pregiudizio

La forza devastante del pregiudizio

 

L'ufficiale e la spia

Una scena del film “L’ufficiale e la spia” di Roman Polanski

Splendido il film di Roman Polanski dedicato al caso Dreyfus che spaccò la Francia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Costumi e scenografie storicamente ineccepibili e un ritmo incalzante e coinvolgente. Un capolavoro. Il film ci parla di qualcosa che avvelena il mondo ancora oggi, il veleno del pregiudizio e i suoi effetti devastanti quando questo diventa strumento del potere e della manipolazione mediatica. Il caso Dreyfus divise una Francia ossessionata dall’antigermanesimo e dall’antisemitismo dopo la sconfitta di Sedan. Dreyfus è risucchiato in un meccanismo incontrollabile nutrito da razzismo e teorie complottiste. Eppure, alla fine, nonostante tutto, vinse la giustizia che si nutre di un valore essenziale: l’onestà intellettuale. Per questo dobbiamo continuare a a definirci “dreyfusardi” e a non rinunciare mai a guardare alla verità oltre le apparenze.

Ma è davvero questa la Calabria ?

Mare sporco
Francamente non se ne può più.
Non se ne può più di aprire i giornali la mattina e vedere la nostra Regione descritta come una unica grande emergenza. Mare sporco, criminalità, costi della politica, tutto messo nello stesso calderone, senza distinguo, senza individuazione di vere responsabilità, senza un minimo di proposta per uscire dalla crisi.
Anzi, chi le proposte le fa viene sbeffeggiato e ridotto al silenzio, individuato come conservatore o, peggio, colpevole di reticenza ed omissione nei confronti di una battaglia civica che vuole il rinnovamento e la rinascita della nostra terra.
Ma la verità è che da questa rappresentazione non emergono né la battaglia civica né tantomeno il rinnovamento e la rinascita. Questa impostazione alimenta solo la convinzione che la Calabria, come una parte del Sud, siano ormai perduti, buoni solo per essere annessi a ciò che resta della Libia di Gheddafi.
Ma andiamo nel merito; polemiche sul mare sporco: intendiamoci, nessuno nega che ci siano emergenze ambientali legate al non funzionamento di alcuni depuratori. Bene, perché non si parla di quelle, si individuano le aree a rischio e si interviene denunciando i responsabili con nome e cognome invece di rappresentare una realtà di disastro completo e complessivo ? A parte che l’inquinamento del mare in Calabria è soltanto organico non essendoci, come in altre aree del Paese, attività industriali inquinanti che scaricano nel mare, e quindi di per sé assai meno pericoloso per la salute dei cittadini, ma mi viene da chiedere, come se fossi un bambino di sei anni, avete mai fatto il bagno nella riviera romagnola o in Veneto o nel Lazio ? Il mare di quelle parti, vi assicuro, in confronto al nostro, è certamente più inquinato, eppure nessuno parla e lancia allarmi. Anche la stampa locale di quelle aree interviene per denunciare singoli fatti, senza generalizzazioni e, soprattutto, facendo inchieste mirate che determinano interventi precisi ed efficaci degli organi preposti.
Qui in Calabria, invece, sembra che tutti i gatti siano bigi e che tutto sia uguale all’altro, hai voglia delle lettere di sindaci che assicurano che il mare da loro è pulito, esibendo dati certificati e sventolando le bandiere blu assegnate dalle associazioni ambientaliste. Grida ancora vendetta, poi, la grande bufala delle cosiddette “navi di veleni” di cui non si è trovata traccia e di cui stiamo ancora pagando i danni.
Tralascio qui tutto il ragionamento sulla lotta alla mafia su cui più volte si è discusso: la mafia è una cosa concreta, fatta di persone in carne ed ossa contro cui bisogna lavorare in termini repressivi e culturali sapendo che è un fenomeno umano e che quindi può e deve essere sconfitto con azioni concrete. Dire invece che al Sud tutto è mafia è il modo migliore per farla crescere e sviluppare e rende solo un servizio a certi opinionisti general-generici che sulla lotta alla mafia al massimo riescono a costruire le proprie carriere personali.
Parliamo poi dei costi della politica: tutti leggono si tratti di un problema nazionale, ma no, in Calabria è più speciale degli altri. Io non ho nessuna simpatia politica per il Governatore Scopelliti ma francamente mi sembra che una indennità allineata a quella di un parlamentare, che non ha le stesse responsabilità di un Presidente di Regione (anzi, con lo scandalo del “porcellum” non ha neanche il problema del consenso e quindi del rapporto col territorio che genera maggiori costi della politica), non rappresenti uno scandalo, soprattutto se si considera che le indennità parlamentari sono allineate agli stipendi dei gradi apicali della Magistratura e spesso di molto inferiori a quelli di manager e dirigenti di enti pubblici e privati, dei direttori di testate giornalistiche o di altri colletti bianchi (come si diceva una volta), senza contare i compensi di grandi professionisti o personaggi dello sport e dello spettacolo, di cui nessuno parla e, soprattutto, di cui nessuno si indigna.
Personalmente non ho mai creduto ad una idea comunistica delle retribuzioni: chi ha più responsabilità, chi è più esposto in tutti i sensi, deve poter guadagnare in maniera adeguata. Ciò non toglie che in un periodo di crisi come quello che viviamo, i sacrifici debbano essere proporzionalmente distribuiti tra tutti, e chi ha di più deve dare di più secondo un principio di equità, che è essenziale in democrazia. Però, perché questa battaglia giusta e sacrosanta non si conduce in maniera seria, parlando degli eccessi esistenti in tutti i settori e non solo nella politica ? La politica deve dare l’esempio: ridurre il numero di Consiglieri Regionali e Parlamentari che sono troppi, adeguare le proprie indennità alla media europea mi sembrano proposte di buon senso su cui bisogna spingere senza cadere in facili populismi.
Ma mi chiedo, facciamo un servizio all’opinione pubblica se ce la prendiamo solo con una categoria, tra l’altro quella che, nel bene e nel male, è figlia della volontà popolare al contrario di tante altre, senza guardare alle grandi ingiustizie di un Paese in cui tutto sembra andare avanti secondo il principio della responsabilità limitata ? Facciamo un servizio alla democrazia italiana se alimentiamo una cultura antipolitica da “piove, Governo ladro” che, storicamente ha solo determinato involuzioni e non evoluzioni della stessa democrazia ? Ma ci siamo dimenticati che da “Mani Pulite” non sono scaturite le “magnifiche sorti e progressive” della sinistra italiana e della democrazia ma Berlusconi ed il berlusconismo ? E’ una storia che si ripete, tra l’altro: descrivendo, ingenerosamente, Giolitti come “ministro della malavita” il democratico Gaetano Salvemini non favorì la crescita e l’avanzamento progressista dello Stato liberale che auspicava, ma contribuì alla sua dissoluzione nella tragedia del fascismo e del mussolinismo.
La denuncia dei suoi mali è necessaria in una società, ma per produrre avanzamento non deve essere farisaica e a senso unico, deve essere onesta dando a Cesare quel che è di Cesare rifuggendo dalle generalizzazioni. I colpevoli hanno sempre nome, cognome, residenza e paternità. Il modo migliore per farla fare franca ai colpevoli o addirittura consentire loro di fare ancora più danni e acquisire nuovo potere è dire che tutti sono colpevoli. Essere tutti colpevoli non porta a punizioni collettive ma solo a generali autoassoluzioni e fa dei più colpevoli dei nuovi e più spregiudicati dirigenti.

