Attualità

I veri riformisti

Grillini sul tetto di montecitorio

I parlamentari 5 stelle sono saliti sul tetto di Montecitorio per protestare contro le possibili riforme costituzionali. Singolare che chi ha preso i voti per cambiare tutto oggi protesti per non cambiare niente, neanche la legge elettorale. In realtà sono veri riformisti: dal momento che il Parlamento fa acqua da tutte le parti sono andati ad aggiustare le grondaie.

L’incapacità di Berlusconi a comportarsi da vero leader

Silvio Berlusconi

Chi ha la bontà di leggere le cose che ogni tanto scrivo sa che rispetto a Berlusconi non ho mai avuto alcun atteggiamento pregiudiziale o ideologico.

Per me resta un avversario politico che va battuto con l’arma della politica, cioè prendendo più voti di lui alle elezioni.

Ho sempre aborrito le scorciatoie giudiziarie e credo anche che, in qualche misura, su di lui un certo accanimento da parte di alcuni settori della magistratura c’è pure stato.

Aggiungo che anche questo è frutto dei suoi macroscopici errori politici. Se in questi anni, infatti, invece di procedere con leggine ad personam suggerite dai suoi avvocati, avesse invece perseguito, per il bene di tutti i cittadini, una profonda riforma della giustizia oggi non si troverebbe nelle condizioni in cui è. E magari tanti cittadini potrebbero oggi avere una giustizia che garantisce tutti, ricchi e poveri, potenti e deboli.

Ma il limite vero di Berlusconi è proprio questo, non sapere guardare oltre il ristretto orizzonte dei suoi interessi personali.

D’altro canto il suo è sempre stato un garantismo peloso, senza se e senza ma per sé e per i suoi, forcaiolo e giustizialista per gli avversari politici e per i poveri cristi.

Comunque oggi è stato condannato con sentenza definitiva. Le sentenze definitive, quando cioè sono stati espletati tutti i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento nel pieno delle garanzie di uno stato di diritto, possono anche non piacere, si possono anche discutere, ma si devono rispettare. Ciò vale per tutti i cittadini ma vale soprattutto per chi ricopre incarichi politici.

Un vero leader politico che ha davvero a cuore i destini del suo Paese e della sua stessa parte politica dovrebbe, a questo punto, fare la cosa più giusta, mettersi da parte e favorire l’apertura di una nuova fase.

Ma così non è: da settimane si assiste, invece, a questo teatrino attorno al voto in Commissione per la sua decadenza da senatore e alle minacce di ritorsione sul governo Letta.

Si tratta, è bene ribadirlo, di questione alla fine ininfluente sul piano pratico: anche un voto contrario alla sua immediata decadenza non cancellerebbe la condanna e la pena che dovrà comunque scontare e, dopo la riformulazione di quella accessoria da parte della Corte d’Appello di Milano, la stessa questione si ripresenterebbe nei medesimi termini.

Persino l’eventuale ricorso alla Consulta sulla presunta incostituzionalità della retroattività della sentenza sarebbe ininfluente, perché non cancellerebbe né la condanna né la pena accessoria. E comunque Berlusconi, alle prossime elezioni, non è ricandidabile. Se ne facciano una ragione tutti, pitonesse e paggi.

Da parte sua il PD dovrebbe fare come si fa con certi vecchi molesti, che non vogliono proprio saperne di accettare la realtà. Ricorra pure alla Consulta, all’ONU e persino al Consiglio della Galassia. Primo o poi qualcuno troverà il coraggio di dirgli che sta sulle balle proprio a tutti, compresi quelli che gli gridano ancora “forza Silvio”.

Egitto, la via stretta e lunga per la democrazia tra autoritarismo e integralismo islamico…

egitto-in-crisi

Diciamoci la verità, ciò che è successo in Egitto non è certamente un fatto normale per una democrazia normale. Un Presidente regolarmente eletto è stato deposto e messo agli arresti dalle forze armate che hanno sospeso la Costituzione e nominato un governo provvisorio in seguito ad una serie di manifestazioni di massa nei centri più importanti di quel paese.

