Politica

Stiamo attenti che la fine di Berlusconi non trascini con sé anche questo centrosinistra.

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La fine del lungo ciclo di governo di Berlusconi sembra essere ormai giunta. Avviene nel peggiore dei modi per il Cavaliere, assediato da inchieste giudiziarie, da gossip velenosi, dal ludibrio internazionale.
Al di là del fatto se riuscirà a mantenere una maggioranza parlamentare come gli è riuscito finora è del tutto evidente che la sua capacità di parlare al cuore ed alla pancia degli italiani, con quel mix di populismo e di sovversivismo dall’alto che ne ha contraddistinto la sua presenza in oltre tre lustri di vita politica italiana, è ormai esaurita.
Il leader è vecchio, stanco, persino un po’ patetico nel suo disperato tentativo di mostrarsi giovane e simpatico. L’assedio delle procure è indiscutibile, così come l’accanimento dell’ormai la quasi totalità dei media e dei cosiddetti “grandi poteri” (che pure, in fase alterne, lo avevano sostenuto), ma il suo tradizionale vittimismo che pure era riuscito a fargli catalizzare la maggioranza dei consensi elettorali, non regge più.
Gli italiani più che il discorso moralistico della miriade di indignati da salotto che affollano i talk show e le colonne dei giornali si sono finalmente convinti che il vecchio Silvio non è un uomo di Stato, non è capace di governare e di dare risposte ai problemi urgenti di un Paese che rischia di affondare nel gorgo di una crisi generale che in Italia è però aggravata proprio dalla assoluta inadeguatezza delle sue classi dirigenti. Se erano disposti a perdonargli tutto, anche le sue stravaganze e la sua irrequietezza sessuale (ma quando mai questa ha contato qualcosa nella cattolica e gesuitica Italia ?), non sono disponibili a perdonargli la sua inconsistenza politica, la sua assoluta incapacità di governare un Paese complesso avviato sulla strada di un inesorabile declino.
Nel centrodestra una partita si è aperta per la successione. Bisognerà vedere se questa sarà cruenta e lascerà morti e feriti oppure sarà politicamente guidata come l’elezione di Alfano sembra voler presagire. Se Berlusconi non fosse Berlusconi molto probabilmente un nuovo governo di centrodestra sarebbe già stato varato con una nuova leadership e una nuova composizione di coalizione. E’ la presenza di Berlusconi che impedisce la formazione di un nuovo governo a guida PDL con il Terzo Polo e Casini dentro. Allo stesso modo è la presenza di Bossi ad impedire, almeno finora, che una nuova leadership si affermi nella Lega.
Il futuro di quel campo, e se ne sono accorti soprattutto quelli che lo occupano, sta proprio nella possibilità che questo nuovo assetto del centrodestra finalmente si affermi, con buona pace degli antiberlusconiani di professione.
In questo senso io credo che non sia scontato che il dopo Berlusconi sarà di centrosinistra. Perché il centrosinistra attuale, al di là degli sforzi pure generosi di Bersani, è completamente ritagliato sull’antiberlusconismo.
Un’alleanza classica (PD, IDV e SEL) con il terzo polo autonomizzato, oggi vincerebbe le elezioni solo se il leader dell’altro schieramento (PDL e Lega) resta Berlusconi. Un altro leader nel centrodestra renderebbe questa coalizione attrattiva per le forze centriste già in questo parlamento, figuriamoci in un momento elettorale. Del resto come leggere gli aperti tentativi di varo di un governo “tecnico-tecnocratico” sponsorizzati da Confindustra e Marchionne che vorrebbero alla guida un Montezemolo o un Monti ?
Il problema per il Centrosinistra, dunque, è uscire da questo imbuto e trovare un nuovo assetto politico e programmatico che non può che essere riformista e modernizzatore.
Nell’opposizione vasta che si è coagulata contro il premier non c’è, infatti, solo il voto tradizionale della sinistra, ma anche quello di ampi settori moderati che sono delusi da Berlusconi ma che continuano a non amare la sinistra per come oggi si configura.
Senza Berlusconi lo schema di alleanze attuale attorno al PD non regge né politicamente né programmaticamente, inutile farsi illusioni. Non regge anche perché la sua leadership allargata tutto appare tranne che portatrice di innovazione e di modernizzazione. Né il problema si risolve soltanto allargando, cosa assai difficile in verità, la coalizione all’UDC, nel senso che ne verrebbe fuori una maggioranza numerica ma non politica come è avvenuto con l’Unione di Prodi.
In questo quadro il PD deve compiere uno sforzo ancora maggiore di adeguamento del suo profilo riformista e attorno a questo costruire le alleanze, atteso che l’antiberlusconismo non reggerà più, anche se Berlusconi dovesse resistere fino al 2013 e guidare la coalizione alle elezioni.
Cosa intendo per questo adeguamento ? Intendo soprattutto la necessità di fissare alcuni punti fermi: riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della giustizia, della scuola e dell’università, riforma istituzionale (a cominciare dalla legge elettorale), nuova politica per il Mezzogiorno. Su ciascuno di questi argomenti, purtroppo, lo schieramento nel quale oggi ci collochiamo è, purtroppo, diviso. Il PD deve chiamare tutti, alleati attuali e potenziali, forze economiche e sociali, il Paese intero nella sua articolazione più ampia e complessa, ad un confronto stringente e non ideologico su questi temi.
Solo così, credibilmente agli occhi del Paese, potrà candidarsi a succedere non solo a Berlusconi, ma al centrodestra e al sistema di interessi che esso, nonostante lo stesso Berlusconi, continua a rappresentare.
Altrimenti la fine di Berlusconi trascinerà con sé anche il centrosinistra.

