Vittorio Emanuele III

Perché “La lunga notte. La caduta del Duce” non mi ha convinto.

La lunga notte. La caduta del Duce

Non so quanti hanno visto in questi giorni la fiction “La lunga notte. La caduta del Duce” ma devo dire che, al netto di scenografie e costumi e della pregevole recitazione soprattutto d Alessio Boni, molti aspetti di ricostruzione storiografica non mi hanno convinto. Pur apprezzando il fatto che si producono film storici destinati al grande pubblico, non posso fare a meno di evidenziare tre aspetti che credo debbano essere sottolineati.

1. Il 25 luglio del 1943 è uno dei momenti fondamentali della nostra storia recente. Il voto nel Gran Consiglio del Fascismo diede l’occasione al re Vittorio Emanuele III per attuare un piano lungamente meditato a partire dalla fine del 1942 in concomitanza con le sconfitte militari dell’Italia e dell’Asse. Dino Grandi, forte anche dei suoi rapporti con la Gran Bretagna dove era stato ambasciatore e in ragione del suo precedente ruolo di Ministro degli Esteri, offre alla Monarchia un “appiglio costituzionale” per far fuori Mussolini e l’alleanza con Hitler e la Germania. Il voto del Gran Consiglio del Fascismo (che non valeva niente sul piano formale) nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943, a pochi giorni dallo sbarco alleato in Sicilia e del bombardamento di Roma, fu un momento ii cui si intrecciarono il dramma generale di un paese stremato dalla guerra e dalla dittatura, ormai conscio della distanza tra propaganda e realtà e stanco del fascismo e soprattutto del suo leader, e il tentativo di alcuni importanti gerarchi Dino Grandi, Lugi Federzoni, Galeazzo Ciano (che era anche genero di Mussolini) di cercare di prendere le distanze dal regime e salvare i propri destini politici e personali. Anche per questo riuscirono a trovare la grande maggioranza del Gran Consiglio tra componenti che erano accomunati dallo stesso interesse. Nella fiction, a cominciare da Grandi, appaiono come personalità comunque intente alla salvezza di un Paese della cui rovina erano stati i principali protagonisti. Al massimo, come Giuseppe Bottai, si illudevano di poter salvare il fascismo senza Mussolini, non comprendendo come questi fossero strettamente legati tanto che il PNF il 26 luglio cessò semplicemente di esistere senza opporre alcuna resistenza. Gli stessi uomini che a Mussolini avevano sempre detto si, lo stesso Organo che aveva approvato il manifesto della razza e le leggi razziali, l’alleanza con Hitler e soprattutto la guerra, decise, ad un certo punto, di cambiare scenario. Questi uomini, è bene dirlo e nella fiction non emerge con chiarezza compirono le loro scelte per puro opportunismo, a cominciare da Dino Grandi.

2. Mussolini era consapevole del disastro del Paese, percepiva da uomo politico la necessità di una svolta ma., come spesso accade ai dittatori, era persuaso della sua indispensabilità, soggiogato dalla personalità di Hitler alla cui presenza da anni faceva scena muta, pronto a scaricare le responsabilità sugli altri senza riflettere sul fatto che da vent’anni era praticamente lui il responsabile di tutto. Le fonti storiche più attendibili (rimando ai pregevoli lavori proprio sul 25 luglio dello storico Emilio Gentile) lo descrivono rassegnato, pronto solo a qualche pistolotto retorico e alla frequente autocommiserazione soprattutto con il suo amore senile per Claretta Petacci. Accettò la riunione del Gran Consiglio e persino il voto contrario con rassegnazione. Il giorno dopo, come un solerte impiegato di banca, si recò a Palazzo Venezia e la sera in udienza dal re, certo che lo avrebbe comunque difeso e che invece lo fece arrestare. Una lettera di risposta al suo successore Pietro Badoglio che gli spiegava che il suo arresto era stato motivato solo da ragioni di sicurezza, dimostra pienamente questa rassegnazione e la volontà di ritirarsi a vita privata “ad allevar polli” come aveva confidato alla mogle Rachele. Altro che la furibonda caricatura che emerge dalla fiction il cui unico fatto riscontrato è la sofferenza per le gastriti provocata da un’ulcera d cui soffriva da anni.

3. Il re e Casa Savoia. Vittorio Emanuele III, invece appare per quello che era: un ometto dalle inclinazioni piccolo-borghesi, sopraffatto da eventi che avrebbero richiesto decisioni che lui non era mai stato in grado di prendere, preferendo piegarsi agli eventi dalla parte di chi gli appariva, in quel momento, il più forte. L’unica ossessione la dinastia e la conservazione di forme del potere che il fascismo aveva sempre più svuotato. La stessa scelta di affidarsi ad un uomo per tutte le stagioni come Pietro Badoglio, le furberie con i tedeschi e i traccheggiamenti con gli Alleati che avevano invaso l’Italia mentre l’unica scelta era quella di rovesciare immediatamente le alleanze mettendo un esercito ancora in armi in grado di opporsi ai tedeschi e ad Hitler, dimostrano in pieno le responsabilità della Monarchia nel disastro dell’8 settembre in quella che fu definita “la morte della Patria”. Il nostro paese spaccato in due, la guerra civile, l’occupazione e le stragi naziste, lo sterminio degli ebrei italiani, i nostri militari massacrati (si pensi a Cefalonia) o internati e schiavizzati in Germania, perfino l’assassinio in un lager della figlia Mafalda. Un Paese che, per fortuna, fu salvato dalla Resistenza, che pose le basi della rinascita democratica nel dopoguerra. Assolvere Umberto, che purtroppo accettò tutte le decisioni del padre, compresa quella di rinunciare a difendere Roma dopo la dichiarazione dell’armistizio solo in ragione del palese antifascismo della principessa Maria José appare solo come una scelta di drammatizzazione.