Questa semplice cronaca dei fatti ci dà la misura di come il rapporto tra democrazia e cittadini nel mondo arabo (e islamico in generale) resti un problema in gran parte aperto.

Questo quadro ci viene confermato anche dalla vicenda della Turchia, paese islamico ma non arabo, dove il governo del Presidente Erdogan non riesce a fronteggiare una forte protesta di piazza cheda mesi ne contesta la politica giudicata, in generale, troppo filoislamica e in contrasto con la tradizione laica del Paese fondato da Ataturk.

Entrambe le proteste, pur se sviluppatesi in contesti economici e sociali ben diversi, pongono al centro la questione della modernizzazione dei propri paesi e l’insofferenza per una politica che, in forme differenti, cerca di utilizzare come instrumentum regni la questione religiosa.

Non deve quindi sorprendere che le folle delle piazze egiziane oggi inneggino alle forze armate, le stesse che avevano sostenuto per lunghi anni Mubarak (dai tempi di Nasser in Egitto i governanti vengono dai ranghi dell’esercito) deponendolo sempre in seguito alle pressioni della piazza quando questi era diventato indifendibile e favorendo lo svolgimento di elezioni che avevano dato la maggioranza ad un esponente di uno dei più antichi partiti egiziani, quello dei Fratelli Musulmani (fondato nel 1928), una formazione islamico-integralista con ramificazioni in tutto il mondo arabo.

I Fratelli Musulmani erano stati costretti alla clandestinità da Nasser e una delle sue correnti più estremiste fu risucchiata in pratiche terroristiche, arrivando persino ad assassinare nel 1981 il Presidente Sadat. Durante il governo Mubarak ne fu consentita la vita legale e la partecipazione alle elezioni (assai poco democratiche, in verità) in coalizioni con altre forze dell’opposizione ufficiale al regime.

La fine del regime di Mubarak insieme a quello di altri paesi del mondo arabo, passando per la sanguinosa guerra civile ancora in corso in Siria, hanno messo in evidenza il nodo gordiano della situazione politica e sociale della sponda sud del Mediterraneo.

Da una parte c’è una società civile, soprattutto giovani, che sono insofferenti sia ai vecchi regimi autoritari e corrotti che pure avevano garantito nel bene e nel male la modernizzazione di quei paesi, sia nei confronti di quelle forze politiche espressione del tradizionale fondamentalismo islamico che pure continua (è bene non dimenticarlo) ad avere caratteri di massa in quelle società.

In Egitto questi giovani oggi applaudono alle forze armate che, forse con un certo opportunismo, hanno inteso sostenere le loro rivendicazioni.

I giovani di quell’area sembrano aver compreso la direzione giusta ma devono fare i conti sia con un vecchio mondo autoritario e corrotto che cerca di riciclarsi sotto altre forme, sia con gli estremismi integralisti che usano la religione islamica come strumento di lotta politica e per l’affermazione di nuove forme di dominio e sopraffazione.

La strada per la democrazia è dunque ancora lunga e stretta e tuttavia non si può fare a meno di auspicare che venga percorsa fino in fondo.

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Il buon senso sulla legge elettorale…

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Se fossimo un partito serio avremmo già detto sì nella passata legislatura ad una proposta di riforma della legge elettorale che prevedesse le preferenze, con la significativa correzione della doppia preferenza di genere.

Se fossimo un partito serio avremmo, ad esempio, fatto un minimo di analisi del voto confrontando innanzitutto le regionali con le politiche (si votò nello stesso giorno, ricordate ?) e queste ancora con le amministrative di un mese fa, scoprendo, ad esempio, che laddove si vota con le preferenze il PD prende più voti e forze come quella di Grillo si riducono all’inconsistenza.