Congresso PD in Calabria: è la democrazia bellezza.

Logo del PD

Tutti oggi nel PD calabrese chiedono il congresso: fa piacere che quanto gridavamo in solitudine sia oggi patrimonio di tutti. Sappiamo bene, tuttavia, che alcuni, sotto sotto, preferirebbero il contrario e  magari cercano di alimentare conflitti per dare una rappresentazione di un PD lacerato più di quanto sia realmente per continuare a vivere di rendita senza alcun mandato democratico. E’ un giochino tanto scoperto quanto stupido.

La dialettica interna è un dato costitutivo di un partito democratico e i congressi si fanno proprio per confrontare tesi e posizioni politiche diverse. Quella che prenderà più voti governerà il partito. A quella o quelle che perderanno spetterà comunque il compito di concorrere, partendo dalle idee espresse, alla crescita complessiva del partito. E’ la democrazia bellezza. E la democrazia fa paura solo a chi democratico non è.

Si faccia dunque questo benedetto congresso con tutte le garanzie democratiche che il nostro Statuto prevede. Magari diamocene anche di nuove e più stringenti, ma ridiamo la parola ai nostri iscritti e ai nostri elettori.

Affidiamoci dunque a loro con fiducia e con rispetto: sono spesso molto più saggi di noi e comunque solo a loro spetta il compito di decidere.

Purché, però, una volta che hanno deciso, non si parli di potentati, brogli, e popolo pecorone. A quel punto le pernacchie ci sommergeranno.

 

Basta con le ipocrisie sul caso Penati.

Un maledetto imbroglio
Dopo l’ipocrita decisione della Commissione di Garanzia del PD (qualche TV l’ha definita freudianamente Commissione giustizia), apprendiamo che essere iscritti al PD significa rinunciare ai diritti individuali previsti dalla nostra Costituzione. Insomma, abbiamo riscoperto l’uso dei tribunali di partito. Se non fosse tragico direi che è farsesco.
Una decisione assunta solo per tentare di dare una risposta alla vandea giustizialista che imperversa da giorni, strana e inutile visto che il povero Penati aveva già annunciato la sua autosospensione.
Ma non basterà neanche questo: la Vandea come il Terrore si nutrono di sangue sempre fresco, ricordiamocelo.
Si aprirà presto la caccia al politico in quanto tale. Arriverà il momento per cui i politici, tutti senza eccezione, anche i più oscuri segretari di sezione, saranno crocefissi in sala mensa (ricordate l’incubo fantozziano ?) e si spianerà la strada, perché questo è il vero obiettivo, al governo dei tecnici e dell’impresa. Che poi questi tecnici e imprenditori siano spesso più imbroglioni e corrotti dei politici, poco importa. Del resto Berlusconi non è forse un imprenditore sceso in campo contro la vecchia politica ?

Polemiche su un manifesto del PD: stiamo diventando tutti bacchettoni ?

