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Fabrizio Barca e il “catoblepismo” calabrese

fabrizio Barca

Pubblicato su “Calabria Ora” del 12 maggio 2013

Alzi la mano chi conosce il significato del termine “catoblepismo”.

No, non preoccupatevi, credo che in Italia siano davvero in pochi, senza l’ausilio di Santa Wikipedia, a sapere che questa parola tanto astrusa significa “circolo vizioso”, rapporto distorto fra due soggetti di cui uno chiamato a controllare e l’altro ad essere controllato.

L’ex ministro Fabrizio Barca, oggi nelle vesti di nuovo commentatore del PD nel PD (categoria assai affollata di questi tempi) l’ha usata per definire la relazione distorta che è intervenuta spesso nel rapporto tra partiti e Stato.

Parola difficile usata nel contesto di ragionamenti colti, quelli che di solito animano il discorrere di Fabrizio Barca. Eppure qualcuno deve avergli consigliato di parlare un tantino più potabile e, infatti, nella sua visita in Calabria l’ex ministro ha sviluppato discorsi molto più chiari.

Ha detto, per esempio, che la Calabria è stata “mal governata anche dal centrosinistra”. Poi si è espresso con nettezza quando ha chiesto retoricamente riferendosi all’allagamento degli scavi di Sibari “dov’era il PD ?”.

Tutto condivisibile il discorrere di Barca salvo che nell’aver trascurato uno dei “catoblepismi” calabresi. Infatti, nei cinque anni di governo del centrosinistra in Calabria per tre anni la delega ai beni culturali (quindi competente sul parco archeologico di Sibari) è stata tenuta da uno dei suoi punti di riferimento calabresi, insieme alla vicepresidenza della Giunta regionale.

Senza trascurare il fatto che la personalità in questione fa parte di una scuola di economisti e maitre à penser che da anni ha costituito il centro di elaborazione e per lunghi periodi di gestione e direzione politica della programmazione dei fondi europei in Calabria, scuola di cui l’eminente prof. Fabrizio Barca è capofila.

Allora forse un tantino di prudenza maggiore sarebbe stata necessaria perché se saranno pochi i calabresi che conoscono il significato di “catoblepismo” certamente tutti conoscono la vecchia pratica del predicar bene e razzolare male di cui è pervasa non solo la politica ma anche l’intellighenzia prestata alla politica. E forse Fabrizio Barca la prossima volta farà bene a cambiare esempi per sostenere la sua “mobilitazione cognitiva”.

Enza Bruno Bossio: “Io voterò questo governo, ma non continuerò a farmi travolgere dalla valanga. Voterò la fiducia ma non voterò le fiducie. Non accetterò le giustificazioni del governo Monti”.

ENZA BRUNO BOSSIO

La deputata calabrese del PD nel suo intervento all’Assemblea del Gruppo sulla fiducia al governo Letta.

