brigantaggio

La fine di un sogno. Storia di un Italiano di Mario Aloe.

La copertina del libro di Mario Aloe: La Fine di un Sogno. Storia di un Italiano

La copertina del libro di Mario Aloe: La Fine di un Sogno. Storia di un Italiano

Ho terminato di leggere in questi giorni un breve ma intenso romanzo di un autore di Amantea, Mario Aloe, pubblicato con i tipi delle edizioni Mannarino.

Il romanzo, intitolato La fine di un sogno. Storia di un Italiano, narra la vita di un giovane amanteano vissuto nel passaggio cruciale tra il XVIII ed il XIX secolo, figlio di una famiglia di piccola nobiltà provinciale che, attraverso la intraprendenza commerciale, è riuscita a consolidare una buona posizione economica in una realtà dove spesso i titoli nobiliari erano sinonimi di vita parassitaria sulle scarse rendite fondiarie.

Luigi Baffa, è questo il nome del protagonista, riesce così a studiare a Cosenza al Regio Collegio che Carlo III aveva fondato dopo l’espulsione dei gesuiti dal regno e poi a completare i propri studi a Napoli all’accademia militare della Nunziatella.

Il romanzo mostra come il giovane calabrese incontri, nel clima di rinnovamento che l’arrivo di Carlo III di Borbone era riuscito a instaurare nel regno, l’intellettualità illuminista che, com’è noto, proprio nella capitale del Sud ebbe uno dei suoi centri italiani più fiorenti.

Mario Aloe riesce bene a descriverci il clima politico e culturale di quegli anni, fervido di speranze che il regno di Napoli potesse diventare quella monarchia nazionale in grado di giocare un ruolo di primo piano negli equilibri politici e diplomatici non solo della Penisola ma dell’intera Europa.

Nello stesso tempo ci dà il quadro esatto e accurato storicamente di come fosse la Calabria tra Settecento ed Ottocento: una regione con isole culturali di primordine come Cosenza ma priva di strade praticabili, costellata da paludi malsane e coperta di foreste infestate da briganti che rendevano incerte e sempre pericolose le comunicazioni interne, schiacciata sotto lo strapotere di baroni che sfruttavano una massa di contadini costretti ai livelli minimi di sopravvivenza di una agricoltura poverissima e primitiva.

La questione della terra, dei diritti contadini sulle terre demaniali usurpate da questa classe di nuovi feudatari, la mancanza di legge ed autorità rispettate e la prevalenza dell’arbitrio sul diritto, rappresenta lo sfondo del romanzo il cui intreccio tra vicende individuali (con la presenza di tanti personaggi realmente esistiti, come il fondatore della massoneria in Calabria, l’abate Jerocades, il Salfi, il Toscano, la duchessa di Sanfelice, la Pimentel Fonseca, l’ammiraglio Caracciolo, ecc.) e fatti storici (il terribile terremoto del 1783 e le sue conseguenze, le guerre contro la Francia rivoluzionaria e le armate portate in Italia dal giovanissimo generale Bonaparte, l’effimera e drammatica esperienza della repubblica partenopea del 1799 spazzata via dalle masse sanfediste del Cardinale Ruffo, l’eroico episodio del forte della Vigliena in cui i calabresi della Legione Calabra comandati dal cosentino Antonio Toscano preferirono farsi saltare in aria pur di non cedere alla restaurazione assolutista borbonica, ecc.) e ne sono, a mio parere, l’elemento più interessante e significativo.

La Bandiera della Repubblica Partenopea del 1799

La Bandiera della Repubblica Partenopea del 1799

Si aggiungano le straordinarie descrizioni dei luoghi e dei costumi e ne viene fuori un romanzo che vale la pena di leggere e far conoscere.

Un romanzo storico che, e ciò va a merito dell’autore, ci riporta un quadro realistico e verosimile di come, agli albori del nostro Risorgimento nazionale, una intera generazione imparò, anche a costo della propria vita, ad essere italiana ed europea.

Una generazione che i Borbone di Napoli prima incoraggiarono sulla strada del rinnovamento e della modernizzazione e poi, come maldestri apprendisti stregoni, non riuscirono più a controllare mandandola al patibolo senza alcuna remora e pietà.

Prevalsero in quella casa regnante, come in tante altre in tutta Europa, i propri ristretti interessi dinastici.

Per quella generazione un’occasione perduta, la fine di un sogno per il quale bisognerà attendere ancora altri sessant’anni e a vantaggio di un’altra dinastia, quella subalpina dei Savoia.

Per i Borbone, come per altre dinastie italiane ed europee, la perdita dei regni e del potere e l’oblio della storia.

Una ricostruzione quella di Mario Aloe, lasciatemelo dire, che fa giustizia di tante altre, parziali ed esplicitamente revisioniste, che ci descrivono un Regno delle Due Sicilie come un esempio di buona amministrazione per popolazioni ricche e felici almeno fino all’arrivo dei cattivi “piemontesi”.

La storia, nella sua drammaticità, ci parla invece di un Sud e di una Calabria pronti a recepire le grandi idee di cambiamento del mondo ma anche di classi dirigenti miopi e grette, incapaci di guardare al di là dei propri ristrettissimi interessi di classe, di popolazioni contadine disperate nella loro richiesta di terra e migliori condizioni di vita e di lavoro e costrette spesso alla tragica ed individuale rivolta della vita alla macchia come briganti e anche in questa condizione, spesso ingannate nella difesa di interessi non propri.

Un bel libro, dunque, di cui mi sento di consigliare la lettura.