Manifesto del PD Festa Nazionale di Roma
Una grande polemica si è aperta sul manifesto della Festa Nazionale del PD di Roma che esibisce due belle gambe femminili e una gonna appena sollevata dal vento con la scritta “Cambia il Vento”. Alcune esponenti del PD e delle donne del Comitato “Se non ora quando ?”, quello che ha organizzato le imponenti manifestazioni contro Berlusconi all’indomani dell’emergere del caso Ruby, hanno chiesto addirittura il ritiro del manifesto e della campagna di comunicazione della Festa accusandola di “strumentalizzazione del corpo femminile”.
Premesso che mi riesce difficile vedere un nesso tra il “bunga bunga” e il manifesto in questione che invece trovo simpatico e intelligente con quella citazione della “Moglie in vacanza” di Marilyn Monroe (una immagine che negli anni ’60 fece scalpore contribuendo non poco alla rottura con certo bacchettonismo in Italia insieme alla “Dolce Vita” di Fellini), sono certo che mi prenderò anch’io qualche critica femminile.
Ma francamente trovo la polemica esagerata e, malgrado le buone intenzioni, anche pericolosa, perché rischia di mettere la sinistra ad inseguire certa destra sul terreno del moralismo più becero (vedi la polemica della Rauti, che ci “scavalca a sinistra”).
Personalmente, pur non essendomi assolutamente simpatico questa volta sono d’accordo con Giampiero Mughini che scrive: “Né il fanatismo del corpo femminile per quanto siliconato ed esibito impudentemente come strumento di realizzazione del proprio reddito e della propria carriera (talvolta di buona a nulla). Né il fanatismo opposto di chi condanna qualsiasi immagine “sexy” della donna perché la trova losca e umiliante. Sono tra quelli che mai una volta nella sua vita ha incontrato delle ragazze alla maniera di quelle dell’Olgettina. Ero però felicissimo quando qualcuna delle mie amiche esibiva orgogliosamente il suo corpo, e a dire il vero non ne ricordo una che non lo facesse. Ciascuna beninteso a suo modo e nel suo stile. Stili che erano tutto fuorché loschi e umilianti”.
Io credo che una immagine debba essere innanzitutto non volgare, e quella del manifesto, oggettivamente, non lo è, anzi la preferisco a tanti manifesti col faccione, assai simpatico tra l’altro, di Bersani. Pensate solo per un attimo se al posto di quelle belle gambe avessero messe quelle del nostro segretario o di D’Alema…beh, è una esperienza che mi risparmio volentieri, come penso voi tutti…

Continuare ad affidare il PD a certe persone è come dare la patente di femminismo a Landru.

Landru

Landru


Dal 2009, sotto varie forme, prima direttamente adesso per Commissario Interposto, il PD calabrese è governato da Oliverio e addentellati come Guccione, Laratta e Bevacqua. Dal 2009 ad oggi, abbiamo perso regionali ed amministrative. Loro sono ancora lì, anzi danno pagelle, continuano a distinguere tra buoni e cattivi a lanciare appelli per l’unità e per la costruzione del partito. Cose di cui il PD ha bisogno come il pane ma che loro non hanno nessuna credibilità nel proporre. Loro che hanno distrutto l’unità del PD che aveva consentito l’unica vittoria alle provinciali di Cosenza, loro che hanno distrutto ogni vita democratica interna, che hanno tentato di appaltare a forze esterne ed estranee al centrosinistra la rappresentanza del centrosinistra stesso a Cosenza. Adesso danno pagelle di coerenza anti-Scopelliti al gruppo regionale, che avrà mille difetti, ma non certamente quello di essere stato silente in questi mesi, anche a discapito della costruzione di una coerente alternativa di governo alla Regione. E allora, di cosa stiamo parlando ? Personalmente penso che continuare ad affidare il PD a costoro è come affidare l’emancipazione della donna a Landru.