Premesso che avrei voluto ad ogni costo un governo senza il PdL. Non un governo massimalista ma un governo riformista, con la contraddizione che la maggioranza avremmo dovuto cercarla anche tra i massimalisti. Pur avvertendo questa contraddizione ho appoggiato incondizionatamente e con convinzione la linea di Bersani. Avrei voluto che Napolitano avesse consentito di verificare la maggioranza anche al Senato, anche per provare a rompere l’aggregazione massimalista. Avrei voluto con più chiarezza, quando è stato proposto Marini, discutere di una rosa di nomi e come e intorno a chi costruivamo una maggioranza nelle prime ma anche nella quarta votazione. E avrei voluto capire meglio perché abbiamo abbandonato Marini. Nel momento in cui si è scelto Prodi e si è di nuovo rovesciata una linea avrei voluto, aldilà delle ovazioni e delle alzate di mano, di nuovo discutere con quale maggioranza si andava ad eleggere Prodi, visto che non c’era nemmeno Scelta civica sulla proposta e il M5stelle non si sarebbe spostato dalla proposta Rodotà. Avremmo potuto votare Rodotà ? Forse, ma nel frattempo la valanga era partita. E la cosa più grave che tutti noi siamo diventati traditori, con una vergognosa distinzione nelle votazioni tra Marini e Prodi. Ci sono stati vari errori ma non ci sono traditori, è un concetto integralista che non condivido. Che ha anche alimentato qualunquisticamente una valanga che era già partita e ci ha travolti tutti. E non importa se qualcuno di noi ha fatto, nonostante le proprie convinzioni, il proprio dovere. La valanga ci ha travolti e l’accettazione da parte di Napolitano ci ha solo fatto prendere respiro, ma siamo fuori appena con la testa. Tutto ciò premesso: io ho detto nelle consultazioni che a questo punto avrei votato un governo con qualunque ministro del PdL. Non c’è contraddizione. Non si può andare al voto. Non perché abbiamo paura di perdere. Ma perché dobbiamo fare delle scelte immediate che risolvano alcune urgenze sociali ineludibili. Io voterò questo governo, ma non continuerò a farmi travolgere dalla valanga. Voterò la fiducia ma non voterò le fiducie. Non accetterò le giustificazioni del governo Monti. Non accetterò l’esclusione del Mezzogiorno non come questione locale, ma come area decisiva di esplosione delle contraddizioni della crisi. È un gesto disperato ma non casuale quello dell’attentato davanti a Palazzo Chigi. Votando la fiducia a questo governo ognuno di noi parlamentari ci metterà la faccia, per questo dobbiamo subito: 1. Negoziare con l’Europa il vincolo della politica dell’austerità 2. Attuare il decreto imprese 3. Recuperare 1,5 miliardi per esodati e cassaintegrati 4. Avviare un percorso per un nuovo welfare 5. Salario minimo ( per gli occupati) e reddito minimo per i disoccupati 6. Legge elettorale per ridurre i costi della politica e affermare con nettezza la democrazia dell’alternanza. Tutto questo deve avvenire in tempi necessari ma rapidi per recuperare pienamente il ruolo di partito riformista alternativo e vincere perché abbiamo saputo governare.

 

GOVERNO LETTA: FARE I CONTI CON LA REALTA’…

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Non voglio valutare questo governo dalla sua composizione. Alcune scelte mi piacciono altre meno. Resto convinto che se si fosse perseguita la strada del governo che la realtà delle cose ci imponeva di percorrere sin dall’inizio non solo non avremmo perso tutto questo tempo, ma il PD forse starebbe meglio e Bersani sarebbe oggi Presidente del Consiglio.
Sin da subito, infatti, era chiaro a me, che non sono un premio Nobel, che:
a) non si poteva tornare a votare perché, con questa legge elettorale, avremmo solo riprodotto l’instabilità;
b) che, quindi, bisognava fare un governo che mettesse mano all’emergenza economica e istituzionale del Paese;
c) che i grillini erano e restano indisponibili ad ogni assunzione di responsabilità di governo perché interessati, per loro espressa dichiarazione, alla destrutturazione del sistema rappresentativo.
Quindi, quello varato da Enrico Letta è l’unico governo possibile in questa situazione.
Si poteva fare meglio ? Credo di sì.
E’ il governo che volevo ? Certamente no.
Ma bisogna fare i conti con la realtà. La realtà che ci ha consegnato il voto del 24 e del 25 febbraio.
Il resto sono chiacchiere e di chiacchiere non se ne sente davvero più alcun bisogno.

DIAMOCI UN TAGLIO O FAREMO LA FINE DELL’ASINO DI BURIDANO

Asino di Buridano
Adesso diamoci un taglio a tutti questi piagnistei e onanismi…se c’è una cosa che queste giornate convulse ci devono insegnare è che il PD deve finalmente scegliere se essere una grande forza europea e riformista o rassegnarsi al triste ruolo di zimbello dei radicalismi, massimalismi, giustizialismi e grillismi di turno. Se la crisi di questi giorni è servita a qualcosa facciamo del prossimo congresso un luogo di discussione politica vera, altrimenti faremo la fine dell’asino di Buridano.