D’altro canto voi tutti li votereste in una lista gente come Crimi e Lombardi e almeno l’80% dei candidati grillini messi lì apposta perché anonimi e votati a stare zitti tanto parla sempre il “guru” ?

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O forse Berlusconi avrebbe potuto avere quella rimonta che poi ha avuto, se il carattere populistico della sua proposta politica fosse stato depotenziato sul territorio da una miriade di candidati forti e radicati ?

Ma il voto con le preferenze ha anche un altro vantaggio: rende necessari i partiti che abbiano un minimo di organizzazione sul territorio, un minimo di radicamento, con gruppi dirigenti locali che nelle scelte hanno la possibilità di contare e pesare.

Ciò avviene in tutte le democrazie del mondo.

Il PD e l’Italia hanno bisogno come il pane di una democrazia che si nutra dal basso, in cui le classi dirigenti si misurano nel fuoco delle dinamiche politiche locali e siano poi in grado di ridurle a sintesi nelle istituzioni nazionali. Se invece i gruppi dirigenti sono selezionati dall’alto sulla base della fedeltà a questo o a quel dirigente, quale politica si potrà mai condurre rispetto ad interessi più ampi e anche più alti del Paese ?

Questi obiettivi, intendiamoci, sono raggiungibili anche con i collegi uninominali a condizione che le candidature siano anch’esse selezionate dai territori in un rapporto virtuoso con il centro di direzione politica nazionale, senza trascurare, anche qui, la necessità di costruire meccanismi che garantiscano la rappresentanza di genere rifuggendo dalle stupidaggini delle cosiddette “quote rosa”.

La storia delle candidature dei collegi uninominali del “mattarellum” purtroppo, questa impostazione, per chi non ha memoria corta, troppo spesso non l’ha rispettata.

Ma questo ragionamento di semplice buon senso non alberga in tanti e troppi dirigenti del PD, che con il “porcellum” si sono costruiti le filiere correntizie (e poi ci fanno le lezioni sui “capibastone”, sic !) con l’aggravante che sono correnti costruite senza neppure il consenso popolare.

Un ragionamento che fa il paio con gli interessi autoconservativi di tanti parlamentari senza voti (e spesso senza testa) che il porcellum lo difenderebbero fino alla morte, a prescindere da certe tirate propagandistiche.

Ora incombe la Consulta che dovrà pronunciarsi su una sentenza della Cassazione che ha detto quello che il buon senso ci diceva da tempo: non è democratica una legge che assegna un premio abnorme di maggioranza senza un minimo di soglia e dove i parlamentari non sono scelti dai cittadini ma da chi compila l’ordine delle liste.

Buon senso vorrebbe cambiare questa legge subito.

Buon senso vorrebbe che il PD non si opponesse alle preferenze per il semplice fatto che è un meccanismo che gli conviene.

Buon senso vorrebbe non aver paura della democrazia ma sostenerla sempre e comunque.

Ma di buon senso se ne vede in giro ?

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Il Movimento 5 stelle è ormai come la Fattoria degli Animali di Orwell.

La fattoria degli animali 2

Forse non è chiaro ai più quello che sta succedendo nel Movimento di Grillo.

Se si caccia una senatrice dal movimento per la sola colpa di avere criticato il “Capo” non ci troviamo soltanto di fronte ad un problema di garanzie di democrazie interna.

Siamo all’essenza dello stalinismo, quello che George Orwell denunciò nella Fattoria degli Animali.

A seguire il dibattito interno dei grillini ci sembra di rivedere i personaggi del racconto orwelliano.

Grillo è Napoleon, il verro che “voleva avere sempre ragione”.

Vito Crimi e la Lombardi e tanti altri che non fanno che ripetere il Verbo del Capo, sono come il maiale Clarinetto, il propagandista che prende per i fondelli gli animali raccontandogli fandonie a cui non crede neppure lui.