La fiction, comunque, merita di essere vista, nella speranza che qualcuno abbia poi la compiacenza di approfondire temi e questioni molto più complesse di come sono state presentate.

1945-2015 – 70 anni di libertà

Paola 6

Testo dell’intervento tenuto presso l’IIS Pisani-Pizzini di Paola il 23 aprile 2015

Ho riflettuto molto sul titolo da dare all’incontro di oggi a questo mio intervento e l’unico che mi è sembrato adatto è “70 anni di libertà”. Perché è l’unico che mi consente di spiegare a voi ragazzi il significato vero della Resistenza e della Festa della Liberazione.

Perché è la libertà, con tutto quello che ad essa si lega indissolubilmente, l’eredità che ci hanno lasciato i nostri nonni 70 anni fa. Continua a leggere

La Resistenza partì dal Sud 27-30 settembre 1943. Le quattro giornate di Napoli

Napoli, 27 settembre 1943

Pubblicato su “L’Ora della Calabria” del 28 settembre 2013, p. 33.

La Resistenza è stata spesso rappresentata come un fenomeno prevalentemente centro-settentrionale per la semplice circostanza che in quell’area geografica si verificarono gli episodi più significativi dello scontro con i fascisti della Repubblica di Salò e l’esercito tedesco di occupazione. Il Sud, invece, non conobbe la lotta partigiana perché occupato in gran parte dalle truppe alleate anglo-americane già nel settembre del 1943, e per la presenza del governo Badoglio e del re Vittorio Emanuele III.

Le settimane che vanno dalla fuga del re e del governo da Roma (8-9 settembre), gli sbarchi alleati a Salerno e a Taranto (9 settembre), la disperata resistenza di reparti dell’esercito italiano in difesa della capitale a Porta San Paolo (10 settembre), la liberazione di Mussolini dalla sua prigione sul Gran Sasso (12 settembre) e la costituzione della Repubblica di Salò (23 settembre), sono state ricordate come quelle in cui “la Patria morì”.

L’8 settembre fu, indubbiamente, il punto più basso della “catastrofe dell’Italia” e delle sue classi dirigenti. La fuga del re e del governo lasciò l’esercito italiano dislocato in Italia e nei vari teatri di guerra senza ordini e direttive, alla mercé dei tedeschi trasformati d’un tratto da alleati in nemici.

Infatti le trattative con gli alleati sbarcati in Sicilia il 10 luglio, avviate subito dopo la caduta di Mussolini (25 luglio), erano state condotte tra mille astuzie e bizantinismi. Vittorio Emanuele III e il primo ministro Pietro Badoglio dimostrarono di non avere alcuna consapevolezza di quanto il fascismo fosse inviso al popolo italiano e di quanto forte fosse il desiderio di porre fino ad una guerra disastrosa in cui la dittatura aveva trascinato un Paese riluttante e impreparato. Si preferì proseguire invece per settimane con la formula “la guerra continua a fianco dell’alleato germanico” senza impedire e addirittura favorendo l’occupazione della Penisola da parte dell’esercito tedesco e soprattutto senza predisporre, una volta firmato l’armistizio (2 settembre), un adeguato piano per difendersi dalla più che prevedibile reazione tedesca.

All’annuncio dell’ armistizio (anche questo proclamato da Badoglio con la formula ipocrita secondo la quale le truppe italiane avrebbero reagito “ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”) lo Stato cessò praticamente di esistere da un momento all’altro. Alla coscienza individuale di ciascun italiano fu lasciata la responsabilità di scegliere. Ci furono così coloro che colsero l’occasione per tornare a casa e altri che invece decisero di assumersi comunque la responsabilità per molti e per tutti, quelle responsabilità da cui il re e il governo erano invece fuggiti. Quelle responsabilità che seppe assumersi, tra i tanti in quei giorni e negli anni successivi,  Gennarino Capuozzo di appena 12 anni, uno scugnizzo morto  a Napoli il 29 settembre dopo aver tirato una bomba a mano contro un carro armato tedesco.

La scena del celebre film di Nanni Loy

In questo senso si può dire che le quattro giornate di Napoli rappresentarono il momento della scelta per un’intera popolazione. Ridotta ad un cumulo di macerie dai bombardamenti alleati, occupata dall’esercito tedesco che compiva quotidiani rastrellamenti per il lavoro forzato e la deportazione in Germania di tutti gli uomini validi e degli sbandati delle forze armate italiane, terrorizzata dalle feroci e indiscriminate rappresaglie, Napoli si sollevò come un solo uomo combattendo per quattro lunghe giornate contro un nemico armato ed organizzato e costringendolo ad abbandonare la città. Lo splendido film di Nanni Loy del 1962 (Le quattro giornate di Napoli) rappresenta bene il momento in cui tutti insieme, popolani e borghesi, vecchi e ragazzini, donne ed uomini, ex soldati e persino uomini di Chiesa decisero di ribellarsi e combattere.

La sera del 29 settembre il comandante tedesco di Napoli, il colonnello Walter Schöll, trattò la liberazione dei prigionieri italiani detenuti nello Stadio del Littorio ottenendo in cambio la possibilità di abbandonare la città. L’evacuazione delle truppe tedesche fu completata nella giornata del 30 anche se queste non rispettarono l’impegno a cessare le ostilità continuando a bombardare la città ed a sparare sugli insorti. Il 1 ottobre le truppe alleate entrarono in una città ormai liberata dai soldati tedeschi. Settant’anni fa. Per quanto accaduto tra il 27 ed il 30 settembre 1943 Napoli è medaglia d’oro della Resistenza italiana.

Ancora dal film di Nanni Loy

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