Attualità

La presunzione di onestà

Di Maio figlio Di Maio padre

Di Maio figlio Di Maio padre

In questa vicenda di Di Maio padre, figlio, fratelli e mammà c’è qualcosa di più: c’è la presunzione dell’uomo qualunque di essere sempre migliore della classe politica che lo governa (e che comunque si sceglie lui) e la presunzione da mosca cocchiera dei politici demagogici.
Al di là del merito, delle eventuali violazioni di norme, dei possibili risvolti penali e persino delle implicazioni di carattere etico, ciò che emerge, nuda e cruda, è l’Italia, la splendida e meschina terra in cui viviamo.
La Di Maio family non è molto diversa dalle tante che praticano nei confronti dello Stato il vecchio refrain: prendere molto e possibilmente dare nulla. Ma per questo non si sentono in colpa, anzi. Ritengono di compiere una giusta azione risarcitoria nei confronti di una politica e di una pubblica amministrazione inefficiente, corrotta, geneticamente disonesta.
Siamo di fronte ad un fenomeno di ipocrisia di massa, che si nutre di retorica antisistema ed è la prima causa dei fenomeni degenerativi di cui soffre il nostro Stato.
L’antipolitica di questi anni, di cui si sono nutrite tutte le forze politiche, non solo non ha combattuto questo atteggiamento ma lo ha incoraggiato, ne ha fatto una politica. Credendo di essere migliori, un esercito di uomini qualunque insieme a un ceto politico di demagoghi riciclati oggi ha assunto ruoli di governo al grido di “onestà onestà” e in nome della lotta alle tasse brutte, sporche e cattive e del “fuori i poveri disgraziati di immigrati che ci rubano il lavoro”.
È così che abbiamo portato il bar dello sport in parlamento e al governo. Una massa di persone che imprecano per le multe e lasciano la macchina in tripla fila. Che si incazzano per gli immigrati che sono troppi e si lamentano perché non trovano la badante per il vecchio il mese di agosto. Il tipo che ha trovato lavoro facendo la fila nelle segreterie politiche dei “soliti politici” che tuona tutti i giorni contro il clientelismo. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Continua a leggere

E…Lezioni americane

(Photos: Courtesy GOP.org, Democrats.org)

Afroamericani, ispanici, nativi americani, gay dichiarati e tantissime donne. I democratici negli USA sfidano la destra razzista e maschilista impersonata da Trump con impostazione politica e candidati radicalmente alternativi. La destra populista e sovranista che sollecita solo paure si batte con una sinistra che indica con chiarezza la strada del progresso e della fiducia nella società aperta.

Democratica.com

Il Piave mormorò: “Fuoco sulla Brigata “Catanzaro” ! di Mario Aloe

La brigata Catanzaro alla quota 208, 1916. In "Storia illustrata", n. 2, 1981.

La brigata Catanzaro alla quota 208, 1916. In “Storia illustrata”, n. 2, 1981.

di Mario Aloe

Il giallo dei campi della Calabria lo aveva negli occhi, dalla sua casa, adesso, avrebbe potuto guardare il mare celeste tingersi dei colori della sera. Sognava e nella mente scorrevano immagini che gli accarezzavano il cuore riempiendo il ricordo fino a sfinirlo, mentre punte di malinconia gli afferravano l’animo.
Presto la sera si sarebbe portata con se il grecale e il buio avrebbe suonato le note della notte, una serenata di grilli e rane gracidanti.  Anche qui era caldo, un caldo che le prime ombre avevano fugato come se un panno bagnato fosse passato sulla fronte lasciandosi dietro una scia di umido, che non era riuscita a rinfrancare il corpo .
Il sudore della giornata si era trasformato in un velo appiccicaticcio che avvolgeva la pelle.
Quindici luglio; erano nel paese dalla fine di Giugno di ritorno da mesi di prima linea e di combattimenti all’arma bianca. Un meritato riposo che il comandante dell’armata, il duca d’Aosta, aveva accordato ai due reggimenti della brigata. Se lo erano meritato il riposo.
Quindici luglio a Santa Maria La Longa, anche stanotte avrebbero dormito al chiuso, sulla paglia dopo aver mangiato un pasto caldo e non la sbobba che arrivava in trincea. La pasta e poi il pane e forse un pezzo di carne.
“Mike, ci vogliono rimandare al fronte, domani ci porteranno a morire. Mike l’ho saputo dal portaordini che è arrivato dal comando di divisione. Siamo carne perduta, uomini senza futuro.” Gli parlava Tonino, con quel suo accento siciliano, articolando le parole in preda ad un profondo stato di agitazione. “Lo sanno già tutti, altri hanno parlato con gli ufficiali, la notizia è sicura. Mi hanno mandato da te, pensano che tu possa parlare con il Poeta, che le tue parole possano ottenere il rinvio della data del ritorno sul Carso”.
Lo ascoltava e ancora non riusciva a rendersi conto dell’accaduto.  Possibile che ci fanno ritornare sul Carso?  Di nuovo al centro del massacro come se il sacrificio compiuto il 23 e 24 maggio non fosse bastato. Continua a leggere

Il senso di una ricorrenza di cento anni fa.