UN’ANALISI DEL VOTO VERA…

urna-elettorale

Guai se si riconducesse il successo elettorale di Grillo a fattori locali che, caso per caso, territorio per territorio potrebbero essere piegati a ragioni strumentali di lotta politica autoreferenziale. Il fenomeno Grillo si esprime in maniera omogenea sul territorio nazionale. Se non si capisce che nel voto del 24 e 25 febbraio scorsi si è manifestata prima di tutto una sedimentata rabbia sociale, non si va da nessuna parte. Soprattutto il Sud, ancor di più rispetto al passato, ha cercato da una parte protezione secondo il vecchio cliché (voto al Centrodestra) e dall’altra ha manifestato un vero e proprio ribellismo. Il PD che nel Mezzogiorno vince solo in Basilicata, non ha saputo intercettare questo duplice sentimento. Avrebbe dovuto osare di più con una convincente proposta che rispondesse ad una domanda che in altri tempi si sarebbe detta “di pane, lavoro e libertà”. Se non facciamo i conti con i temi della garanzia dei diritti primari, dell’aumento della domanda di occupazione, della redistribuzione della ricchezza e della modernizzazione del contesto ambientale, prevarrà sempre un senso di insicurezza sociale che si colloca facilmente nell’alveo dell’antipolitica. Anche il ricambio delle classi dirigenti dovrà essere portatore di risposte a queste incalzanti domande. Se ci si attarda solo nei nominalismi sarà sempre peggio.

Scuola Bene Comune

Incontro – 23 novembre 2012 ore 17,00 al Caffè Letterario di Piazza Matteotti – Cosenza — Con: Enza Bruno Bossio, Raffaella Ciardullo, Maria Francesca Corigliano, Caterina Gammaldi, Gabriele Petrone, Alfredo D’Attorre e la Responsabile Nazionale Scuola del PD Francesca Puglisi.

La relazione di Raffaele Zuccarelli, Segretario del I Circolo PD di Cosenza, votata all’unanimità come documento del Circolo

Circolo PD 2 Circolo PD

RIPARTIAMO DAL CENTRO STORICO

Relazione del Segretario del Circolo PD Centro Storico e Frazioni Raffaele Zuccarelli

 