Il Monumento ai martiri del 1799 a Napoli

Il Monumento ai martiri del 1799 a Napoli

 

Giuseppe Meluso, la guida calabrese dei fratelli Bandiera. Il nuovo libro di Salvatore Meluso.

Libro di Meluso

Pubblicato su Calabria Ora del 9 giugno 2012

E’ appena uscito per i tipi di “Calabria Letteraria” l’ultimo saggio di Salvatore Meluso dal titolo La guida calabrese dei fratelli Bandiera. Vita straordinaria di Giuseppe Meluso.
Salvatore Meluso (San Giovanni in Fiore, 1926) non è nuovo a questi studi, anzi si può dire senza tema di essere smentiti, che molti dei punti ancora oscuri della presenza in Calabria della sfortunata spedizione dei due fratelli veneziani, sono stati chiariti proprio grazie al lavoro minuzioso e certosino negli archivi di Napoli, Catanzaro e Cosenza di questo attento ricercatore.
Il libro di Meluso ci dimostra, infatti, come spesso siano proprio le cose più evidenti ad essere quelle meno conosciute e più facili alle manipolazioni successive. In particolare Salvatore Meluso si è soffermato sulla figura della guida calabrese della cosiddetta “banda degli esteri” capeggiata dai due fratelli veneziani, quel Giuseppe Meluso, sangiovannese esule a Corfù, che si aggregò alla spedizione con funzioni di guida, l’unico a sfuggire alla cattura dopo l’agguato alla Stragola.
Questo personaggio, certamente assai complesso e contraddittorio, era scappato nell’isola greca sin dal 1834 per sfuggire a condanne per reati di “brigantaggio”, mettendosi al servizio di altri fuoriusciti calabresi sempre per reati comuni, i fratelli De Nobili di Catanzaro.
L’isola ionica, all’epoca protettorato inglese era, inoltre, il rifugio privilegiato degli esuli politici italiani dopo i falliti moti del 1830-31, ed è qui che giunsero Attilio ed Emilio Bandiera dopo aver disertato dalla marina austriaca, qui che reclutarono proprio tra questi esuli (un campionario di tutta l’emigrazione politica italiana come scrive efficacemente Lucio Villari) i 19 partecipanti alla loro spedizione in Calabria.
La spedizione, com’è noto, fu organizzata con grande improvvisazione, senza grandi precauzioni di riservatezza e nonostante il parere contrario di Giuseppe Mazzini e del suo fiduciario a Malta Nicola Fabrizi, per fornire sostegno al moto del 15 marzo 1844 di Cosenza, facilmente sedato dalle autorità borboniche e finito con alcuni morti sulle strade e centinaia di arresti, di cui, però, alcuni giornali stranieri avevano riportato la falsa notizia del successo.
Come guida la scelta cadde su Giuseppe Meluso, a quel tempo molto amico di Giuseppe Miller, un rivoluzionario forlivese, che lo presenta ad Attilio ed Emilio Bandiera i quali lo aggregano alla spedizione perché conoscitore dei luoghi.
Il libro di Salvatore Meluso ricostruisce con dovizia di particolari, desunti da una conoscenza minuziosa dei documenti di archivio oltre che della sconfinata bibliografia sull’argomento, le complesse vicende che caratterizzarono la vita di questo oscuro e bistrattato personaggio calabrese, del suo prezioso e leale contributo alla spedizione dei Bandiera, della sua feroce eliminazione nel corso di una manifestazione che richiedeva l’accesso alle terre demaniali nel 1848, eseguita con lucida determinazione da quelle stesse persone che, premiate generosamente per la cattura degli “esteri” alla Stragola da re Ferdinando II, si erano “riciclati” come liberali e “repubblicani” in quelle convulse giornate dell’”anno delle rivoluzioni”.
La storia cioè dei soliti “gattopardi”, fedeli sudditi del Borbone e poi “intransigenti liberali” a seconda del mutare del vento. E in mezzo la vicenda di quest’uomo, emigrato a Corfù per reati comuni e conquistato all’idea dell’Unità d’Italia, della libertà e della democrazia per la sua frequentazione di altri esuli “politici”e dall’esempio di eroismo dei Bandiera e dei loro compagni che guidò in un territorio ostile rischiando insieme a loro la propria vita e scontando lunghi anni di carcere duro dopo la sua consegna. Un uomo che, tornato al suo paese dopo il carcere, si mise a capo della rivolta contadina per rivendicare l’antico diritto alla terra e morì gridando: “viva la Repubblica”. Un uomo che dopo la sua morte fu sottoposto anche al ludibrio della memoria da parte di quegli stessi che per la cattura dei Bandiera avevano ottenuto lauti compensi, pensioni ed onori dal Borbone i quali, al fine di “rifarsi una verginità politica” con i nuovi governanti, diffusero la falsa notizia, ripresa da certa vulgata risorgimentale postunitaria, che a catturare i Bandiera fu il popolo minuto di San Giovanni in Fiore, impaurito dall’arrivo di una banda di briganti “turchi” capeggiati dal famigerato  “Nivaro” (il soprannome assegnato al Meluso).
Nulla di tutto ciò: i Bandiera ed i loro compagni furono assaliti e catturati dalla Guardia urbana di San Giovanni rafforzata dagli uomini armati al servizio delle famiglie più importanti, notabili e proprietari terrieri, del paese silano.
Un libro prezioso, dunque, che mette nuova luce sul contributo niente affatto trascurabile della Calabria al Risorgimento nazionale e la cui lettura smentisce ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, la recente vulgata di un Mezzogiorno non solo indifferente ma addirittura ostile al processo di unificazione di cui abbiamo celebrato da poco il 150° anniversario.

 

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