Immagine d'epoca del Monumento ai caduti di Cosenza

Immagine d’epoca del Monumento ai caduti di Cosenza

Articolo su “Il Quotidiano del Sud” del 4 novembre 2018

Mi sono sempre domandato cosa possono dire ai ragazzi di oggi gli elenchi di nomi che campeggiano sui tanti monumenti dedicati ai caduti della prima guerra mondiale e che ormai fanno parte della geografia urbana di tutti i nostri comuni, dalle Alpi fino a Trapani.
Credo non molto. Al massimo il ripetersi di alcuni cognomi avrà spinto qualcuno a chiedersi se quel soldato di cento anni fa fosse un lontano parente.
Eppure a 100 anni distanza il 4 novembre resta una ricorrenza vissuta a metà.
Non è questa la sede per analizzare il difficile rapporto che la società italiana ha sempre avuto con la propria storia. Basti pensare alle discussioni che ancora oggi si aprono puntualmente in occasione del 25 aprile, sullo stesso 2 giugno.
In questo contesto va letto il recente tentativo operato da alcuni settori della destra politica di recuperare il 4 novembre e la memoria della Grande Guerra all’interno delle spinte neosovraniste e neonazionaliste che interessano numerosi paesi europei, Italia compresa.
In verità, a partire dalla Presidenza di Carlo Azeglio Ciampi si è assistito ad una certa inversione di tendenza che non ha mancato di influire sulla coscienza collettiva del Paese che oggi tende a riconoscersi più facilmente in un comune quadro di valori nazionali.
La patria, le sue istituzioni, comprese le sue forze armate, appartengono a tutti, così come i valori democratici che si incarnano nelle ricorrenze del 25 aprile e del 2 giugno.
Le parole “patria” e “viva l’Italia”, del resto, erano le ultime che venivano pronunciate dai condannati a morte della Resistenza, come testimoniano le loro lettere.
Ecco perché una parte del ceto politico dovrebbe smetterla di usare le divisioni del passato per cercare di tenere in piedi le proprie identità nel presente: è vera politica, invece, quella che sa riconoscersi in un comune quadro di valori e dividersi, come è giusto che sia, solo su cosa fare nel presente.
Ai giovani di oggi abbiamo il dovere di offrire una comunità nazionale aperta, democratica, protesa alla cooperazione internazionale, che ripudia la guerra e si fonda sul diritto per come delineato dalla nostra Costituzione.
In questo senso ricordare il 4 novembre significa non solo celebrare la fine di una delle guerre più sanguinose della storia ma riflettere su alcuni elementi decisivi per la costruzione dell’Italia di oggi.
La guerra che si concluse il 4 novembre del 1918 fu, infatti, un evento che ha segnato la storia italiana in maniera forse più profonda rispetto agli altri paesi europei.
In Italia, infatti, il consenso alla guerra riguardava una minoranza, sia pure particolarmente attiva composta da intellettuali come D’Annunzio, dai futuristi, ma anche da personalità di cultura democratica come Salvemini, una frangia dell’estrema sinistra sindacalista-rivoluzionaria, i repubblicani, i nazionalisti, i liberali moderati, alcuni settori della industria pesante e parte della Corte. Su posizioni neutraliste erano invece i liberali di sinistra che facevano riferimento a Giovanni Giolitti, i socialisti, i cattolici, vale a dire la stragrande maggioranza del Paese e del Parlamento. Per portare il paese in guerra il governo dell’epoca, (Governo Salandra), sfiorò la crisi istituzionale perché non aveva maggioranza parlamentare e, nei fatti, operò un “colpo di stato” surrettizio. Ben altra cosa accadde negli altri paesi europei, con manifestazioni di piazza e arruolamenti volontari di massa nelle prime settimane di guerra e persino i partiti socialisti che votavano per la guerra nei diversi parlamenti.
Inoltre, la guerra cominciata il 24 maggio 1915 (un anno dopo gli altri paesi coinvolti nel conflitto) fu condotta, almeno fino alla disfatta di Caporetto nell’autunno del 1917, con metodi brutali e con assoluta indifferenza per la sorte di quella moltitudine di soldati contadini, mandati a morire in azioni disperate e prive di senso.
Solo l’Italia, ad esempio, trattò i suoi prigionieri caduti in mano all’esercito austro-ungarico come vili, disertori, rifiutandosi di sottoscrivere con gli avversari specifici accordi (come avevano fatto ad esempio inglesi e tedeschi) per garantire comunque l’assistenza alimentare e perseguitando perfino le loro famiglie negando ad esse i sussidi di guerra.
L’uso indiscriminato dei processi sommari, delle fucilazioni e delle decimazioni come quella inflitta alla Brigata “Catanzaro” nell’estate del 1917, reparto composto prevalentemente da calabresi che pure si era coperto di gloria nel corso della guerra per il suo coraggio, rappresentano la prova più evidente di un atteggiamento diffuso in tutti gli eserciti ma che nel nostro si colorava dell’antico disprezzo per le classi subalterne chiamate solo ad obbedire senza discutere. Molti soldati furono fucilati semplicemente perché parlavano il dialetto, e gli ordini, in italiano, suonavano loro incomprensibili.

