I 200 anni della fucilazione di Murat a Pizzo opportunità per turismo culturale.

Gioacchino Murat, Re di Napoli

Gioacchino Murat, Re di Napoli

 

Pubblicato su “Il Garantista” del 27 aprile 2015

Ho letto con piacere su “Il Garantista” di domenica 26 aprile l’estratto del libro di Pier Luigi Vercesi “Ne ammazza più la penna” dedicato alla cattura ed alla fucilazione di Gioacchino Murat a Pizzo Calabro.

Gioacchino Murat, Maresciallo di Francia e re di Napoli sbarcò a Pizzo nell’ottobre del 1815, quando l’epopea dell’illustre cognato Napoleone si era ormai conclusa a Waterloo. Partito dalla Corsica con un gruppo di imbarcazioni e 250 seguaci, era convinto che il suo semplice apparire avrebbe provocato una sollevazione a suo favore e la fuga del re Ferdinando IV di Borbone, rimesso sul trono dal Congresso di Vienna.

Sbarcato con pochi seguaci a Pizzo dopo che il resto della sua spedizione era stato disperso da una tempesta Gioacchino Murat, vestito con la migliore delle sue uniformi, carico di medaglie e gioielli, sfuggì a stento al linciaggio della folla.

Arrestato da un capitano che sarebbe diventato famoso, Gregorio Trentacapilli, il 13 ottobre 1815 affrontò il supplizio con grande dignità pronunciando la famosa frase: “Sauvez ma face – visez mon coeur – feu”. Il suo cadavere fu chiuso in una cassa di abete per essere sepolto nella Chiesa di San Giorgio che, quando era re, aveva generosamente sovvenzionato. Finiva così, in questo lembo di Calabria, la vicenda umana di un uomo che era stato protagonista della storia europea.

Lapide sul Castello di Pizzo

Lapide sul Castello di Pizzo Calabro che ricorda la fucilazione di Gioacchino Murat

 

La personalità di Gioacchino Murat è assai complessa. Capo militare di eccezionali capacità e coraggio la sua fortuna era stato l’incontro con Napoleone Bonaparte di cui divenne uno dei più apprezzati collaboratori. Il matrimonio con la sorella Carolina suggellò un’alleanza politica già consolidata con un legame familiare.

Ultimo di 11 figli Murat è la personificazione di quello che Napoleone soleva dire quando affermava che nello zaino di ogni soldato dell’esercito francese rivoluzionario era custodito il bastone di maresciallo. Fu la rivoluzione francese e lo stesso Napoleone, infatti, a favorire una straordinaria mobilità sociale altrimenti impossibile durante l’Ancien Régime.

Divenne re di Napoli nel 1808, succedendo a Giuseppe Bonaparte che andava ad assumere il ruolo di re di Spagna. Nelle intenzioni di Napoleone il Regno di Napoli non doveva essere altro che un satellite dell’impero francese e non trascurava di ricordarlo con pressanti lettere alla sorella e al cognato.

Castello di Pizzo Calabro

Il Castello di Pizzo Calabro

Nonostante ciò Murat fu, nel complesso, un buon re: attento ai problemi sociali assunse provvedimenti contro la povertà, diede impulso alle opere pubbliche, riorganizzò l’insegnamento universitario della medicina a Salerno e fondò l’embrione della facoltà di ingegneria a Napoli. Introdusse il divorzio, il matrimonio civile e l’adozione che gli inimicarono ulteriormente il clero. Dotò il regno di un esercito efficiente sul modello napoleonico ma, soprattutto, fece applicare le leggi di eversione della feudalità emanate da Giuseppe Bonaparte che, tuttavia, in ragione della usurpazione delle terre demaniali da parte dei grandi proprietari, contribuì a rendere ancora più difficile la situazione sociale nelle campagne. Nello stesso tempo fu anche il sovrano che con più determinazione e senza guardare tanto per il sottile, condusse la repressione contro il brigantaggio filoborbonico soprattutto in Calabria.

Comprese, tuttavia, che il fenomeno non poteva essere affrontato soltanto in termini militari e avviò il progetto dei cosiddetti villaggi silani al fine di incentivare lo sviluppo della piccola proprietà e popolare l’altopiano per renderlo produttivo e sostenere i bisogni alimentari delle popolazioni. Murat, insomma, visse un rapporto intenso con il suo regno, arrivando persino a rompere con Napoleone pur di poterlo difendere e conservare. Era illusorio, certamente, dal momento che il suo potere derivava direttamente dal sistema napoleonico, ma visse comunque il sogno di insediare nel Sud d’Italia una monarchia costituzionale sotto la sua dinastia. Per questi motivi allacciò contatti con gli inglesi e cercò di ingraziarsi perfino gli austriaci. Il suo appello lanciato a Rimini per unificare l’Italia da Sud è rimasto sui libri di storia come atto fondativo del nostro Risorgimento.

Credo che siano ragioni sufficienti per ricordare la ricorrenza dei 200 anni della sua fucilazione in Calabria anche in considerazione che i suoi resti sono ancora qui, sia pure mischiati a quelli di altre centinaia di persone morte durante un’epidemia di colera nel 1837. Sono, infatti, in corso ricerche nella chiesa di San Giorgio per individuarli e confrontare il DNA con i discendenti viventi di Murat. Sarebbe davvero straordinario che questa identificazione coincidesse con la ricorrenza del bicentenario.

Intanto credo che sarebbe opportuno mettere a punto un adeguato programma di celebrazioni che superi i confini del solo comune di Pizzo e investa l’intera Calabria.

Sono infatti convinto che l’occasione del bicentenario della morte di Murat a Pizzo così come tanti altri episodi assai interessanti e storicamente rilevanti possano costituire la base di una nuova politica culturale e turistica per la nostra regione. Una Calabria finalmente in grado di “usare” la ricchezza della sua storia come risorsa per lo sviluppo.

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Il Garantista del 27 aprile Prima pagina

Il Garantista del 27 aprile 2015

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