Abbiamo deciso di convocare questa riunione perché ci sembra corretto che sia la platea degli iscritti del circolo a decidere la linea politica, le iniziative e le forme organizzate attraverso cui il PD riprende un suo cammino dopo una lunga pausa di inattività.
Vogliamo affermare così il primato della organizzazione collettiva del Partito sulle correnti e le rappresentazioni personalistiche del PD che si è dato in questo periodo.
E’ da lungo tempo che in Calabria regna confusione e autoreferenzialità.
Non esistono responsabilità affidate attraverso un processo democratico e partecipato da parte degli iscritti.
La rappresentanza del Partito è così diventata sempre più ad appannaggio degli eletti nelle istituzioni.
Il pluralismo invece di essere una risorsa e una ricchezza che alimenta la vita democratica del Partito è stato utilizzato come pretesto per accentuare divisioni, per affermare veti e pregiudizi, per consentire ad alcuni settori di esprimersi attraverso una concezione assolutistica e proprietaria del Partito.
Persino il commissariamento non ha impedito, ma al contrario, ha assecondato queste tendenze degenerate.
Ovviamente mi riferisco alla fase che abbiamo vissuto con il commissario Adriano Musi. Eppure mi era simpatico nonostante abbia fatto i chiodi a questo Circolo.
Quel commissariamento, invece di correggere le distorsione generate da un congresso regionale, condizionato da un patto di potere stipulato per decidere la gestione del Partito in cambio della riconferma della candidatura di Loiero a Presidente della Regione, ha accentuato quelle distorsioni.
Soprattutto  a Cosenza abbiamo pagato un caro prezzo.
E’ stato impedito un confronto vero nel Partito cosentino, si è andato avanti a colpi di forzature da parte di chi indebitamente si era appropriato della rappresentanza legale e politica del Partito cosentino, determinando così spaccature insanabili e la sconfitta alle elezioni del centrosinistra.
Ne è stato utile  dover difendere il simbolo del PD in campagna elettorale per come lo stesso Segretario Bersani aveva chiesto.
E’ noto a tutti che Consiglieri e Assessori uscenti del PD e autorevoli dirigenti del Partito al primo turno si sono candidati ed hanno votato contro il simbolo del PD.
Ora dobbiamo ripartire.
E’ sperabile che il mandato dato da Bersani e dalla Direzione Nazionale del PD al nuovo Commissario Alfredo D’Attorre, sia rispettato e attuato coerentemente.
Svolgere i Congressi di Circoli, Provinciali e Regionali entro il 30 settembre con regole chiare e condivise.
Fare in modo che il PD dai Congressi possa uscire con un convincente e credibile progetto politico per la ripresa e il cambiamento in Calabria.
Che a dividere o ad unire i gruppi dirigenti siano prima di tutto il pensiero e il progetto politico.
Che la selezione dei gruppi dirigenti risponda al criterio del pluralismo, del rinnovamento e della responsabilità sulla base di un mandato degli iscritti.
Se su queste basi l’unità è un approdo del confronto politico è un valore; parimenti così dovrà essere, senza che sia un problema, la dialettica tra maggioranza e minoranza del Partito.
Insomma facciamo di tutto perché torni in campo la politica con la P maiuscola.
Per questa ragione, dobbiamo anche come Circolo del Centro Storico, indicare innanzitutto che ridia senso al rapporto tra il PD e una complessa domanda sociale che oggi si esprime nella nostra Città.
Deve essere il PD a farsi carico di sollecitare ed attrarre un progetto politico che rilanci la strategicità e la funzione direzionale di Cosenza e della sua area urbana nel sistema territoriale regionale della Calabria.
Perché possa essere convincente e vincente questa impostazione non è sufficiente limitarsi a fare la polemica con Scopelliti sul terreno dei campanilismi: Cosenza contro Reggio Calabria.
O una diffusa contrapposizione territoriale e una posizione subalterna alla impostazione politica e culturale che una destra becera in Calabria ha avuto sin dalla nascita del regionalismo.
Il PD avrà ascolto e forza se sfida Scopelliti e il centrodestra su una visione unitaria e integrata dello sviluppo dei diversi territori calabresi.
Tanto per intenderci voglio fare un esempio: se si cade nel gioco della contrapposizione tra Crotone e Sibari per l’aeroporto si favorisce solo una debolezza che porterà addirittura alla chiusura dell’aeroporto di Crotone e alla mancata realizzazione di quello di Sibari.
Allora noi dobbiamo invece incalzare Scopelliti perché ci sia il superamento delle gestioni separate degli aeroporti  per avere invece una gestione unitaria del sistema aeroportuale calabrese con un piano di sviluppo del traffico aereo che valorizzi finalità diverse nelle attività dei singoli aeroporti.
Dove sta scritto che l’offerta di Crotone e di Sibari si eliminano a vicenda e non invece si possano integrare?
Anche per quanto riguarda il sistema delle aree urbane il ragionamento vale allo stesso modo.
Perché contrapporre ad esempio l’area urbana della Sibaritide alla Città metropolitana dello Stretto? Sviluppo unitario ed integrato vuole dire una programmazione degli investimenti finalizzata a valorizzare le diverse funzioni territoriali.
Il parametro di valutazione e di selezione deve essere dato dal grado di convenienza che un singolo investimento genere sia per il singolo territorio che per l’intera Calabria.
A Scopelliti, un’opposizione che vuole essere forte e credibile, lo deve incalzare su questa linea.
E su questa linea dobbiamo mettere in evidenza quanto esiste il limite della contrapposizione tra territori vicini e contigui.
Non è sopportabile che possa riemergere una antica polemica che sa molto di rozzo paesanismo per esempio tra Cosenza e Rende.