Le pecore che ripetono gli slogan sono i presunti iscritti della rete, dove non si fa che ripetere ossessivamente la volontà del Capo, per zittire i dubbiosi e per smentire tutti coloro che pongono dubbi sul fatto che della rivoluzione annunciata ai quattro venti non si intravede neppure l’ombra.

Mancano ancora i cani, che nel racconto orwelliano rappresentavano la polizia e la NKVD, ma penso che Casaleggio si stia attrezzando anche in questo senso, magari dotando di qualche arma i responsabili della comunicazione messi a tutela dei gruppi parlamentari contro i cattivi giornalisti, che so, un laser che secchi la lingua del deputato nello stesso istante in cui si trova nel raggio di almeno 10 metri da un microfono !!!

Mai nella storia della politica italiana ci siamo trovati di fronte ad uno schema simile, incapace persino di cogliere il senso del ridicolo che questi episodi suscitano.

Per Grillo, come si è capito, vale la democrazia dell’articolo quinto, chi ha la mano ha vinto.

Per chi lo ha seguito in buona fede resta il dilemma se essere come l’asino Benjamin, l’unico animale ad aver conservato il proprio senso critico nel generale conformismo, o come il povero Gondrano, il cavallo stakanovista sincero sostenitore di una rivoluzione e che alla fine della sua vita invece di premiarne la devozione, lo manderà al macello per trasformarlo in colla.

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Anche sul web libertà è libertà per gli altri.

Albert Camus

La scorsa settimana si è tenuto a Cosenza un interessante convegno che ha fatto il punto sulla cosiddetta “minaccia cibernetica e il diritto alla privacy” promosso dall’ordine degli ingegneri di Cosenza e dalla Fondazione Mediterranea per l’ingegneria.

Al tavolo dei relatori personalità assai diverse, dal politico ai tecnici fino al rappresentante delle forze dell’ordine e della sicurezza. Sono infatti intervenuti l’ing. Alessandro Astorino (Consigliere Ordine Ingegneri Cosenza), l’on. Enza Bruno Bossio (Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni – Camera dei Deputati), il Gen. C.A. Giorgio Cornacchione (Consigliere militare del Presidente del Consiglio dei Ministri), l’ing. Angelo Valsecchi (Consigliere Nazionale Ordine Ingegneri d’Italia), il dott. Stefano Zireddu (Director Global Security e Cyber Crime Investigations Italy, American Express), il dott. Raffaele Barberio, Direttore di Key4biz, il Gen. Luigi Ramponi, Presidente del CESTUDIS.

Non sfugge a nessuno che la straordinaria espansione della Rete quale strumento di informazione e comunicazione pone tutta una serie di problemi assai rilevanti sia sul piano della sicurezza dei dati e dei sistemi informatici che ormai regolano praticamente ogni momento della nostra vita quotidiana, sia sul piano del rispetto della privacy di milioni di persone.

La polemica nata negli USA contro il Presidente Obama sulla intercettazione e catalogazione dei dati riguardanti milioni di cittadini americani all’interno di un programma di lotta al terrorismo internazionale ne è, sostanzialmente, la prova più evidente.

L’on. Bruno Bossio, nel corso del suo intervento, ha messo in evidenza come la Rete non sia altro che “uno specchio del mondo in cui viviamo, ne riflette gli slanci (vedi primavera araba) ma anche le miserie. La Rete si presenta come un’estensione delle relazioni sociali, con profondissime potenzialità elaborative mai conosciute nella storia dell’umanità. Non è un mondo parallelo, ma un’estensione del mondo relazionale e informazionale della nostra società; rappresenta sicuramente il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto”.

Io credo che ciò sia la prima grande questione che dobbiamo tenere presente: l’umanità oggi ha uno strumento straordinario nelle sue mani per esercitare il proprio diritto alla libera espressione del proprio pensiero e all’acquisizione di informazioni sempre più dettagliate e recenti. Nello stesso tempo l’umanità, per la prima volta nella sua storia, può “sentirsi” finalmente una pur nelle sue enormi differenze, percepirsi come un unico organismo sociale e culturale.

