Bocca antitaliano e antimeridionale…

Giorgio Bocca
Si parla molto del volumetto pubblicato da Rubbettino (“Aspra Calabria”) che riprende una parte di un vecchio libro di Giorgio Bocca uscito nel 1992 (“L’Inferno”).
Gli scritti di Giorgio Bocca, introdotti da una autorevole prefazione di Eugenio Scalfari non ci sorprendono più. Non ci sorprende il tono moralistico, la tendenza manichea tipica di certa cultura azionista a cui Bocca appartiene.
Il Partito d’Azione, che riprendeva una vecchia dicitura mazziniana, fu un’effimera formazione politica protagonista della guerra partigiana, di tendenza laica, radical-democratica e socialista liberale che finì schiacciato dalla presenza di grandi partiti di massa come il PCI, il PSI e la DC.
I suoi uomini erano personalità assai colte che sognavano un’Italia che si mondava dal fascismo ma anche da certi suoi atavici mali morali che elencavano nella sua tendenza alla corruzione, nell’influenza clericale, nella dimensione politicista della sua politica.
I libri di Bocca sono tutti intrisi di questa rabbia di sconfitti politici costretti a vivere in un Paese che li guarda spesso senza comprenderli, diffidente rispetto alla loro tendenza ad ergersi a giudici sulla base di una superiorità etico-morale che pochi sono disponibili a riconoscergli.
Bocca e molti come lui appartengono a quella categoria delle classi dirigenti progressiste che sono portati a scambiare i loro desideri con la realtà, intrisi comunque da un’ansia pedagogica che non li fa amare. Non amano la realtà che li circonda e la declinano con un tono pessimista, odiando la politica che invece con quella realtà deve misurarsi quotidianamente, anche e soprattutto se vuole cambiarla. Anzi, la fatica riformista risulta essere loro detestabile, la scambiano spesso con il compromesso o, peggio, la compromissione.
Sono giustizialisti, nell’accezione che il termine ha assunto negli ultimi anni, perché convinti che il bene sta tutto da una parte (la loro) e il male dall’altra.
La visione che costoro hanno del Mezzogiorno risente di questa tara culturale: lo guardano, lo giudicano, ma non lo comprendono. Spesso scambiano le cause con gli effetti.
Per loro, ad esempio, mafia ed illegalità sono una tara quasi genetica dei meridionali, il frutto stesso del loro sottosviluppo più culturale che economico e sociale. Da qui la loro tendenza a dividere la società meridionale in buoni e cattivi, a rappresentarla solo come lotta tra difensori della legge e dello Stato e delinquenti e mafiosi.
Il parallelo con il Vietnam del Sud sconvolto dalla guerra degli anni ’70 è significativo: nel Sud d’Italia c’è una guerra non la lotta per la legalità che invece è normale in un Paese democratico. Gli USA hanno avuto ed hanno una delle mafie più pericolose del mondo eppure a nessun giornalista americano è venuto mai in mente un paragone con il Vietnam o l’Afghanistan.
Il libro si legge dunque per quello che è: l’ennesima operazione editoriale a cui si presta ora una casa editrice calabrese prestigiosa come “Rubettino” che riprende con la prefazione di Scalfari uno scritto datato: la mafia aspromontana dei sequestri di persona, per esempio, è sparita da tempo proprio grazie alle leggi dello Stato democratico ed alla sua azione repressiva che ha reso non vantaggiose per i sequestratori operazioni di questo genere (a proposito del fatto che la Sud non cambia mai niente).
I mali del Sud e della Calabria restano tanti e grandi ma si possono affrontare con la legge dello Stato, la crescita, come pure sta avvenendo, della sensibilità antimafia e per la legalità che sta interessando anche le regioni meridionali. Il Sud sta lottando e deve essere aiutato, sostenuto nella sua lotta. Intanto va aiutato sul piano dello sviluppo economico, facendo al Sud né più e né meno di quello che si fa al Nord. E invece non avviene ciò, anzi, al contrario. Gioia Tauro, citata nel testo, rischia di diventare l’ennesima speranza delusa con la chiusura del porto, così come lo fu il polo siderurgico ai tempi di Bocca. E la scusa è sempre la stessa: in Calabria c’è la mafia, alimentando il circolo vizioso che vede meno sviluppo, più mafia e la mafia utilizzata per giustificare il mancato sostegno allo sviluppo del Sud.
Per questo il libro di Bocca non mi piace, così come non mi piace anche il dibattito che si è sviluppato attorno ad esso: troppe voci indignate e ipocrite spesso silenti, spesso subalterne a quanto invece si fa e si dice al Nord.
Il grande storico Gaetano Cingari diceva che le grandi testate giornalistiche al Sud scendono, non salgono. Voleva denunciare da una parte la mancanza di una voce meridionale di portata nazionale capace di sostenere lo sforzo di un Mezzogiorno che voleva riscattarsi, ma anche la subalternità della cultura e della intellettualità meridionale a stereotipi confezionati nelle parti più ricche del Paese.
Cingari aveva ragione. Facciamo in modo che questa indignazione, salutare, possa sostenere una politica, non rappresenti solo orgoglio ferito o protesta sterile.
Noi calabresi e meridionali siamo Italia e non altro. Dimostriamolo.

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