I pregiudizi anticalabresi…una storia antica

Calabria rovesciata

La storia del pregiudizio anticalabrese è antica. Nel Medioevo resisteva il pregiudizio che la legione comandata della crocifissione del Cristo fosse di Reggio, fatto storicamente falso eppure diffuso in molti documenti.

E’ noto poi come i dominatori romani non avessero in grande simpatia gli abitanti del Bruzio, considerati ribelli, infidi e naturalmente violenti non perdonando loro l’alleanza con il nemico Annibale. La stessa via Popilia, più che come mezzo di comunicazione fu utilizzata come strada militare per favorire l’affluire di truppe preposte alla repressione delle ribellioni.

Per secoli poi, l’immagine del calabrese rozzo, selvaggio e violento, figlio di una natura altrettanto selvaggia anche se bellissima ha continuato a farsi strada.

Il massimo fu raggiunto nel settecento, all’epoca degli scrittori-viaggiatori che si spingevano nella nostra regione con lo stesso spirito di coloro che visitavano l’Africa, l’Asia o le lontane Americhe: Creuze de Lesser scriveva che  « l’Europe finit à Naples et méme elle y finit assez mal. La Calabre, la Sicile, tout le rest est de l’Afrique » (Creuze de Lesser, Voyage en Italie et en Sicilie, cit. in A. Mozzillo, Viaggiatori stranieri nel Sud, Milano, Comunità, 1964, p. 9).