Internet però è un mezzo, non il fine. E’ uno spazio pubblico, non un altro cosmo che vive di vita propria, una realtà virtuale da contrapporre a quella reale.

La Rete può migliorare la nostra qualità della vita ma, nello stesso tempo, restringere i nostri spazi di libertà a seconda dell’uso che se ne fa.

Torna quindi prepotente un tema antico, quello sui limiti della libertà individuale in una società, soprattutto quando questa società diventa sempre più complessa e interconnessa.

A nessuno può essere limitata la libertà di comunicare quello che vuole su Internet purché questa libertà non vada ad incidere sulle libertà di altri, soprattutto se questi ultimi sono più deboli e indifesi (si pensi solo al problema della tutela dei minori).

Da qui l’esigenza di regole e di strumenti di controllo che consentano l’esercizio della libertà di espressione da una parte e garantiscano i diritti individuali di ciascuno alla tutela della propria persona.

Scriveva Albert Camus: “La libertà senza limiti è il contrario della libertà. Solo i tiranni possono esercitare la libertà senza limiti; e, per esempio, Hitler era relativamente un  uomo libero, l’unico d’altronde di tutto il suo impero. Ma se si vuole  esercitare una vera libertà, non può essere esercitata unicamente nell’interesse dell’individuo che la esercita. La libertà ha sempre avuto come limite, è una  vecchia storia, la libertà degli altri. (…). Una libertà che comportasse solo dei diritti non sarebbe una libertà, ma una tirannia. Se invece comporta dei diritti e dei  doveri, è una libertà che ha un contenuto e che può essere vissuta. (…)  La libertà con dei limiti è l’unica cosa che faccia vivere allo stesso tempo colui che la esercita e coloro a favore dei quali viene esercitata”. Camus scrisse queste parole all’interno del saggio Il futuro della civiltà europea quando Internet forse era ancora nei sogni dei suoi inventori, ma le sue parole sono di una attualità stringente.

Per non dover essere costretti, un giorno, a dover scegliere tra il Grande Fratello orwelliano di 1984 e la totale anarchia di un web in cui l’uomo e i suoi diritti vengono maciullati quotidianamente, credo che sia doveroso trovare le forme e gli strumenti per fare in modo che l’enorme spazio di libertà e democrazia che Internet ci offre possa essere messo davvero a disposizione di tutti nel rispetto di tutti.

Il semipresidenzialismo non deve far paura. Basta con gli opportunisti e i parolai.

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Fa davvero sorridere come lo stesso fronte che, appena poche settimane fa, se ne andava in giro a sostenere “Rodotà Presidente perché voluto dal popolo” sull’onda delle magnifiche sorti e progressive di Rete e piazza, oggi si riunisca per dire no all’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Francamente è diventato insopportabile l’atteggiamento opportunistico e parolaio di alcuni protagonisti di una parte della sinistra italiana, tutta protesa a riempirsi la bocca di sani principi solo per mascherare il proprio conservatorismo indifferente ai problemi veri del Paese.

Ad essi si aggiungono i soliti “benaltristi”, che proclamano che agli italiani non importa nulla delle riforme istituzionali ma solo delle tristi condizioni della economia e della mancanza di prospettive per tante famiglie. Come se le difficoltà della politica a dare risposte concrete ai problemi economici e sociali non siano profondamente intrecciate anche alla crisi di funzionamento delle istituzioni repubblicane che ci trasciniamo dietro da vent’anni a questa parte.

Personalmente ritengo che una riforma istituzionale che introduca anche in Italia il cosiddetto “presidenzialismo alla francese” non rappresenti alcuno scandalo.

Nei fatti il nostro sistema è già evoluto in questo senso a Costituzione invariata.