Indipendentemente dalla forma dell’anagrafe il sistema territoriale urbano è nemico.
Al di là se si dà vita formalmente alla Città unica.
Nessuno può cancellare che l’asse territoriale Cosenza-Rende-Università è una realtà unica.
Nessuna scelta può reggere all’interno delle singole città se non rientra in una programmazione unitaria intercomunale.
Ad esempio sarebbe un’altra cosa se la circolare veloce non fosse il solo collegamento tra Piazza Matteotti e Roges ma tra Cosenza e l’Università.
Il discorso vale per la programmazione di tutti gli aspetti dell’organizzazione urbana e territoriale.
Ma l’area urbana cosentina non riesce ad aprire un’altra fase della sua crescita se non si propone e non si impone come una convenienza per la Calabria.
Per quanto ci riguarda, come Circolo PD del Centro Storico, intendiamo aprire un confronto aperto con le Istituzioni locali e le rappresentanze sociali e sindacali per definire e condividere la individuazione delle risorse da valorizzare per sancire il decollo dell’area urbana.
Per quanto ci riguarda, sin da stasera, noi ci sentiamo di indicare due direttrici.
Pensiamo che il centro storico di Cosenza e l’Università della Calabria siano i due poli di valori e di forza dell’area urbana.
In questo senso diciamo anche di voler ripartire dal Centro Storico.
La proposta che avanzo è quella di organizzare entro il mese di Giugno due appuntamenti importanti: il primo inteso come occasione per presentare un progetto di sviluppo integrato del Centro Storico; il secondo per valorizzare le opportunità che l’Università della Calabria offre per la crescita territoriale e l’innovazione culturale e tecnologica.
In particolare, intanto, chiediamo al Comune di Cosenza che fin da subito istituisca un Forum per il Centro Storico.
Un Forum che abbia anche la forza delle competenze culturali e scientifiche a sostegno di un progetto organico che possa fare del Centro Storico un grande cantiere di lavori, servizi e di promozioni culturali.
Al Comune di Cosenza, inoltre, chiediamo di istituire un fondo unico speciale su cui convogliare e da cui coordinare tutte le risorse finanziarie che vanno investite nel Centro Storico.
Proponiamo a questo proposito l’approvazione di una legge regionale per la valorizzazione del Centro Storico di Cosenza come bene storico, culturale e monumentale di interesse regionale.
In attesa che si arrivi all’approvazione di una simile legge il Comune di Cosenza proponga la stipula di un “accordo di programma” con la Regione Calabria.
L’accordo di programma che prevede il finanziamento di almeno delle linee di intervento per la messa in sicurezza e il riassetto del territorio, per il restauro e la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, per l’utilizzo produttivo e sociale del patrimonio edilizio pubblico e privato.
L’accordo di programma dovrà prevedere un impegno permanente di attività dell’aziende regionali AFOR e ATERP.
Questa sul Centro Storico è la prima tappa.
Con la stessa impostazione e lo stesso respiro dobbiamo ripensare il ruolo dell’Università della Calabria in un secondo appuntamento.
Un’attenzione particolare non possiamo non rivolgere all’aggravamento della condizione sociale della città che investe ormai tutti i ceti.
Mi sento di dire che a questo fine il dibattito che si è aperto sulla riforma del mercato del lavoro e sull’articolo 18 riguarda ben poco gli interessi della nostra città e delle realtà meridionali.
Questo dibattito è tutto proteso di chi ha già un lavoro e un reddito.
Da noi ormai la maggioranza è rappresentata da giovani e meno giovani senza lavoro che hanno la difficoltà di percepire un reddito a questo proposito mi pare importante  ripartire innanzitutto da una riforma del Welfare ed estendere gli effetti degli ammortizzatori sociali innanzitutto a chi è senza tutela.
Nell’ambito del programma  di iniziative del PD ripropongo una conferenza su questi temi a partire dalla ripresa di attuazione sulla proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo sostenuto e che è stata presentata alla Regione Calabria con circa diecimila firme di Calabresi per la istituzione del Reddito Minimo Garantito in Calabria.
Sulla base di questo percorso vogliamo riproporre il tema delle adesioni al PD e al nostro Circolo come una scelta individuale di valori e di responsabilità.
A questo fine propongo che il Circolo organizzi una giornata di mobilitazione per domenica 6 maggio.
Lo stesso giorno che in tanti comuni calabresi e italiani i cittadini sono chiamati a votare per le amministrative.
Vogliamo partire dal primato della politica e dai contenuti per pensare al destino ed al futuro della nostra gente e della nostra città.
E’ su questo che vanno costruite sia le alleanze sociali che elettorali.
E’ ormai chiaro che gli schieramenti elettorali che abbiamo conosciuto sia per il centrosinistra che per il centrodestra sono destinati ad essere superati da una nuova realtà del sistema politico italiano.
Anche a Cosenza  non ci dobbiamo attardare sul vecchio quadro politico.
Persino gli schieramenti di un anno fa sono già il passati e vanno messi in archivio.
Il problema non riguarda solo il PD o l’intero centrosinistra.
Anche il Sindaco Occhiuto deve essere consapevole che la sua azione di governo è sostenuta da una maggioranza che dovrà solo resistere rispetto all’avanzare dei nuovi scenari.
Il futuro non appartiene certo all’attuale schieramento di governo di Palazzo dei Bruzi.
Il PD deve lavorare per candidarsi come una forza credibile e capace per mettere in campo oggi il progetto per il governo dell’immediato domani.

Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.

Logo del PD
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.

Stiamo attenti che la fine di Berlusconi non trascini con sé anche questo centrosinistra.

berlusconi-dorme
La fine del lungo ciclo di governo di Berlusconi sembra essere ormai giunta. Avviene nel peggiore dei modi per il Cavaliere, assediato da inchieste giudiziarie, da gossip velenosi, dal ludibrio internazionale.
Al di là del fatto se riuscirà a mantenere una maggioranza parlamentare come gli è riuscito finora è del tutto evidente che la sua capacità di parlare al cuore ed alla pancia degli italiani, con quel mix di populismo e di sovversivismo dall’alto che ne ha contraddistinto la sua presenza in oltre tre lustri di vita politica italiana, è ormai esaurita.
Il leader è vecchio, stanco, persino un po’ patetico nel suo disperato tentativo di mostrarsi giovane e simpatico. L’assedio delle procure è indiscutibile, così come l’accanimento dell’ormai la quasi totalità dei media e dei cosiddetti “grandi poteri” (che pure, in fase alterne, lo avevano sostenuto), ma il suo tradizionale vittimismo che pure era riuscito a fargli catalizzare la maggioranza dei consensi elettorali, non regge più.
Gli italiani più che il discorso moralistico della miriade di indignati da salotto che affollano i talk show e le colonne dei giornali si sono finalmente convinti che il vecchio Silvio non è un uomo di Stato, non è capace di governare e di dare risposte ai problemi urgenti di un Paese che rischia di affondare nel gorgo di una crisi generale che in Italia è però aggravata proprio dalla assoluta inadeguatezza delle sue classi dirigenti. Se erano disposti a perdonargli tutto, anche le sue stravaganze e la sua irrequietezza sessuale (ma quando mai questa ha contato qualcosa nella cattolica e gesuitica Italia ?), non sono disponibili a perdonargli la sua inconsistenza politica, la sua assoluta incapacità di governare un Paese complesso avviato sulla strada di un inesorabile declino.
Nel centrodestra una partita si è aperta per la successione. Bisognerà vedere se questa sarà cruenta e lascerà morti e feriti oppure sarà politicamente guidata come l’elezione di Alfano sembra voler presagire. Se Berlusconi non fosse Berlusconi molto probabilmente un nuovo governo di centrodestra sarebbe già stato varato con una nuova leadership e una nuova composizione di coalizione. E’ la presenza di Berlusconi che impedisce la formazione di un nuovo governo a guida PDL con il Terzo Polo e Casini dentro. Allo stesso modo è la presenza di Bossi ad impedire, almeno finora, che una nuova leadership si affermi nella Lega.
Il futuro di quel campo, e se ne sono accorti soprattutto quelli che lo occupano, sta proprio nella possibilità che questo nuovo assetto del centrodestra finalmente si affermi, con buona pace degli antiberlusconiani di professione.
In questo senso io credo che non sia scontato che il dopo Berlusconi sarà di centrosinistra. Perché il centrosinistra attuale, al di là degli sforzi pure generosi di Bersani, è completamente ritagliato sull’antiberlusconismo.
Un’alleanza classica (PD, IDV e SEL) con il terzo polo autonomizzato, oggi vincerebbe le elezioni solo se il leader dell’altro schieramento (PDL e Lega) resta Berlusconi. Un altro leader nel centrodestra renderebbe questa coalizione attrattiva per le forze centriste già in questo parlamento, figuriamoci in un momento elettorale. Del resto come leggere gli aperti tentativi di varo di un governo “tecnico-tecnocratico” sponsorizzati da Confindustra e Marchionne che vorrebbero alla guida un Montezemolo o un Monti ?
Il problema per il Centrosinistra, dunque, è uscire da questo imbuto e trovare un nuovo assetto politico e programmatico che non può che essere riformista e modernizzatore.
Nell’opposizione vasta che si è coagulata contro il premier non c’è, infatti, solo il voto tradizionale della sinistra, ma anche quello di ampi settori moderati che sono delusi da Berlusconi ma che continuano a non amare la sinistra per come oggi si configura.
Senza Berlusconi lo schema di alleanze attuale attorno al PD non regge né politicamente né programmaticamente, inutile farsi illusioni. Non regge anche perché la sua leadership allargata tutto appare tranne che portatrice di innovazione e di modernizzazione. Né il problema si risolve soltanto allargando, cosa assai difficile in verità, la coalizione all’UDC, nel senso che ne verrebbe fuori una maggioranza numerica ma non politica come è avvenuto con l’Unione di Prodi.
In questo quadro il PD deve compiere uno sforzo ancora maggiore di adeguamento del suo profilo riformista e attorno a questo costruire le alleanze, atteso che l’antiberlusconismo non reggerà più, anche se Berlusconi dovesse resistere fino al 2013 e guidare la coalizione alle elezioni.
Cosa intendo per questo adeguamento ? Intendo soprattutto la necessità di fissare alcuni punti fermi: riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della giustizia, della scuola e dell’università, riforma istituzionale (a cominciare dalla legge elettorale), nuova politica per il Mezzogiorno. Su ciascuno di questi argomenti, purtroppo, lo schieramento nel quale oggi ci collochiamo è, purtroppo, diviso. Il PD deve chiamare tutti, alleati attuali e potenziali, forze economiche e sociali, il Paese intero nella sua articolazione più ampia e complessa, ad un confronto stringente e non ideologico su questi temi.
Solo così, credibilmente agli occhi del Paese, potrà candidarsi a succedere non solo a Berlusconi, ma al centrodestra e al sistema di interessi che esso, nonostante lo stesso Berlusconi, continua a rappresentare.
Altrimenti la fine di Berlusconi trascinerà con sé anche il centrosinistra.