La Brigata Catanzaro in una delle celebri copertine della Domenica del Corriere

La Brigata Catanzaro in una delle celebri copertine della Domenica del Corriere

Eppure quella guerra, quella “inutile strage”, come la definì papa Benedetto XV cercando inutilmente di fermarla con una accorata lettera nell’agosto del 1917 ai capi degli stati belligeranti, quei soldati-contadini continuarono a combatterla, a prezzo di immani sacrifici, per salvare una nazione che non avevano mai conosciuto e che a loro si era manifestata soltanto con il volto arcigno della repressione.
Fu nelle trincee, nella quotidiana condivisione della morte imminente che maturò un concetto di patria che finalmente non veniva imposto da una vuota retorica ma dalla necessità di salvare la propria vita, la propria terra, la propria famiglia, il proprio mondo.
Fu in quei quattro anni e mezzo che uomini, ragazzi di 18 anni, provenienti da ogni parte del Paese, di estrazioni sociale diversa (il ruolo degli ufficiali di complemento, per lo più di estrazione piccolo-borghese che erano più a contatto con la truppa, fu decisivo) entrarono per la prima volta in contatto, nella comune sofferenza.
La prima guerra mondiale rappresentò la prima vera esperienza collettiva di una nazione giovane, divisa, ancora immatura. E riuscì a vincerla, a costo di 650mila morti i cui nomi sono scolpiti su quei monumenti che oggi neppure guardiamo, solo perché seppe trovare, ad un certo momento, le ragioni dell’unità, del comune riconoscimento.
Una esperienza che si ripeterà in altre circostanze nel corso della nostra storia, tutte drammatiche: l’8 settembre del 1943, la nascita della Resistenza e la Liberazione; gli anni di piombo, il delitto Moro e la sconfitta del terrorismo. Sembra quasi che l’Italia dia il meglio di sé nei momenti più difficili.
Ricordare, dunque, questi eventi, forse ci farà trovare quelle energie necessarie a fare in modo che questa nostra Italia si senta quella bella, grande e generosa comunità che è, tutti i giorni e non soltanto quando è costretta a vivere l’ennesima tragedia.

Il Quotidiano del Sud del 4 novembre 2018

Difendere la buona accoglienza

Difendere la buona accoglienza 2

La propaganda giallo-verde mira ad instillare nei cittadini sentimenti che si concretizzano nella criminalizzazione della solidarietà (Mimmo Lucano ne è un esempio piuttosto emblematico).
Per tali motivi, il Primo Circolo PD Centro Storico e Frazioni sostiene il coordinamento SPRAR CS e l’accoglienza diffusa contro i centri di detenzione CAS, CARA e CPR che trasformano i migranti in invisibili della città, senza diritti e senza doveri. Nel centro storico di Cosenza, dove le comunità rom straniere presenti e i migranti subiscono il diniego del permesso di soggiorno lo tocchiamo con mano. Sono, infatti, considerate inesistenti da parte dell’amministrazione comunale generando degrado sociale.
Per questo noi siamo a favore dell’Unione Europea, ci schieriamo dalla parte di Mimmo Lucano e difendiamo, fortemente, l’integrazione. Ci auspichiamo che tutti i comuni si uniscano per difendere il modello SPRAR che Salvini-Di Maio vogliono smantellare.
NO al fascismo, a chi chiude i porti condannando migliaia di esseri umani a morte, alla deriva xenofoba del governo!
#RESTIAMOUMANI