L’importante è che questa riforma individui tutti gli elementi di controllo e garanzia dei poteri presidenziali tipici delle democrazie mature e si accompagni alla riduzione del numero dei parlamentari, preveda una sola Camera che dà la fiducia al Governo, un Senato delle Regioni e una legge elettorale a doppio turno.

In Francia questo sistema funziona bene e non mi pare che abbia mai dato adito a dittature mascherate.

Un Presidente della Repubblica che assume su di sé la responsabilità della politica nazionale sulla base di un chiaro mandato popolare assegnato con suffragio universale e diretto e un sistema elettorale che rompa finalmente con l’ingovernabilità e la pratica delle coalizioni disomogenee in cui a prevalere sono quasi sempre i condizionamenti delle minoranze, mi sembra una buona risposta alla crisi attuale della politica italiana che è soprattutto crisi delle responsabilità.

Com’è ovvio di soluzioni ce ne possono essere anche altre, purché raccolgano un ampio consenso sia nel Parlamento che nel Paese. Mi convince molto la scelta di voler comunque sottoporre le riforme istituzionali, a prescindere dalle maggioranze parlamentari che le approveranno, a referendum confermativo.

La democrazia, come si dice, non è mai troppa.

Una cosa è certa, però: la si smetta di menar il can per l’aia e si faccia presto, come ha sollecitato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. I partiti, tutti, scelgano e si assumano le proprie responsabilità di fronte al Paese. Di chiacchere se ne sono fatte fin troppe per sopportarne altre.

LA LETTERA DELLA CALABRESE CHAOUQUI NON E’ RAZZISTA. E’ SOLO TRISTE.

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Una brillante ragazza che lavora in una multinazionale, partita da un paesino della Calabria tanti anni fa oggi ottiene il posto d’onore con una sua lettera sulle pagine del “Corriere della Sera”, il più grande quotidiano d’Italia.

Francesca Chaouqui ci racconta di una Calabria barbara, matriarcale, in cui la discriminazione di genere e il femminicidio sono solo il frutto di una società arretrata, chiusa, in cui maschi e femmine vivono in una dimensione arcaica, con ruoli ben definiti.

Francesca Chaouqui è partita anni fa ed ha trovato, purtroppo come tanti, come troppi calabresi, solo fuori dalla sua terra le opportunità che cercava e che meritava.

Come tanti calabresi emigrati ha assorbito la concezione del mondo della città e della comunità che l’ha accolta ed ha cominciato a guardare alla sua terra prima con distacco poi, forse, anche con un po’ di implicito rancore.

La morte della povera Fabiana a Corigliano diventa così non l’ennesimo capitolo di una strage di donne che riguarda l’intero territorio nazionale, dalle Alpi alla Trinacria come si diceva un tempo, ma l’effetto di una specificità locale, regionale, il frutto di una società in cui si dice e si pratica il  “citto tu ca si fimmina”.

Potremmo dire a questa ragazza che si sbaglia, che le donne calabresi sono tutt’altro da come le descrive.

Potremmo dirle che le donne calabresi non sono affatto subalterne, che spesso proprio da loro sono partite grandi lotte di emancipazione che hanno scosso e cambiato profondamente la loro terra e anche i loro uomini.

Potremmo insistere sul concetto che le donne vengono discriminate ed uccise a Brescia e a Busto Arsizio come a San Sosti o ad Avetrana.

Potremmo dirle che le sue parole odorano troppo di pregiudizi e generalizzazioni da bar dello sport, ma lei rimarrebbe dello stesso parere, fiera di essersi “salvata” dalla sorte che è convinta sia nel destino e nel DNA delle sfortunate sue conterranee rimaste a casa.

Francesca, infatti, come tanti emigrati, cerca solo conferme alle ragioni che la spinsero ad abbandonare la sua terra per bisogno o per scelta.

Perché per tanti come Francesca questa terra è più facile leggerla con gli occhi degli altri: è più facile ma anche molto più triste.

 

 

LA MOSTRUOSA NORMALITA’ DEL DELITTO DI CORIGLIANO.