Caso Battisti, Vendola e il perseverare di certa sinistra…

Battisti
Francamente mi aspettavo la risposta che il leader di SEL avrebbe dato alla conduttrice Lilli Gruber sul caso Battisti. Sostanzialmente Vendola sostiene che, quando è passato troppo tempo dal delitto la pena perde di senso. Rimane (e vorrei vedere) il rispetto e la partecipazione al dolore delle vittime. Aggiungendo che sulla stagione del terrorismo era necessaria anche una soluzione politica e non solo giudiziaria. Sono posizioni che Vendola aveva anche espresso in passato, quindi non sorprendono, ma continuano ad indignarmi.
Perché da garantista convinto credo nella giustizia e la giustizia non ha una scadenza temporale, è un principio che giustamente viene posto, dalla nostra Costituzione e da tutta la tradizione liberal-democratica, in una dimensione assolutamente sganciata da qualsivoglia tipo di contingenza.
La verità è che in Italia, a sinistra e a destra, continua a prevalere una visione ideologica e politica della giustizia, con buona pace dei principi più elementari di rispetto delle garanzie e dell’equilibrio e separazione tra poteri.
Sono pronto a scommettere 100 euro contro un fagiolo che se al buon Nichi avessero chiesto che cosa ne pensasse del fatto che un tribunale italiano, dopo oltre cinquant’anni dal fatto, abbia condannato un vecchietto come Priebke per la strage della Ardeatine, avrebbe risposto che era giusto e sacrosanto che la giustizia facesse il suo corso, anche per rispetto del dolore delle vittime.
Io credo, invece, che come è stato giusto processare Priebke e offrirgli cioè quelle garanzie che lui negò alle sue vittime e, infine condannarlo ad una pena infine mitigata da altrettante garanzie in considerazione della sua veneranda età (a cui lui è arrivato e le sue vittime no), allo stesso modo era giusto che il Brasile concedesse l’estradizione per un soggetto condannato in forma definitiva che si era macchiato di delitti aberranti che poco avevano a che fare con qualsivoglia ideologia rivoluzionaria.
Perché me lo devono spiegare, brasiliani, intellettuali francesi e italiani che hanno difeso questo soggetto come se fosse un Garibaldi o un Che Guevara (come dice Merlo su Repubblica di ieri) perseguitato dalla giustizia di uno Stato autoritario, cosa c’entra con la rivoluzione ammazzare un macellaio o un gioielliere a scopo di rapina.
Né vale prendersela con il Berlusconi che all’estero denigra la magistratura italiana se anche a sinistra sugli anni di piombo permangono giudizi come quello su Battisti, corroborati da appelli di intellighenzia a cui anche certi campioni della lotta per la legalità come Saviano avevano inizialmente dato il loro assenso (salvo poi ritirarlo di fronte al montare della protesta dell’opinione pubblica italiana). Sono due facce della stessa moneta, purtroppo.
La giustizia italiana ha tanti difetti, non c’è dubbio, ma il suo difetto principale è la politicizzazione che emerge spesso al suo interno e al suo esterno. Politicizzazione che continua ad operarsi sia a destra che a sinistra, purtroppo. Io continuo a credere che la giustizia debba essere il più possibile autonoma dalla politica e viceversa. Su questo si basa il principio assolutamente liberale e democratico della separazione dei poteri. Entrambe, politica e giustizia, sarebbero più forti, entrambe farebbero meglio il loro dovere per il bene dei cittadini se rispettassero questo principio.
priebke
Vendola

Ragazzi, giuro che se sento parlare di rinnovamento chiamo i carabinieri…

Carabinieri-in-alta-uniforme

Scelgo questo titolo volutamente provocatorio per cercare di esprimere un concetto che mi sta molto a cuore dopo la “batosta” di domenica scorsa. Dico subito quindi che la sinistra ha bisogno come il pane di un profondo e radicale rinnovamento dei suoi gruppi dirigenti e, soprattutto, di una grande innovazione politica e programmatica.

Tuttavia trovatemi uno in Calabria, in Italia e nel mondo che non dica la stessa cosa con toni enfatici ed apodittici anche tra coloro che di questa batosta sono i principali responsabili.

Si, perché parlare di rinnovamento è la cosa più facile di questo mondo ed è il modo migliore per mantenere tutto esattamente com’è. I più grandi proclamatori di novità sono, in realtà i peggiori conservatori perché intendono il rinnovamento sempre a partire dagli altri, mai da se stessi.

La vicenda calabrese del PD ne rappresenta la plastica dimostrazione: sono mesi che novelli giacobini predicano il rinnovamento, agitano questioni morali e acuiscono le profonde fratture del gruppo dirigente solo ai fini di ritagliarsi un posticino nel sempre più residuo e marginale bacino del PD. Poco importa se molti di questi predicatori sono cresciuti all’ombra di coloro che oggi considerano il male assoluto, se si sono ingrassati con incarichi e prebende o comodi posticini in liste bloccate.

Ma, francamente, del destino di questi sono poco preoccupato perché gli elettori li hanno già giudicati e pesantemente bocciati.