Difendere la buona accoglienza

Ai residenti del Centro Storico al danno della ZTL anche la beffa delle multe

Cosenza salita Liceo

Da giorni i residenti del Centro storico di Cosenza sono stati raggiunti da una vera e propria alluvione di multe.
E’ la logica conseguenza della miopia  delle ultime scelte dell’Amministrazione comunale che, oltre al danno della ZTL che ha letteralmente desertificato quest’area della città, oggi multa gli incolpevoli residenti. E tutto ciò accade perché si è imposta la ZTL senza  aver prima organizzato un piano dei parcheggi consentiti come avviene in tutte le città del mondo.
Ancora una volta ci troviamo a dover rivolgere delle domande al Sindaco, ispirate dalla pura logica e dai principi dell’ABC della buona amministrazione:
- Come si può pensare di imporre una ZTL h24 (h24!) nel Centro Storico senza prima attualizzare i dati sul numero dei residenti, delle zone di sosta e degli autoveicoli attualmente presenti nel quartiere?
- Come si può non tenere conto dell’organizzazione del turno della farmacia Romanelli (che peraltro è stabilita proprio  dal Comune!) di Corso Telesio, della necessità stabilita per legge di ulteriori parcheggi gialli per persone con disabilità limitrofe ad ogni ZTL e degli orari delle scuole (servizi di solito classificati come “essenziali” e sui quali non ci si può muovere come un elefante in una cristalleria) ?
- Cosa pensa succederà quando si procederà a posizionare il mercato del venerdì di piazza Amendola in Piazza Prefettura, congestionando così  ancora di più quella zona di parcheggio selvaggio lungo la strada che dal Rendano porta ai 13Canali? Perché non è stata presa in considerazione il sito dell’Arenella ?
- Cosa ha da rispondere a queste semplici domande il nostro Sindaco urbanista ?
Se possiamo permetterci un suggerimento vorremmo sottolineare che, a volte, ammettere i propri errori è assai più utile che cercare di metterci sopra delle pezze o, peggio, perseverare in essi.
Sul Centro storico le scelte compiute sono sbagliate e dannose. Convincersene è il primo passo verso le necessarie correzioni che sono ormai diventate improcrastinabili.

PD – I Circolo Centro Storico e Frazioni Cosenza

 

Gazzetta del Sud del 12 settembre 2018

Il Quotidiano del 12 settembre 2018

Il Fatto di Calabria

Il Dispaccio

 

 

Salvini nel cul de sac

Italy's Interior Minister Salvini attends a news conference at the Viminale in Rome

Chiariamo subito prima che si scateni la solita ridda di commenti senza capo e né coda orientati solo dalla tifoseria che ormai caratterizza tutto il dibattito pubblico italiano.
1. Salvini è indagato formalmente per come prescrive la Costituzione presso il Tribunale dei Ministri per abuso d’ufficio e altre ipotesi di reato piuttosto gravi tra cui sequestro di persona. Nessun abuso ma esercizio della obbligatorietà dell’azione penale anch’essa sancita dalla Costituzione. In altre parole il Procuratore, in questo caso di Agrigento, non solo può ma DEVE agire se individua nell’azione di un cittadino, anche e soprattutto se Ministro, elementi di reato. Tutti i discorsi sulla opportunità della azione del Procuratore sono, pertanto, giuridicamente e sostanzialmente inconcludenti.

Nave Diciotti nel porto di Catania
2. È stato lo stesso Salvini a rivendicare la sua azione, che è consistita nel non aver comunicato al Ministero delle infrastrutture competente sui porti, dove far sbarcare la “Diciotti”. Sorprendersi perché un giudice fa il suo dovere o addirittura minacciarlo per interposta persona è sintomo di una concezione ben strana della legge e di uno Stato democratico sulla cui Costituzione il nostro ha giurato (magari se la leggeva prima non era male).
3. Io sono garantista fino al midollo. In un sistema democratico e di diritto tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. Salvini non deve dimettersi. Magari qualche imbarazzo lo avranno Di Maio che chiede le dimissioni anche di chi non è neanche indagato (purché suo avversario) o Conte che dice, da avvocato, “non possiamo aspettare i tempi della giustizia”. O vale per tutti o per nessuno. È la legge bellezza.