Fabiana Luzzi, la vittima dell'omicidio di Corigliano Calabro

Se fossi il padre della ragazza uccisa a Corigliano i miei sentimenti, oggi, sarebbero di rabbia e di vendetta.

Ho guardato mia figlia ieri, una ragazza quasi della stessa età di Fabiana e ho pensato che, se quell’orrore fosse capitato a lei, non avrei sopportato, forse non sarei sopravvissuto a tanto dolore.

Ho provato sdegno impotente e volontà di annientamento del responsabile di tanta violenza.

Poi ho pensato che sarebbe stata vendetta e non giustizia.

E ho guardato mio figlio, oggi un ragazzetto di 12 anni, mi sono sforzato di vederlo più grande di qualche anno.

E ho pensato che il ragazzo che ha ucciso e torturato ora probabilmente sarà nell’inferno, che solo dopo ore avrà realizzato l’enormità del suo gesto, che ciò che ha vissuto non è come un videogioco in cui le vite si rigenerano dopo averle perdute.

Ho pensato ai genitori dell’assassino che magari in queste ore stanno continuando a chiedersi (e forse lo faranno per tutta la vita, senza alcuna possibilità di risposta) com’è potuto accadere che il loro figlio abbia potuto trasformarsi in quel mostro che giornali e TV raccontano, in cosa e quando hanno sbagliato, in quale momento della loro vita di adulti normali non hanno capito e non hanno aiutato quel bambino diventato ragazzo e oggi omicida.

E allora mi sono convinto che è giusto che la giustizia faccia il suo corso, che la legge aiuti tutti noi ad uscire dai sentimenti contrastanti di queste ore, dalle reazioni emotive.

Nonostante i media che su questa storia staranno per mesi, nonostante la miriade di esperti psicologi, sociologi e quant’altro che parleranno dicendo cose giuste ma che non restituiranno la vita a chi l’ha persa, né alla vittima, né al carnefice.

Spero che, alla fine, tutti quanti noi potremo riflettere.

Perché questo delitto, questo ennesimo caso di femminicidio, per usare un termine entrato nel dibattito corrente, non sia soltanto punito dalla legge ma ci aiuti anche a capire cosa in questo nostro mondo si è rotto e come ricostruirlo.

Magari sforzandoci tutti noi, genitori di ragazzi, ad aiutare i nostri figli, ad insegnare loro il rispetto per gli altri, soprattutto se sono più deboli di noi.

Parlare alle nostre ragazze e soprattutto ai nostri ragazzi, non pensare che il tutto si risolva con il semplice esaudimento dei loro desideri materiali.

Assumendoci tutti quanti le nostre responsabilità di adulti.

Perché l’orrore di Corigliano non è distante da noi; perché possiamo riconoscerlo prima che accada nella sua, purtroppo, mostruosa normalità.

IL VERO “GOLPE” SAREBBE MANTENERE IN VITA IL “PORCELLUM”

Una vignetta satirica subito dopo l'approvazione del "porcellum"

Questa sera, insieme ad altri dirigenti e militanti del PD e del centrosinistra sarò a Lamezia Terme all’iniziativa convocata dal Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio e dal Sindaco di Crotone Giuseppe Vallone per chiedere l’abolizione del “porcellum”.

La mobilitazione sta riscuotendo in queste ore numerose adesioni tra cui quella della parlamentare del PD Enza Bruno Bossio che giustamente ha chiesto che il PD si impegni a modificare subito la legge elettorale che ci ha consegnato la situazione di ingovernabilità in cui ci troviamo.

Tornare a votare con il “porcellum”, dice Enza Bruno Bossio, sarebbe doloso, e significherebbe, con ogni probabilità, ritrovarsi nella stessa situazione che ci ha costretto ad un governo di necessità.

Chi mi segue sa che sulla questione della legge elettorale più volte dalla mia modesta postazione sono intervenuto, aderendo anche ad iniziative referendarie che, purtroppo, non hanno avuto alcun esito.