Sono invece preoccupato del fatto che, anche rimuovendoli dai posti che occupano risolveremo solo parte dei nostri problemi. Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Perché il rinnovamento, quello vero, non riusciremo a farlo se non costruiremo finalmente il PD, vale a dire un partito di massa, inclusivo e capace di promuovere davvero nuove classi dirigenti sul terreno dell’innovazione politica. Un partito che tenga tutti dentro, vecchi e nuovi e promuova davvero i nuovi sulla base della selezione democratica, nel fuoco della battaglia politica consentendo anche all’ultimo dirigente dell’ultimo circolo di poter crescere ed affermarsi senza cooptazioni ma in base alle cose che sa esprimere e sa fare. Perché sulle macerie si è sempre costruito poco, se non nulla. Perché il rinnovamento senza innovazione è solo nuovismo senza contenuti destinato ad essere spazzato via al primo alito di vento. Perché la lotta politica interna ha senso e si motiva se si è portatori di progetti, di proposte, di visioni strategiche che vadano al di là delle pur legittime ambizioni personali.

Rinnovare non significa cooptare in posti di responsabilità qualche ragazzo che serva da vetrina, ma consentire a migliaia di ragazzi di crescere e produrre politica insieme a chi ha maturato esperienza ed anche errori. Così si faceva nei vecchi partiti, così dovremmo fare nei nuovi (dopo averli costruiti, ovviamente).

Il voto di domenica e lunedì ci consegna intanto due problemi grandi quanto una casa: un PD da prefisso telefonico ed un centrosinistra minoritario, marginale e parolaio incapace di porsi come interlocutore credibile e di governo per combattere l’egemonia del centrodestra in questa regione.

Il centrodestra vince perché regge la sua alleanza con l’UDC, alleanza frutto della miopia di quei dirigenti che consentirono a Loiero di ricandidarsi alla guida di una coalizione ormai minoranza in Calabria convinti che la sola gestione del potere regionale fosse sufficiente a farci vincere. Nel “Rendano” di Cosenza ancora non si sono spenti gli echi di una manifestazione convocata dagli strateghi cosentini (gli stessi della sconfitta cosentina, rossanese e sangiovannese) che urlavano “Agazio, sei l’unico candidato possibile” nelle stesse ore in cui Bersani tentava l’interlocuzione con l’UDC che ci avrebbe fatto vincere davvero.

Ora tutto è più difficile, per cui è davvero assurdo dividersi tra chi urla più forte “rinnovamento, rinnovamento”. E’ venuto invece il momento innovare davvero interrogandoci fino in fondo sul come.

 

Non ci sto…

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Non ci sto alla chiamata tardiva alle armi contro i barbari alle porte. Intanto perché chi dovrebbe difenderci dai barbari è barbaro anch’esso ed è già dentro le mura.
Non ci sto al ragionamento semplicistico che fanno alcuni, molti in palese malafede, di votare a sinistra contro la destra, quando la sinistra che mi propongono è fatta di una persona in palese conflitto di interessi che sta facendo una campagna elettorale che mutua il peggiore berlusconismo di cui aveva tentato, disperatamente, di essere il rappresentante.
Non ci sto a farmi intruppare con chi sta conducendo una campagna elettorale vergognosa, nella quale si agitano dossier come fa la Moratti contro Pisapia a Milano, con chi si proclama garantista per sé e fa il forcaiolo con gli avversari politici e non si confronta sui temi dello sviluppo di questa nostra amata città.
Non ci sto ad avallare con il mio voto una operazione di palazzo di qualche dirigente di partito che prima fa perdere il PD e poi pretende di rappresentarlo e dirigerlo.
Non ci sto ai richiami all’unità da parte di chi per primo ha frantumato, spaccato, lacerato il PD e il centrosinistra per salvaguardare il proprio ristretto orticello di potere e già ragiona di poltrone e assessorati per sodali e familiari.
Non ci sto a farmi fare la lezione da chi predica il rinnovamento e lo svecchiamento (sempre per gli altri, per carità) solo per legittimare la sua permanenza al potere. Da chi ha sostenuto il candidato alternativo al PD e si permette di darci lezioni di coerenza.
Ieri Damiano Covelli ha dato una lezione a tutti: non mi importa se sarò eletto o meno, la mia firma sotto questa mistificazione non ce la metto.
Il centrosinistra a Cosenza ha già perso il 16 e il 17 maggio scorsi. Al ballottaggio sono andati due candidati di centrodestra.
Io non voterò nessuno dei due.
Barbari

De Magistris e il sepolcro imbiancato…

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In questi anni è stato perpetrato un vero e proprio inganno nei confronti di tanti cittadini onesti e desiderosi di vero cambiamento.

