci sentiamo di indicare due direttrici.
Pensiamo che il centro storico di Cosenza e l’Università della Calabria siano i due poli di valori e di forza dell’area urbana.
In questo senso diciamo anche di voler ripartire dal Centro Storico.
La proposta che avanzo è quella di organizzare entro il mese di Giugno due appuntamenti importanti: il primo inteso come occasione per presentare un progetto di sviluppo integrato del Centro Storico; il secondo per valorizzare le opportunità che l’Università della Calabria offre per la crescita territoriale e l’innovazione culturale e tecnologica.
In particolare, intanto, chiediamo al Comune di Cosenza che fin da subito istituisca un Forum per il Centro Storico.
Un Forum che abbia anche la forza delle competenze culturali e scientifiche a sostegno di un progetto organico che possa fare del Centro Storico un grande cantiere di lavori, servizi e di promozioni culturali.
Al Comune di Cosenza, inoltre, chiediamo di istituire un fondo unico speciale su cui convogliare e da cui coordinare tutte le risorse finanziarie che vanno investite nel Centro Storico.
Proponiamo a questo proposito l’approvazione di una legge regionale per la valorizzazione del Centro Storico di Cosenza come bene storico, culturale e monumentale di interesse regionale.
In attesa che si arrivi all’approvazione di una simile legge il Comune di Cosenza proponga la stipula di un “accordo di programma” con la Regione Calabria.
L’accordo di programma che prevede il finanziamento di almeno delle linee di intervento per la messa in sicurezza e il riassetto del territorio, per il restauro e la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, per l’utilizzo produttivo e sociale del patrimonio edilizio pubblico e privato.
L’accordo di programma dovrà prevedere un impegno permanente di attività dell’aziende regionali AFOR e ATERP.
Questa sul Centro Storico è la prima tappa.
Con la stessa impostazione e lo stesso respiro dobbiamo ripensare il ruolo dell’Università della Calabria in un secondo appuntamento.
Un’attenzione particolare non possiamo non rivolgere all’aggravamento della condizione sociale della città che investe ormai tutti i ceti.
Mi sento di dire che a questo fine il dibattito che si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro e sull’articolo 18 riguarda ben poco gli interessi della nostra città e delle realtà meridionali.
Questo dibattito è tutto proteso di chi ha già un lavoro e un reddito.
Da noi ormai la maggioranza è rappresentata da giovani e meno giovani senza lavoro che hanno la difficoltà di percepire un reddito a questo proposito mi pare importante  ripartire innanzitutto da una riforma del Welfare ed estendere gli effetti degli ammortizzatori sociali innanzitutto a chi è senza tutela.
Nell’ambito del programma  di iniziative del PD ripropongo una conferenza su questi temi a partire dalla ripresa di attuazione sulla proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo sostenuto e che è stata presentata alla Regione Calabria con circa diecimila firme di Calabresi per la istituzione del Reddito Minimo Garantito in Calabria.
Sulla base di questo percorso vogliamo riproporre il tema delle adesioni al PD e al nostro Circolo come una scelta individuale di valori e di responsabilità.
A questo fine propongo che il Circolo organizzi una giornata di mobilitazione per domenica 6 maggio.
Lo stesso giorno che in tanti comuni calabresi e italiani i cittadini sono chiamati a votare per le amministrative.
Vogliamo partire dal primato della politica e dai contenuti per pensare al destino ed al futuro della nostra gente e della nostra città.
E’ su questo che vanno costruite sia le alleanze sociali che elettorali.
E’ ormai chiaro che gli schieramenti elettorali che abbiamo conosciuto sia per il centrosinistra che per il centrodestra sono destinati ad essere superati da una nuova realtà del sistema politico italiano.
Anche a Cosenza  non ci dobbiamo attardare sul vecchio quadro politico.
Persino gli schieramenti di un anno fa sono già il passati e vanno messi in archivio.
Il problema non riguarda solo il PD o l’intero centrosinistra.
Anche il Sindaco Occhiuto deve essere consapevole che la sua azione di governo è sostenuta da una maggioranza che dovrà solo resistere rispetto all’avanzare dei nuovi scenari.
Il futuro non appartiene certo all’attuale schieramento di governo di Palazzo dei Bruzi.
Il PD deve lavorare per candidarsi come una forza credibile e capace per mettere in campo oggi il progetto per il governo dell’immediato domani.

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