Diciamoci la verità, alcuni aspetti di questa legge stanno bene a tutti, PD compreso, che pure ha cercato (e gliene va dato atto) di stemperarne uno degli aspetti più odiosi ( le liste bloccate) con le primarie.

In particolare la legge Calderoli varata con un colpo di mano sul finire del 2005 da un centrodestra che voleva limitare la vittoria elettorale di Prodi, presenta parecchi elementi discutibili, non ultimo quello del premio di maggioranza alla Camera che viene assegnato alla prima forza o coalizione, senza alcun limite, tanto da fa esprimere più volte la Corte Costituzionale nel senso di una correzione.

Paradossalmente, se in Italia si verificasse il caso di una frammentazione ancora più spinta di quella che abbiamo oggi, per cui ci fossero 5 forze che prendono ciascuna il 20%, l’abnorme premio di maggioranza del 55% dei seggi verrebbe assegnata alla forza che ha preso il 20% più un voto, e il restante 80% sarebbe costretto a spartirsi il restante 45% dei seggi. Una aberrazione democratica, senza contare che, per quanto riguarda il Senato, dove la maggioranza è assegnata su scala regionale, nessuna forza, come è avvenuto nelle ultime elezioni dove l’elettorato si è diviso sostanzialmente in tre parti, otterrebbe la maggioranza dei seggi.

Un vero e proprio pateracchio se si considera che persino la famigerata legge Acerbo varata da Mussolini per consolidare il proprio potere prevedeva un limite minimo per accedere al premio di maggioranza del 25% su scala nazionale.

Ma il “porcellum” è odioso soprattutto per le liste bloccate. Gli eletti vengono determinati sulla base della percentuale conseguita dalla lista in ragione del loro posizionamento. La lista, d’altro canto, non appare sulla scheda così che all’elettore viene data solo la facoltà di scegliere il partito e la coalizione ma non il proprio rappresentante.

Non si tratta di cosa di poco conto: in Italia non era mai successo se si esclude il periodo fascista quando i deputati venivano eletti con un plebiscito nel quale agli elettori veniva chiesto di approvare con un Si o bocciare con un No il listone di deputati predisposto dal Gran Consiglio del Fascismo. O con la preferenza all’interno di una lista o con un voto sul candidato del collegio uninominale le diverse leggi elettorali del nostro Paese, dal 1861 ad oggi, avevano sempre garantito quello stretto legame di fiducia tra elettore, eletto e territorio, che è poi l’essenza stessa della democrazia.

Si, perché il “porcellum” ha prodotto come effetto soprattutto questo: la frattura tra eletti ed elettori, con i primi con rispondono neppure al territorio che li esprime (la possibilità di candidature multiple in diverse circoscrizioni è un altro aspetto di questo problema) ma solo alle ristrette elite dei partiti romani che li hanno indicati in posizione utile in lista e i secondi che non possono esercitare alcun controllo su di essi, sia pure per richiamarli semplicemente ai loro doveri rispetto al territorio che li ha portati in Parlamento.

Questa legge elettorale ha prodotto uno snaturamento del principio democratico che vuole il parlamentare come espressione della volontà della nazione, in nome della quale esercita il proprio mandato senza alcun vincolo, come dice la nostra Costituzione.

Chi l’ha varata e chi, al di là della propaganda, ne ha consentito la sopravvivenza, per meri calcoli di bottega come maldestri apprendisti stregoni hanno prodotto una ferita drammatica al nostro sistema rappresentativo i cui effetti si sono dispiegati pienamente dopo le ultime elezioni.

Non voglio esagerare ma il vero “golpe” di cui tanto si parla a sproposito si è verificato consentendo a questa legge di liberare i suoi effetti nefasti sul nostro sistema.

Cambiarla è dunque un dovere democratico da cui dipende il futuro stesso delle nostre istituzioni.

 

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