Un intellettuale che in Calabria non viene studiato abbastanza, U. Caldora, scriveva che la Calabria rimase “sino ai primi dell’800 (ma anche oltre) pressoché conosciuta soltanto per i frequenti terremoti che la sconvolgevano e per i suoi banditi: the terra incognita of modern Europe la definivano gli inglesi. Difficoltà e pericoli dissuadevano viaggiatori e studiosi dal visitarla: se qualcuno si avventurò, diede al paese un’occhiata superficiale, riportandone impressioni varie e divergenti, ma di solito concordi e entusiastiche soltanto sulla bellezza dei luoghi e dai contrasti violenti”. Ne consegue che “l’idea di Calabria che si è diffusa lungo i secoli si è formata essenzialmente attraverso i giudizi e i pregiudizi della cultura europea. Essa ha elaborato un’immagine mitica della regione, coltivando luoghi comuni presenti sin dall’antichità. Se i Bruzi della Calabria antica, infatti, erano visti come ribelli e infidi dai Romani, essi verranno ritenuti addirittura fustigatori di Cristo nel Medioevo. Se in età controriformista e barocca la Calabria sarà per i missionari gesuiti una parte significativa delle Indie di quaggiù, la cultura spagnola del tempo giungerà a identificare Giuda come calabrese”” (U. Caldora, Calabria napoleonica, Napoli, 1960, p. 1).

I francesi di Napoleone ci misero la politica: portatori dei grandi ideali della rivoluzione francese non riuscivano a comprendere quei calabresi che non accettavano il progresso che loro portavano opponendosi violentemente alla loro occupazione ed ai “giacobini” locali.

Il brigantaggio fece il resto: la ribellione violenta dei ceti contadini fu affrontata solo in termini di ordine pubblico senza particolari differenze da francesi, Borboni e stato italiano. Napoleone nell’esilio di Sant’Elena, apprendendo che uno dei suoi carcerieri, l’ammiraglio Sidney-Smith aveva combattuto alla testa di irregolari calabresi contro le sue truppe lo apostrofò definendolo “comandante di traditori”. E l’immagine del calabrese rozzo, chiuso, violento continuò a diffondersi ed a perpetuarsi. Eppure anche gli spagnoli si ribellarono ai francesi e la loro rivolta finì per entrare nelle pagine della storia, con le immortali tele del Goya che ne narrarono l’epopea: loro ribelli e patrioti contro l’orco Napoleone e noi briganti e malfattori !!!

Stride con questa immagine, ovviamente, una realtà spesso diversa: in Calabria trovarono rifugio tanti popoli e religioni perseguitate nelle loro “civilissime” contrade (albanesi e valdesi, per esempio), calabresi solcavano il Mediterraneo come marinai e mercanti, distinguendosi come come soldati e alti funzionari pubblici in tutti i regni d’Europa e persino al servizio del grande impero ottomano. Calabrese era uno dei marinai della Pinta che partì con Colombo nel primo viaggio alla scoperta dell’America. E ancora, nonostante la nomea di reazionaria e di Vandea d’Italia, la Calabria contribuì fortemente al processo di unificazione e di modernizzazione dell’intero Paese.

Fino ai giorni nostri: siamo poi sicuri che l’immagine che i media veicolano della Calabria non sia permeata da un “minimo” di pregiudizio ?

Ovviamente i calabresi c’hanno sempre messo del loro nell’alimentare questo pregiudizio, ma il punto non è questo. La verità è che alla Calabria si continua a guardare solo dall’esterno.

Chi osserva la Calabria dall’esterno, nel passato come nel presente, è spesso condizionato da una propria idea di modernità, da un proprio modello sociale e culturale. Modernità e modelli sociali e culturali che sono elaborati e costruiti altrove, e fanno riferimento ad altri sistemi di valori.

Per somma di ironia molti calabresi, sia quelli che vivono fuori regione ma anche quelli che, restandovi, ne denunciano, giustamente, i mali, non riescono a “staccarsi” da quel modello.

In questo senso la Calabria è “incognita”, nel senso che chi la guarda non la vede davvero, chi la osserva non la comprende, chi la cerca nella sua reale essenza, in realtà non la trova.

Per costoro, come per tanti calabresi, il pregiudizio è un vestito buono per tutte le occasioni, una occasione per non pensare, per non assumersi responsabilità.

Ecco perché sconfiggere il pregiudizio è, per i calabresi innanzitutto, un dovere, non per rinchiudersi in una orgogliosa, etnica diversità, ma per assumerne il meglio e farla diventare tratto identitario di una nuova etica della responsabilità, di un nuovo modello civico per lottare e vincere contro i mali atavici di questa nostra terra.

Perché se una cosa è certa è il fatto che solo da noi stessi potremmo risollevarci.

Mafia, subalternità sociale, familismo, malapolitica, infatti, non si battono con le enunciazioni di principio o con la semplice invettiva, ma smascherandone il carattere di ostacolo alla costruzione del futuro. Un futuro che sia finalmente nostro, pensato e realizzato da noi.

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