Questo inganno ha un nome e cognome, si chiama Luigi De Magistris. Con inchieste flop costate milioni di euro che pesano sulle tasche dei cittadini e basate su fantasiosi teoremi si è costruita l’immagine di giustiziere senza macchia e senza paura, il moralizzatore di una classe politica e imprenditoriale corrotta.

Centinaia di persone innocenti sono state trascinate sulla gogna mediatica, processi televisivi condotti dai campioni del giustizialismo mediatico Santoro e Travaglio hanno emesso sentenze e comminato condanne.

Altri giudici, dopo anni di fustigazione, hanno detto che in quanto era contenuto nelle accuse di De Magistris nulla era vero, nulla stava in piedi, non c’erano neanche i reati ed hanno restituito onore e dignità a tanti innocenti che, tuttavia, non saranno mai ripagati di quanto hanno sofferto (insulti, carriere stroncate, rovina economica, pubblico ludibrio, ecc.).

Intanto il nostro ha lasciato la magistratura e si è fatto eleggere al parlamento europeo sotto le insegne di Di Pietro con il voto di tanti che avevano creduto alla sua falsa immagine. Un imbroglio che diventa oggi ancora più palese quando il nostro utilizza l’immunità parlamentare di quella che lui chiama “casta” per sottrarsi ai processi per diffamazione di coloro che aveva ingiustamente accusato.

Lui non è casta, gli altri lo sono, lui ha mandato centinaia di persone sotto processo con accuse false ed oggi si sottrae ai processi utilizzando i privilegi della casta che tanto disprezza in pubblico.

Un sepolcro imbiancato, un vero e proprio inganno ai danni di coloro che avevano creduto in lui…

 

Quattro anni fa moriva Giulio Grandinetti…Il ricordo dei suoi ultimi giorni nella bufera della bufala “Why Not”.

Giulio Grandinetti con Enza Bruno Bossio

Giulio Grandinetti con Enza Bruno Bossio


Il 22 aprile del 2007, dopo una breve e micidiale malattia si spegneva Giulio Grandinetti. Imprenditore nel ramo assicurativo e dirigente politico sin dalla più tenera età nel PCI-PDS-DS, era stato anche amministratore delegato de “Il Quotidiano della Calabria”, contribuendo notevolmente all’affermazione di questa testata nel panorama editoriale calabrese. Negli ultimi anni aveva svolto l’incarico di capo struttura del Vice Presidente della Giunta Regionale, Nicola Adamo.
Giulio era uomo di specchiata dirittura morale, con un rigore che gli era riconosciuto da tutti. Apparteneva a quella schiera di persone che stanno sempre dalla stessa parte e che concepiscono il loro impegno come servizio, in qualunque ruolo sono chiamati.
Fu nella veste di collaboratore di Nicola Adamo che ricevette, nell’ambito della roboante inchiesta Why Not dell’allora PM De Magistris, un avviso di garanzia per una presunta associazione a delinquere insieme allo stesso Nicola Adamo e ad Enza Bruno Bossio.
In verità, in quel settembre del 2006 il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott. Lombardo, smentì che ad essere raggiunto da avviso di garanzia fosse il Giulio Grandinetti collaboratore di Nicola Adamo, ma un omonimo commercialista di Cosenza che subì anche una minuziosa perquisizione del suo studio e della sua abitazione.
Pochi giorni dopo, Giulio già malato, il Procuratore Lombardo fu smentito da De Magistris che invece individuava proprio nel nostro Giulio l’obiettivo della indagine.
Cos’era successo ? Ai fini di mettere in piedi l’accusa di associazione a delinquere si tirò dentro Giulio Grandinetti senza neppure accorgersi che era la persona sbagliata.
Si parlò della fantomatica Loggia affaristico-massonica di San Marino e si finì per coinvolgere anche Prodi e Mastella, fatto che fu determinante per la caduta dell’allora governo di centrosinistra.
Tutto ciò diede al PM De Magistris una straordinaria proiezione mediatica che lo portò nel 2009 al Parlamento Europeo, in tempo per vedere tutte le sue inchieste sciogliersi come neve al sole, mentre persone perbene venivano additate al publbico ludibrio.
Nel novembre 2009 il GIP archiviò tutte le accuse a carico di Giulio Grandinetti collaboratore di Nicola Adamo per la loro insussistenza, restituendogli, purtroppo postumi, onore e dignità.
Mi sembrava giusto ricordare tutto ciò nell’anniversario della sua morte per riflettere, ancora una volta, su quanto è successo negli ultimi anni di ubriacatura giustizialista.

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