Congresso PD in Calabria: è la democrazia bellezza.

Logo del PD

Tutti oggi nel PD calabrese chiedono il congresso: fa piacere che quanto gridavamo in solitudine sia oggi patrimonio di tutti. Sappiamo bene, tuttavia, che alcuni, sotto sotto, preferirebbero il contrario e  magari cercano di alimentare conflitti per dare una rappresentazione di un PD lacerato più di quanto sia realmente per continuare a vivere di rendita senza alcun mandato democratico. E’ un giochino tanto scoperto quanto stupido.

La dialettica interna è un dato costitutivo di un partito democratico e i congressi si fanno proprio per confrontare tesi e posizioni politiche diverse. Quella che prenderà più voti governerà il partito. A quella o quelle che perderanno spetterà comunque il compito di concorrere, partendo dalle idee espresse, alla crescita complessiva del partito. E’ la democrazia bellezza. E la democrazia fa paura solo a chi democratico non è.

Si faccia dunque questo benedetto congresso con tutte le garanzie democratiche che il nostro Statuto prevede. Magari diamocene anche di nuove e più stringenti, ma ridiamo la parola ai nostri iscritti e ai nostri elettori.

Affidiamoci dunque a loro con fiducia e con rispetto: sono spesso molto più saggi di noi e comunque solo a loro spetta il compito di decidere.

Purché, però, una volta che hanno deciso, non si parli di potentati, brogli, e popolo pecorone. A quel punto le pernacchie ci sommergeranno.

 

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