Migranti sulla DiciottiMigranti sulla Diciotti 2
In ultimo una considerazione politica: Salvini è rimasto incastrato nel suo stesso giochino. Ha fatto il duro con i poveri 170 eritrei della “Diciotti” mentre, nel silenzio generale, da luglio ad oggi di migranti ne sono sbarcati in Puglia e in Calabria più di 500. Ha cercato di forzare l’Europa minacciandola sulla base di presupposti giuridici inesistenti, che gli ha risposto picche. Ha sperato che Mattarella o Conte lo scavalcassero per avere la scusa di aprire un’altra querelle con la UE e magari una crisi di governo che portasse alle elezioni e lui capitalizzasse al massimo la sua battaglia senza paura contro i perfidi poteri forti che non lo fanno governare, ma gli è andata male. Hanno trovato il compromesso grazie alla Chiesa che ha dichiarato di accogliere gli eritrei (a proposito in Eritrea c’è una delle più feroci dittature del globo lo sapevate ?), come se le procedure di accoglienza non rimanessero in capo allo Stato italiano. Un escamotage per uscire dal cul de sac in cui si era infilato insieme al governo. Bugiardo, ipocrita, inaffidabile sul piano politico. Sul piano giudiziario ci saranno giudici a valutare. Perché c’è sempre un giudice a Berlino.

Migranti sulla Diciotti 3

ZTL nel Centro Storico è provvedimento demenziale e dannoso per lo sviluppo dell’intera città.

ZTL nel Centro Storico
L’arroganza con la quale il Sindaco di Cosenza e la sua maggioranza insistono nel difendere l’istituzione della ZTL nel Centro Storico è pari soltanto all’assoluta mancanza di idee e di visione che si manifesta giorno dopo giorno nel governo della città.
Il PD non è, in linea di principio, contrario alle ZTL, soprattutto nelle aree dove più intenso è il traffico e l’inquinamento atmosferico e acustico.
Il Sindaco si riempie la bocca di città a misura di pedone ma le sue scelte demenziali in termini di viabilità hanno solo aumentato il traffico e il conseguente inquinamento in città, senza contare lo stress a cui sta sottoponendo le imprese commerciali giù fortemente colpite da questi anni di crisi.
Nel Centro Storico la scelta della ZTL appare, poi, in tutta la sua assurdità: un’area caratterizzata da una progressiva desertificazione che l’ha trasformata in una periferia marginale oggi viene chiusa al traffico senza prevedere un piano di parcheggi per visitatori e residenti né forme di sostegno alla circolazione che possano sostenere la mobilità di anziani e disabili. I pochi operatori commerciali che a stento mantenevano aperte le loro attività ricevono da questo provvedimento un colpo fatale, senza contare che istituzioni storiche importanti, come la Curia, che del Centro Storico rappresentano il vero e proprio cuore da secoli, hanno già annunciato la delocalizzazione dei propri uffici. Se a questo si aggiunge anche lo spostamento ormai in atto del Provveditorato agli Studi il processo di desertificazione e marginalizzazione sarà definitivamente compiuto.
La cosa paradossale e che ha il sapore di una vera e propria beffa è la circostanza che i parcheggi selvaggi nel Centro Storico continuano ad esserci ad opera di cittadini che il Comune non ha neanche censiti all’anagrafe e che hanno occupato abusivamente case dopo lo sgombero del campo ROM di Vaglio Lise. Il Comune, ad oggi, non sa nemmeno chi sono e dove stanno contravvenendo ad elementari regole della difesa della loro stessa incolumità, figuriamoci se è in grado di sanzionarli per divieto di sosta !
La ZTL arriva così a completare il processo di trasformazione del Centro Storico in periferia degradata e abbandonata a se stessa.
La verità è che il Sindaco Occhiuto del Centro Storico non sa di che farsene: oscilla tra la frenesia demolitrice e l’ansia conservatrice senza soluzione di continuità. Un giorno demolisce palazzi il giorno dopo vuole espropriarli per ristrutturarli. Sfugge il confronto con la Regione Calabria su possibili finanziamenti faticosamente conquistati nella passata legislatura nazionale come i 90 milioni del CIPE (e che come cosentini abbiamo tutti il dovere di spingere perché siano programmati e spesi al più presto) e inventa ogni giorno qualcosa di nuovo e di peggio per la qualità della vita dei cittadini.
I cittadini sappiano, comunque, che il PD, pur essendo all’opposizione in Comune, non li lascerà soli. Il PD guarda al Centro Storico di Cosenza non come ad un problema ma come ad una straordinaria e strategica risorsa per lo sviluppo di tutta la città. E’ questa la differenza tra chi fa politica per il bene comune e chi, invece, ogni giorno s inventa qualcosa solo per coprire il vuoto pneumatico di idee per lo sviluppo della città che è ormai manifesto a tutti, soprattutto a chi a questa amministrazione ha riservato in passato copiosi consensi.

Gazzetta del Sud del 2 agosto 2018

Il Quotidiano del 2 agosto 2018

Quicosenza.it

 

Commenti
    Archivio